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La profezia dei consigli evangelici

LA FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ CARISMATICA

DEI CONSIGLI EVANGELICI Lettura antropologico-carismatica

1. La profezia dei consigli evangelici

C’era una volta in Cina un potente imperatore il cui figlio, principe ereditario, viveva negli agi, nei lussi e nella dissolutezza al punto che un giorno l’imperatore decise che gli occorreva un valido precettore.

Fu chiamato a corte un sapiente mandarino cui l’imperatore disse: “Tu farai in modo che, seguendo i tuoi insegnamenti, il principe diventi sag-gio e giusto. Se non saprai fare ciò pagherai con la testa”. Sconvolto il mandarino andò dal suo vecchio maestro con cui si lamentò a lungo: “Il principe è un pigro, uno svogliato, timoroso dei cambiamenti ed incline a seguire ogni giorno un sentimento ed una moda diversi. Chi più sfor-tunato di me, maestro! Cosa posso fare?”. Il vecchio maestro rimase a lungo a fissare il fuoco presso il quale sedevano ed infine disse: “Sono contento che ti sia toccato in sorte un tale incarico poiché assolvendolo dovrai lavorare molto anzitutto per migliorare te stesso!”.

Educare se stessi per educare gli altri: è l’insegnamento che ricavia-mo da questa antica storiella di presunta saggezza orientale che vuole fare da apripista alla riflessione sulla dimensione relazionale e

missio-1 Enrica rosanna (fma), già docente ordinario di Sociologia della religione presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” nella quale ha ricoperto anche il ruolo di Preside. Laureata in Scienze sociali presso la Pontificia Università gregoriana, ha conseguito presso quest’ultima il Dottorato di ricerca in Scienze sociali.

È stata docente anche presso altre Istituzioni Universitarie. Ha ricoperto ruoli e incari-chi a livello sociale, ecclesiale e del proprio Istituto. Attualmente è Sottosegretario della Congregazione degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica.

naria dei consigli evangelici, all’interno di un Corso di formazione per maestre di noviziato, che si ritrovano un po’ come il saggio mandarino tornato per un certo tempo dal vecchio maestro per prendere forza e suggerimenti pratici per il suo impegnativo compito educativo.

1.1. Formarsi per formare

La risposta del vecchio maestro al sapiente mandarino pone sul ta-volo una prima importantissima verità: un educatore – sia questi un mandarino sapiente, un genitore, un insegnante o una maestra di for-mazione – non ha altra strada per riuscire nel proprio compito se non quella di cercare di migliorare se stesso.

Se dalla questione educativa intesa in senso generale focalizziamo l’attenzione sul tema dell’educare alla fede e del formare a vivere una vita religiosa a immagine del Figlio (Rm 8,22), secondo l’insegnamento di don Bosco e di Madre Mazzarello, nella tradizione spirituale di san Francesco di Sales, e a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, «i tratti caratteristici di gesù vergine, povero ed obbediente»,2 ricaviamo che il compito di migliorare se stessi diventa per l’educatrice, per la formatrice, quello di “curare” la propria fede, la propria sequela Christi, la propria conformazione amorosa al Signore gesù, e la capacità di comunicare questo vissuto in una relazione edu-cativa. Questo è in sostanza il cuore dell’educazione che, come affer-mava sapientemente don Bosco, “è una cosa del cuore”. Tutto il resto fornisce supporti, modalità, strumenti al sempre difficile compito di co-municare la fede, soprattutto ai giovani, ma questi sono ben poca cosa di fronte al requisito irrinunciabile per chi si avvii in una tale impresa:

possedere una fede e un amore vivo, incarnato, sostenuto da una solida formazione, una formazione mai compiuta, anzi sempre rinnovata.

