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Verso quali modelli di formazione?

Come dovrebbe essere allora la formazione? È possibile, dal punto in cui ci troviamo, ricostruire un ‘nuovo’ modello di formazione più rispondente alle nuove istanze formative derivanti dal mondo giovanile e dalle stesse istituzioni o dal carisma in progressiva evoluzione e in-culturazione? E tale modello può andar bene per ogni contesto? Quali sono gli aspetti cruciali sui quali lavorare perché sia il più possibile completo? Non è facile rispondere a tali interrogativi.

Per addentrarmi nel tema, vorrei riferirmi come punto di partenza ad una definizione del concetto di formazione che può aiutare a com-prendere la molteplicità dei suoi significati: «Formazione è un termine polisemico che rinvia anche a significati più ampi e generali, con riferi-mento ad esempio alla formazione dell’uomo e all’itinerario comples-sivo della sua crescita in senso morale oltre che culturale, oppure più specifici e ristretti, laddove si intendono richiamare determinati percor-si formativi, caratterizzati da contenuti e da metodologie strettamente scaturenti da obiettivi ben individuati».25

La formazione, intesa come una dimensione cognitiva fondamentale

24 Cf taCConi, Alla ricerca di nuove identità, 114-120.

25 Cunti Antonia, La formazione in età adulta. Linee evolutive e prospettive di svilup-po, Napoli, Liguori Editore 1995, 12.

costituita da «metodi, e strategie di ricerca e di creatività tendenti alla definizione di forme di azione, conoscenza ed esistenza congeniali al divenire di ogni essere umano»,26 per quanto possa essere completa manca tuttavia di qualche elemento che è tipico dell’esistenza umana in quanto tale, in una visione olistica e integrale della persona.

Se è vero che la formazione può essere considerata come un forma di

‘adultità’, occorre guardare a tutte le dimensioni del sapere che intendo-no «riscoprire il senso sociale, impegnato, dialogico dell’essere adulti e dell’esserlo in formazione non soltanto per sé ma anche per gli altri».27 Questa prospettiva è importante anche quando si tratta di formazione iniziale, laddove in apparenza si pensa di dover lavorare con soggetti in età evolutiva, bisognosi cioè di etero-formazione, di essere accom-pagnati come persone incapaci di prendere in mano la propria vita e di realizzare processi di crescita impostati come auto-formazione.

Parlare di formazione, dunque, rimanda ad un discorso più vasto legato non solo all’ambito valoriale ma anche riferito al processo e alle condizioni in cui si svolge. Inoltre, al momento attuale, il termine formazione si preferisce alla nozione di educazione in quanto quest’ul-tima, se riferita agli adulti, risulta essere «troppo generica e troppo complessa».28

Molti studiosi, al contrario, tendono a riaffermare la preferenza del-la nozione di educazione su queldel-la di formazione, in rapporto all’età adulta, in quanto nell’uso comune la parola formazione è ridotta spes-so, soprattutto in ambito sociale, al significato di formare, apprendere, mentre invece educazione è attenzione alla dimensione cognitiva ma anche a quella affettiva, motivazionale, ecc.

È evidente che per l’adulto non si possa scindere nettamente l’in-tervento educativo da quello formativo perché l’uno può essere fattore dell’altro: non si tratta di rivendicare la superiorità ora dell’educazione ora della formazione, ma di favorire nei soggetti, nel corso della vita adulta, la possibilità di interrogarsi «sui plurimi sensi educativi del loro vivere ed essere vissuti, al contempo potendo contare, fruire, frequen-tare, accedere alle più diverse opportunità della formazione».29

26 Fabbri Donata, Formazione come forma di adultità, in Adultità 8 (2002) 16, 25-36, 26.

27 DeMetrio Duccio, Adultità. I saperi, la ricerca, la poesia, in Adultità 1 (1995) 1, 7-9, 9.

28 iD., Manuale di educazione degli adulti, Bari, Laterza 2003, 43.

29 Ivi 48.

A riguardo, Duccio Demetrio, riflettendo sul rapporto tra educa-zione ed età adulta distingue tre macrodimensioni ciascuna oggetto di riflessione e di studio teoretico ed operativo. «Ci riferiamo – scrive l’au-tore – alla dimensione attinente l’Educazione permanente (il piano com-prensivo e strategico); a quella denominabile Educazione degli adulti (il piano intenzionale e istituzionale), che include l’educazione profes-sionale, quella personale, diffusa, politico-civile, estetica, filosofica, re-ligiosa; e, infine, all’Educazione in età adulta (il piano fenomenologico e esistenziale), che abbraccia il variegato ambito delle occasioni in cui, o nel corso delle quali, il soggetto – entrato nella vita adulta autosuffi-ciente, in tutto o in parte, per quanto concerne il proprio sostentamen-to – impara dalla vita e dalla propria in particolare».30

Un principio chiave, che è divenuto anche una sfida, è quello se-condo cui la persona è capace di apprendere ad apprendere per tutta la vita, una capacità attiva e permanente che diventa il modo migliore per affrontare la sfida del cambiamento continuo. Imparare sempre. Non si può affrontare la complessità del quotidiano, la velocità del cambia-mento, la pluralità dei ruoli, la molteplicità delle transizioni, senza un costante lavoro di riflessività e di apprendimento. Imparare sempre, per scegliere i propri percorsi, per orientarsi a «sviluppare un pensiero creativo e responsabile».31

Un modello di formazione adeguato, allora, dovrebbe prendere in considerazione almeno alcune aree cruciali, come: l’area trasmissi-va (contenuti e trasmissi-valori, processi di apprendimento, comunicazione), l’area progettuale (temporalità, progettualità, apertura al futuro), l’area dell’identità, o meglio della soggettività (processi di crescita persona-le, motivazionale e decisionale), l’area della eticità professionale (valori umani e professionali), l’area della spiritualità/carisma (valori vocazio-nali, centralità della vita nello Spirito, appartenenza e identificazione carismatica).

A tali aree si devono aggiungere altre questioni altrettanto cruciali:

il corso della vita con le sue stagioni esistenziali, i processi mentali e cognitivi, la reciprocità, gli orizzonti di senso, la spiritualità. Per questo è auspicabile che un modello di formazione completo e adeguato alla complessità attuale debba collocarsi in un ampio orizzonte di significati

30 Cf ivi 15-16.

31 alberiCi Aureliana, Imparare sempre nella società conoscitiva. Dall’educazione de-gli adulti all’apprendimento durante il corso della vita, Torino, Paravia 1999, 9.

e tener conto di alcune coordinate essenziali, come la crescita perso-nale, la sintesi e la rielaborazione delle esperienze di vita, la centrali-tà dell’esperienza vocazionale, il discernimento e l’accompagnamento come criteri prioritari, la responsabilizzazione come metodo.

3.1. Formazione come ‘crescita personale’

Ogni proposta formativa dovrebbe avere come obiettivo centrale quello di potenziare il cammino di crescita personale. 32 Se la formazio-ne, infatti, vuole raggiungere in profondità la persona, dovrà tradursi in un processo vitale di crescita e di maturazione che si compie proprio mentre la persona realizza se stessa nello svolgimento del compito-vo-cazione cui si sente chiamata in risposta al disegno di Dio. Si tratta di un processo di unificazione personale che consiste nella costruzione di una identità, lungo l’intero arco della vita nel quadruplice rapporto con se stessi, con gli altri, con il mondo e la storia e con Dio.33

Il percorso di crescita vocazionale, difatti, s’innesta sul cammino di maturazione e di integrazione della persona, si intreccia, cioè, con quel lungo iter di formazione e di autoformazione che fa diventare uomini e donne maturi. “Crescere”, infatti, vuol dire divenire se stessi secondo ciò che si è chiamati ad essere, il che comporta un cammino di cono-scenza e gestione di sé, ma anche lo sviluppo della propria progettualità personale messa continuamente in rapporto con il progetto di Dio.

E ciò è possibile nella misura in cui la formazione diviene

auto-for-32 Per questa parte mi riferisco a quanto ho già scritto in un altro contributo: Del

Core Pina, Persona e comunità nel percorso formativo, in aa.vv., Educarsi per educare.

La formazione in un mondo che cambia, Milano, Paoline 2002, 111-144.