1.2. L’importanza della relazione educativa

L’educazione è cosa di cuore, cioè è una questione di relazione. Don Bosco matura gradualmente questa comprensione a partire dal sogno dei nove anni, quando dinanzi a lui si delinea il campo della sua missio-ne: essere segno dell’amore di Dio per i piccoli e i poveri, per i giovani

2 VC 1.

abbandonati che non sanno o non sentono di essere amati. Per tutta la vita – alla scuola di Maria (‘Io ti darò la Maestra’!) – don Bosco cer-cherà di mettersi in sintonia con questa chiamata, di individuare i modi e i luoghi in cui esprimere la missione ricevuta. Si adopererà per ma-nifestare l’amorevolezza, ossia l’amore reso percepibile nelle relazioni vitali, valorizzanti, capaci di aprire alla fiducia, di coinvolgere i giovani nella sua stessa missione.3

La prima base di una riflessione sulla dimensione relazionale-mis-sionaria dei consigli evangelici è proprio la rinnovata consapevolezza e un rinnovato impegno nella relazione educativa: sono in primo luogo le maestre – e ciascuna FMA a partire da me – a dover essere testimone credibile di una vita casta, povera e obbediente vissuta nella libertà e nella pienezza di gioia. Oggi più che mai è opportuno riportare alla mente e al cuore la sapiente indicazione di Paolo VI: «L’uomo con-temporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni».4 Il mondo ha bisogno di testimoni, le giovani hanno bisogno di sorelle e madri che testimonino quanto sia bello e quanto dia gioia vivere la verginità, la povertà e l’ob-bedienza; che siano capaci di coinvolgere le giovani nella loro stessa missione; che testimonino una vita consacrata piena di gioia e di Spirito Santo, che si spinge con slancio sulle vie della missione e si accredita proprio in forza della testimonianza vissuta.

1.3. I rischi e le opportunità del nostro tempo

Partendo ancora dalla nostra storiella vorrei soffermarmi brevemen-te su un secondo punto. Anche noi forse siamo portabrevemen-te a lamentarci delle giovani che vengono affidate alle nostre cure e forse anche noi ri-petiamo, come il mandarino della storiella: “Il principe è un pigro, uno svogliato, timoroso dei cambiamenti ed incline a seguire ogni giorno un sentimento ed una moda diversi. Chi più sfortunato di me, maestro!

Cosa posso fare?”.

3 Cf ColoMbo Antonia, La risposta del metodo educativo di don Bosco, in aa.vv., Rigenerare la società a partire dai giovani. L’arte della relazione educativa, Atti della 1a Convention Nazionale sul Sistema Preventivo, Roma 11/12 ottobre 2003, 74.

4 Paolo vI, Evangelii Nuntiandi [= EN], Lettera Apostolica, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 1975, 41.

È vero, oggi ci troviamo dinanzi una società secolarizzata, da alcuni definita postcristiana, per cui anche l’adesione al Vangelo e l’apparte-nenza ecclesiale hanno assunto, per molti/e, un che di virtuale, fluido, indeterminato, emozionale, teorico e non basato su fondamenta solide, non basato su virtù che hanno bisogno di impegno e sforzo quotidiano, che sono capaci di “produrre” novità di vita.

A proposito della condizione giovanile contemporanea, potremmo citare l’indefinitezza del profilo dei/delle giovani, il vivere alla giornata, la paura delle scelte, la difficoltà del fare i conti con le proprie radici e dell’affrontare il futuro, una sensibilità e una fragilità che possono sembrare esasperate, e ciascuna di voi potrebbe continuare in questo elenco.

Viviamo, poi, in un tempo che è attraversato dal ricorso a una spiri-tualità avvolgente ma nebulosa, emozionale, che ha bisogno del mira-colistico, ma allo stesso tempo pare infiammarsi per eventi di connota-zione religiosa o anche confessionale, dall’impatto forte. Il fascino del religioso – che alcuni frettolosamente hanno definito come “la rivincita di Dio” – seduce in modo sempre più avvincente una società stanca e disincantata, alla ricerca di valori certi, la cui forza si misura soprattutto dall’intensità delle emozioni che suscitano, ma spesso confonde ciò che è impressionante con ciò che è importante.

Pertanto ci domandiamo: in questo contesto è ancora possibile a un credente nel Dio rivelato da gesù Cristo vivere la propria fede, rendere ragione a chi gli chiede conto della speranza che lo abita, vivere l’utopia dell’amore senza confini, né esterni né interni? E, soprattutto, è ancora possibile a delle giovani donne scegliere di donare la propria vita a causa di Cristo e del Vangelo, a servizio dei fratelli nello spirito del da mihi animas coetera tolle?

È possibile per un giovane/una giovane impegnarsi ogni giorno, e giorno dopo giorno, a snocciolare in una vita fatta di rinunce, di lavoro, di relazioni con le sorelle/i fratelli, di impegni, di lotte piccole e grandi?