33 In tal senso, per evitare ogni dicotomia tra maturazione umana e cristiana, la cre-scita va intesa come un percorso di maturazione umana nella direzione della chiamata a divenire veri credenti in Cristo. Come ogni crescita, il divenire vocazionale ha le sue leggi, le sue tappe e procede di pari passo con la formazione dell’identità personale e culturale, con tutte le vicissitudini e i conflitti che essa comporta. L’assunzione degli impegni formativi, allora, dovrà essere in sintonia con le tappe evolutive connesse alla continua maturazione della persona, ma anche con le trasformazioni socioculturali del contesto. Si presuppone una concreta attenzione alla reale situazione in cui si trovano le persone, soprattutto i giovani, per favorire una crescita che miri alla costruzione di un’identità capace di aprirsi a Dio e, nello stesso tempo, di integrare le molteplici

“identità” che sono chiamati ad assumere lungo l’arco della vita, in una dinamica di conversione e di accettazione del cambiamento nel confronto con la realtà storica e culturale in cui sono immersi (cf ivi 113-114).

mazione o, per dirlo in termini frankliani, ‘auto-configurazione’. Victor Frankl, psicologo e psichiatra viennese, fondatore della logoterapia, spiega come ciò che caratterizza ed orienta il divenire della persona-lità non sono tanto gli eventi o condizionamenti esterni, e nemmeno lo sviluppo intrinseco dell’individuo, bensì la capacità di ricercare un significato della propria esistenza e di decidersi per esso. In questa pro-spettiva, il polo della intenzionalità e della decisione è centrale per il processo formativo, che assume appunto la forma della dinamica di autoconfigurazione.34

Nella tradizione formativa l’attenzione alla crescita personale e, quindi, ai processi di maturazione della persona, è stata sempre presen-te, anche se a volte in maniera soltanto implicita, ed ha avuto un ruolo di centralità, specialmente nella formazione iniziale. Va resa tuttavia sem-pre più esplicita in coloro che progettano la formazione e soprattutto in coloro che accompagnano: si tratta di scorgere i dinamismi di crescita e di individuare i compiti di sviluppo che la persona deve realizzare nei diversi momenti o tappe della sua esistenza al fine di accompagnare tali processi verso traguardi di maturità personale e vocazionale.

3.2. Formazione come sintesi personale ed elaborazione delle esperienze di vita

La formazione, proprio perché mira alla crescita integrale della per-sona, non può comportare solo l’acquisizione di un bagaglio di cono-scenze. Del resto, la conoscenza di per se stessa non necessariamente porta la persona a trasformarsi, a cambiare e ristrutturarsi in relazione alle esigenze della chiamata vocazionale e soprattutto al compito e alla missione che dovrà svolgere. Talvolta però, con una certa frequenza

34 Cf bruzzone Daniele, Autotrascendenza e formazione. Esperienza esistenziale, prospettive pedagogiche e sollecitazioni educative nel pensiero di Vicktor E. Frankl, Mi-lano, Vita e Pensiero 2001, 382-385. La scelta di tale termine ha una pregnanza molto profonda: Frankl infatti adopera il termine “configurazione” (Gestaltung) a scapito di quello molto più usato di “formazione” (Bildung) per la sua connotazione di assi-milazione di contenuti socialmente e culturalmente condivisi. L’autoconfigurazione di cui parla Frankl riflette la tradizione classica e moderna della paideia e si riferisce «ad un’auto-educazione dello spirito che assume la sua “forma”-figura (Gestalt) e plasma i propri atteggiamenti interiori mediante la decisione e l’azione» [iD., Autotrascendenza e autoconfigurazione. Il contributo di Vicktor Frankl ad una teoria metodologica della formazione, in Orientamenti Pedagogici 47 (2000) 5, 820-840, 831].

negli interventi di formazione si constata l’equivalenza conoscenza = cambiamento, per cui si pone l’accento più sulla trasmissione di conte-nuti e sull’apprendimento, che sulla crescita e sulla maturazione della persona. La coincidenza tra conoscenza e cambiamento non può sus-sistere, se non si tiene conto delle dimensioni simboliche, affettive ed emotive dei processi di apprendimento e di crescita in generale.

La formazione, dunque, non può essere solo pensata come espe-rienza di trasmissione di informazioni e conoscenze da chi insegna a chi apprende, ma deve essere caratterizzata come processo di mutuo e reciproco scambio, una forma attiva di regolazione del rapporto inse-gnamento/apprendimento. Nel contesto attuale di una cultura dell’ap-prendimento per tutta la vita (lifelong learning) la formazione si con-figura sempre più come ‘auto-apprendimento’ e come sintesi di saperi diversi, imparati in contesti o luoghi anche virtuali, non necessariamente vincolati dal tempo e dallo spazio, acquisiti mediante l’interazione co-munitaria, lo scambio e la condivisione di esperienze e di significati. In alcuni modelli formativi attuali, utilizzati soprattutto nel campo della formazione dei formatori o facilitatori dell’apprendimento, si tiene con-to in maniera multidimensionale delle diverse modalità di apprendere che naturalmente vanno integrate. I bisogni formativi sottostanti a tali modelli esprimono la necessità di avere occasioni e ‘luoghi’ (o meglio percorsi formativi) nei quali sperimentare differenti modalità di azione e di relazione che consentano di riunificare e di far coesistere varie forme di espressione e diversi aspetti o dimensioni dell’agire umano.35