È possibile che essi restino affascinati da una scelta di purezza vergina-le, di povertà radicavergina-le, di obbedienza intelligente e pronta, di impegno mai stanco e mai fiaccato? E cosa può dire oggi una maestra di forma-zione sulla presenza vivente e vivificante di Dio nella propria vita?

1.4. Aderire a Gesù nella libertà e per amore

È vero che il quotidiano di un’esistenza consacrata, la fedele per-severanza in un cammino di costante conversione alle esigenze evan-geliche è divenuta merce non più spendibile in un supermercato del religioso in cui si impone chi ha lo slogan più seducente o il testimonial più affermato? Oppure è ancora possibile trovare parole e gesti per vi-vere una vita di speciale consacrazione comprensibile agli uomini e alle donne di oggi, nel cuore del nostro vissuto ordinario; è ancora possibile vivere un legame vitale e virtuoso con Dio?

La risposta è una sola: la conoscenza personale del Signore Gesù, l’adesione nella libertà e per amore alla sua vita prima ancora che al suo insegnamento, nonostante ogni sorta di infedeltà e contraddizioni, attraverso l’autenticità e l’intensità di una vita trascorsa giorno dopo giorno nel faticoso eppur gioioso restare aderenti, “attaccati” – questo il significato etimologico del termine “fede” in ebraico – a un Dio per-cepito come Altro eppure del quale si è immagine, un Dio collocato lontano eppure sperimentato vicino, un Dio semper alter eppure rico-nosciuto e scelto come Sposo, il Dio soprattutto raccontato e mostrato da gesù Cristo.

Il Santo Padre Benedetto XVI ha uno splendido capitolo nell’enci-clica Deus Caritas est, in cui mostra gesù Cristo, l’amore incarnato di Dio. È Lui la nostra risposta: «La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito».5 La “novità” di Cristo, la

“novità” del suo realismo inaudito, è una “novità” da scoprire soprat-tutto per le giovani generazioni. Una novità che se incontrata sul serio porta al cambiamento della vita: da una vita all’insegna dell’avere ad una sotto il segno dell’essere.

Anzitutto, siamo chiamate ad essere donne credenti innamorate di Cristo. E questo vuol dire che la prima virtù da coltivare è quella della fede nel Dio vivente, dell’adesione amorosa ed amorevole a Lui. Ma non basta, dobbiamo porci non solo il problema dei motivi del nostro credere – con il rischio di ridurre la domanda a una questione di un cal-colo costi-benefici – e nemmeno delle radici, ma anche quello dei frutti;

sapere che ne abbiamo fatto, che ne facciamo ogni giorno della nostra

5 DC 12.

fede, quale segno poniamo di una realtà invisibile che gli altri possono percepire solo attraverso testimonianze visibili e credibili, autorevoli perché autentiche. Solo così le nostre vite diventeranno autenticamente

“missionarie”.

1.5. Formare a vivere i consigli evangelici

La formazione ai consigli evangelici deve fondarsi sul realismo

“inaudito” con cui Dio si mostra a noi nello stile di suo Figlio gesù.

Credo che anche lo stile carismatico salesiano si fondi su paradigmi di realismo “inaudito” e si giochi tutto sul fronte della relazionalità fino al dono ultimo di sé. A ben poco, infatti, servono i proclami solenni di convinzioni astratte, se queste non sanno calarsi in un vissuto umanissi-mo che testiumanissi-moni quella speranza nella vita più forte della umanissi-morte. Non si può dimenticare che la fede cristiana è nata e si è sviluppata mediante la testimonianza di uomini e donne semplici che hanno preso su di loro il giogo leggero di una vita conforme a quella mostrata da gesù (è in gesù che si realizza il sogno di Dio sull’umanità), una vita ricca di senso e di amore, una vita abitata dal prendersi cura dell’altro, una vita autenticamente umanizzante. Una vita bella, buona e beata, come dice Enzo Bianchi della comunità di Bose. D’altro canto, il prendersi cura è compito specifico della donna.

Certo, nemmeno noi consacrate siamo esenti dal dubbio, dalla ten-tazione – in primis della tenten-tazione dell’idolatria, del sostituire all’alte-rità l’opera delle proprie mani, del negare l’altro per imporre il proprio ego. Anche noi conosciamo il rischio dell’incredulità come poca fede, come non ascolto della volontà di Dio, come tenebra del non-senso.

Ciascuna di noi sperimenta quotidianamente la difficoltà di porre in essere relazioni pure, di usare i beni senza attaccarsi ad essi, di obbedire con la testa alta e il cuore umile; ciascuna di noi conosce l’insidia della mediocrità, dell’imborghesimento e della mentalità consumistica che spesso possono lambire le nostre comunità.6 Proprio queste esperien-ze di contraddizione rendono capaci di ascoltare le difficoltà dell’altro, di capire le perplessità di chi non condivide la nostra fede, di dire una parola franca che affonda la sua autorevolezza non in un dogma ma in

6 Cf RdC 12.

un vissuto, che ci rende capaci di dialogare nella diversità e nel rispetto delle singole identità. In una parola, di essere testimoni di quel gesù di Nazaret che ha narrato Dio agli uomini, rendendo visibile l’Invisibile.

Perché, oggi come sempre, non abbiamo bisogno di testimonials, ma di testimoni.

1.6. La forza comunicativa della testimonianza evangelica

Essere testimoni! Nell’intervento fatto alla COMECE7 sul tema Fede, speranza, amore: un contributo all’unità dell’Europa, ho messo in evidenza come tre donne compatrone d’Europa: Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce, con la concretezza della loro fede, speranza, carità abbiano offerto un contributo fecondo all’unità dell’Europa. Queste donne, coraggiose testimoni del Vangelo, innamorate di Dio e della gente, sono tre esempi da tenere presenti anche nella nostra missione di educatrici e formatrici. Fede, speranza, carità sono la roccia su cui poggia la nostra missione educativa.

Teresa Benedetta della Croce, ebrea convertita, monaca carmelita-na, pensatrice, filosofa, mistica, martire. Durante la sua vita peregrinò per diversi Paesi europei, gettò un ponte tra le sue radici ebraiche e l’adesione a Cristo; la forte, convinta, appassionata scelta di fede l’ha portata a concludere la sua esistenza nel tristemente famoso lager na-zista di Auschwitz, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell’uomo nell’immane vergogna della shoah. Tutto nella vita di questa donna è espressione del tormento della ricerca: la ricerca della verità, che Edith – poi Teresa Benedetta della Croce – ha trovato in una persona, gesù Cristo, e nella fede della Chiesa.

Brigida di Svezia, laica felicemente sposata, madre di otto figli, mi-stica, fondatrice. Una santa dell’estremo nord dell’Europa «dove il Continente quasi si raccoglie in unità con le altre parti del mondo».8 L’amore sponsale per il marito si univa alla preghiera e all’impegno per

7 Si tratta di una relazione tenuta al Congresso su Valori e prospettive per L’Europa di domani promosso in occasione dei cinquant’anni dei Trattati di Roma dalla Com-missione degli Episcopati delle Comunità Europee (COMECE), Roma, 23-25 marzo 2007.

8 giovanni Paolo iI, Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio per la proclama-zione di Santa Brigida di Svezia, Santa Caterina da Siena e Santa Teresa Benedetta della Croce a compatrone d’Europa, 1° ottobre 1999, 3.

i poveri e i malati. Servitrice della corte di Stoccolma, fu educatrice sapiente e in diverse occasioni diede consigli ai principi e ai sovrani per la gestione dei loro compiti. Mistica straordinaria sperimentò quell’in-tima unione con Cristo che sola dà il gaudio di amare spendendosi totalmente.

Caterina da Siena, la santa domenicana, compì uno straordinario cammino di perfezione tra preghiera, austerità e opere di carità. Le sue lettere infuocate si diramarono per l’Italia e per l’Europa, con parole ardenti sulle problematiche della Chiesa e della società della sua epoca.

Instancabile pacificatrice raggiunse grandi sovrani europei. Con la stes-sa forza si rivolgeva a sovrani e a ecclesiastici, richiamando tutti a farsi plasmare dalla forza del Vangelo, proponendo la riforma dei costumi e supplicando ciascuno di lasciarsi plasmare dalla carità, proponendo a tutti la fede che rende beati e la speranza che non delude.

Queste tre donne, con la loro vita e il loro operato, intessuti di fede, di speranza e di amore, ci additano la grande sfida che «reclama evan-gelizzatori credibili, nella cui vita in comunione con la croce e la risur-rezione di Cristo risplenda la bellezza del Vangelo».9 Evangelizzatori che si lasciano afferrare vitalmente dal dinamismo delle tre virtù teo-logali.