La formazione degli adulti, in particolare di quelli che svolgono funzioni educative, se vuole essere efficace, deve giocarsi sui tre assi – sapere, saper fare, saper essere – che vanno considerati congiuntamente e in maniera interazionistica. Non si tratta soltanto di offrire un’orga-nizzazione concettuale trasmessa e assimilata, seppure in maniera ot-timale, ma di un saper collegare teoria, contenuti e conoscenze con le competenze, relazionali e comunicative, con la consistenza e la ricchez-za di una personalità unificata, cosciente del suo compito-vocazione e capace di vivere i valori che trasmette.

La formazione alla vita consacrata, data la pregnanza simbolica, etica e pedagogica della sua missione, dovrà favorire l’analisi della vicenda umana individuale con le vicissitudini e conflittualità ad essa

35 Cf liuzzi Michele, La formazione fuori dall’aula, Milano, Franco Angeli 2006, 31.

inerenti per individuare esperienze, persone significative, tappe e crisi che hanno contribuito al raggiungimento della propria identità. Dovrà costituire, perciò, uno “spazio” per rielaborare le proprie esperienze di vita, e un’occasione per utilizzarle come risorse da valorizzare in po-sitivo. Anzi, l’esperienza stessa e tutte le esperienze di vita acquisite dalla persona dovranno divenire il contesto stesso dell’apprendimento:

esse, cioè, diventano ‘formatrici’ nella misura in cui possono essere te-matizzate, esplicitate, integrate nell’insieme della propria storia di vita, rielaborate e ri-comprese nel loro significato profondo. E ciò comporta evidentemente una serie di condizioni e di presupposti sul piano meto-dologico, come, ad esempio, la riorganizzazione dei tempi di formazio-ne, la riorganizzazione delle modalità di trasmissioformazio-ne, dell’impostazio-ne e della conduziodell’impostazio-ne del rapporto formatore-formando o formatrice-formanda.

3.3. Centralità dell’esperienza vocazionale in dialogo con la realtà in cam-biamento

Una formazione che si misura non tanto sul ruolo e sul compito, ma soprattutto sull’essere esige che si metta al centro di ogni attività ed intervento la consapevolezza della propria chiamata. La vocazione è un dono di Dio che si radica nel Battesimo e si configura come una chiamata a divenire discepoli di Cristo in qualunque situazione o scelta di vita. È un appello che esige una risposta, la quale si attua mediante l’impegno di un’adeguata e continua formazione. Discepoli, infatti, ‘si diventa’ e ciò comporta tutta una serie di passaggi interiori e di percorsi maturativi che la persona mette in atto proprio attraverso la forma-zione, la quale consiste innanzitutto nell’accogliere con gioia il dono della vocazione e nell’esservi fedeli ogni momento dell’esistenza con l’impegno della vita. Così la vocazione da dono ricevuto si trasforma in compito, mai del tutto concluso, sempre in movimento verso una com-piutezza che troverà la sua realizzazione piena nell’incontro definitivo con Dio.

L’esperienza vocazionale, così come viene vissuta lungo il tempo e nelle diverse stagioni dell’esistenza, si configura inizialmente come in-tuizione e carisma, come attrazione e scelta, per divenire, in seguito, identità e cammino. Questi sono i passaggi più significativi che ogni vocazione, e perciò ogni persona chiamata, porta con sé dal punto di

vista dei processi maturativi che segnano il percorso di crescita della persona.36

Nella formazione la centralità dell’esperienza vocazionale, così come è stata presente nella prassi formativa degli inizi a diretto contatto con l’esperienza spirituale dei fondatori, dovrà essere l’anima e il principale riferimento di ogni azione formativa in modo particolare nell’attuale contesto culturale di transizione e di cambiamenti che rischiano di sfal-dare anche le più solide identità.

Le esigenze della chiamata vocazionale e il servizio richiesto dalla missione educatrice ed evangelizzatrice comportano come prima istan-za una consistenistan-za motivazionale (Perché? Per chi?) fondata su un qua-dro di valori in cui gesù e il suo Regno occupano un posto centrale.

Viene chiamata in causa la spiritualità e, a monte, un cammino di fede per essere in grado di comunicare con la vita più che con le parole la propria identità cristiana. Si richiede, cioè, la presenza di educatori che siano persone significative, capaci di una comunicazione sapienziale dei valori, di trasmettere con la vita la loro personale esperienza di incontro con il Signore gesù. Tale nucleo centrale se è consistente permetterà alla persona di attraversare le difficoltà e le crisi derivanti dal cambia-mento con una certa solidità e quindi fedeltà.

3.4. Formazione come discernimento ed accompagnamento

Una formazione che si misura continuamente con il cambiamento e che guarda al futuro in un contesto di progressiva complessificazione sociale dovrà essere impostata come discernimento, cioè come attitudi-ne di ricerca, di ascolto e di confronto con le esigenze dello Spirito e con i segni dei tempi presenti negli eventi e nelle persone.

In una situazione socioculturale e socioecclesiale segnata da trasfor-mazioni che non toccano solo la vita sociale, ma stanno modificando e ristrutturando totalmente il modo di vivere, di pensare e di relazionar-si, il discernimento deve diventare la via obbligata per attraversare la storia e l’accompagnamento la modalità più adeguata per far crescere le nuove generazioni. D’altro canto, l’attenzione a Dio e la fedeltà alla storia caratterizzano, in modo particolare, la vita religiosa. Essa è un

36 Cf Del Core Pina, La vocazione, dono e compito. Passaggi interiori e percorsi evolutivi, in Spirito e Vita 83 (2007) 8/9, 397-404.

cammino di santità al servizio del Regno. Ma tale cammino e tale ser-vizio passano per la storia degli uomini e attraverso emergenze sempre nuove che richiedono nuove risposte e nuove decisioni spirituali. Ciò è possibile solo se ci si pone in attitudine di ricerca e in ‘stato di discer-nimento’.

Sono personalmente convinta che la formazione nel contesto attuale deve essere impostata con sempre maggior chiarezza e determinazione come accompagnamento e come discernimento. Mentre il discernimen-to dovrebbe divenire un criterio mediscernimen-todologico centrale nel processo formativo, presente come attitudine interiore e come azione volta a co-gliere nelle persone i segni della chiamata di Dio, lungo il cammino, l’accompagnamento deve diventare il luogo privilegiato in cui creare le condizioni spirituali e psicologiche per discernere di volta in volta il disegno di Dio.

Impostare tutta la formazione come discernimento e come accom-pagnamento comporta un ripensamento non soltanto dell’itinerario formativo, ma anche della modalità con cui contenuti, esperienze ed interventi vengono offerti: il ruolo della progettazione e della comunità formativa che progetta è essenziale. Si tratta di imparare finalmente a mettere la Parola di Dio al centro e il discernimento personale e comu-nitario come strategie privilegiate del processo formativo.

È fondamentale in tutto questo il ruolo dei formatori e delle for-matrici. Mediante l’accompagnamento formativo (sia personale che di gruppo) essi dovranno facilitare i processi di discernimento e di cam-biamento, innescarli e favorirli attraverso l’ascolto profondo, cordiale e franco delle giovani, delle loro speranze e delle loro paure.

L’accompagnamento, come ‘spazio di personalizzazione’ dell’itinera-rio formativo, propone

a livello personale

• un cammino di integrazione di tutti gli aspetti della personalità attorno alla fede in Cristo, in particolare al nu-cleo della chiamata e dei suoi valori in una evoluzione dinamica, ma soprattutto un percorso di autonomia e di libertà, di verità e di assunzione di responsabilità;

a livello di gruppo

o di comunità formativa diversificare le offerte, creare alternative, essere ‘presenti’ con presenza educativa, …

3.5. La responsabilizzazione come ‘metodo’

Se la formazione deve mirare principalmente a costruire un’identità, allora bisogna avere delle attenzioni formative particolari. In tal senso, non si può ridurre la formazione a esperienza di comunicazione preva-lentemente verbale di contenuti, mediante corsi, seminari, studi, ecc., senza favorire nello stesso tempo esperienze formative che tocchino la vita e la crescita personale.

Occorre innanzi tutto impostare la formazione come un itinerario di vita che faciliti i cammini maturativi delle persone e ciò risulta

Occorre innanzi tutto impostare la formazione come un itinerario di vita che faciliti i cammini maturativi delle persone e ciò risulta