La fede innanzitutto. Riscoprire il volto autentico di gesù Cristo, impegnarsi nella ricerca di Lui, approfondire il senso del mistero della Sua presenza nella vita di ciascuno; il compito dei cristiani, il nostro compito è proprio quello di mostrare ai nostri contemporanei, e in par-ticolare ai giovani e alle giovani, qual è il bene più prezioso: la fede in gesù Cristo, fonte della speranza che non delude.

Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce, è una testimone credibile di questo travaglio interiore, di questo impegno costante di ricerca del-la verità. La sua nostalgia di infinito, il suo anedel-lare a qualcosa di grande si tradusse in un’esistenza donata, in una vita pienamente vissuta e con-clusa con un gesto di amore estremo.

Dinanzi ad una sorta di interpretazione secolaristica della fede cristia-na che la erode ed alla quale si collega ucristia-na profonda crisi della coscienza e della pratica morale, Teresa Benedetta della Croce ci richiama a vivere la nostra fede come un compito serio ed impegnativo di continua con-versione. I cristiani, le persone consacrate in particolare, sono, quindi,

9 iD., Ecclesia in Europa [= EE], Esortazione Apostolica Post-sinodale, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 2003, 49.

chiamati ad avere una fede che consenta di confrontarsi criticamente con l’attuale cultura resistendo alle sue seduzioni; d’incidere efficace-mente sugli ambiti culturali, economici, sociali e politici; di trasmettere con gioia la fede alle nuove generazioni; di costruire una cultura cristia-na capace di evangelizzare la cultura più ampia in cui viviamo.

E poi la speranza. Vivere, annunciare, celebrare e servire il Vangelo della speranza è una sfida e un impegno. Sperare è uscire dall’isolamen-to esistenziale, prendendo coscienza che, se Dio ama me e gli uomini miei fratelli, apparteniamo insieme a una comunità in cammino (siamo figli dello stesso Padre, fratelli e sorelle tra noi). Péguy in un suo po-emetto presenta le tre virtù teologali come tre ragazzine che corrono liete. La più piccola è, appunto, la speranza. Però attenzione! Sta in mezzo alle altre due e le trascina nel suo agile correre. Perché dà respiro forte alla fede e fa correre la carità fuori dalle complicazioni egoiche.

Caterina da Siena, che con la sua “caparbia” speranza in Cristo Si-gnore è riuscita a compiere opere grandi per la Chiesa e la società del suo tempo, è testimone di un impegno grande, concreto, anche rivo-luzionario, basato sulla contemplazione del volto di Cristo. Oggi, la speranza è merce rara, ma non dimentichiamo che la speranza è la virtù dei tempi difficili (noi possiamo contare sull’aiuto di Maria Ausiliatrice:

la Madonna dei tempi difficili!).

E infine, ma non per ultima, la carità. Vivere l’esperienza dell’Amo-re di Dio, pdell’Amo-reoccuparsi che gli uomini e le donne di oggi incontrino questo Amore è impegno da cui nasce il servizio della carità e l’amore preferenziale per i poveri, in tutti i molteplici aspetti. Brigida di Sve-zia, e gli innumerevoli santi della Carità che in ogni tempo e in ogni Nazione d’Europa hanno speso la propria vita a favore degli ultimi – possiamo ricordare, tra gli altri, Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyo-la, giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de’ Paoli, Luisa de Marillac, giuseppe B. Cottolengo, giovanni Bosco, Luigi Orione, che sono i fondatori e le fondatrici che Benedetto XVI cita nella sua lettera

E infine, ma non per ultima, la carità. Vivere l’esperienza dell’Amo-re di Dio, pdell’Amo-reoccuparsi che gli uomini e le donne di oggi incontrino questo Amore è impegno da cui nasce il servizio della carità e l’amore preferenziale per i poveri, in tutti i molteplici aspetti. Brigida di Sve-zia, e gli innumerevoli santi della Carità che in ogni tempo e in ogni Nazione d’Europa hanno speso la propria vita a favore degli ultimi – possiamo ricordare, tra gli altri, Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyo-la, giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de’ Paoli, Luisa de Marillac, giuseppe B. Cottolengo, giovanni Bosco, Luigi Orione, che sono i fondatori e le fondatrici che Benedetto XVI cita nella sua lettera