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Le risposte della vita consacrata

LA FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ CARISMATICA

DEL CARISMA SALESIANO, OGGI Adriano b regolin 1

4. Le risposte della vita consacrata

A questo mondo che ci interpella, spesso senza parole, ma con le sue insicurezze e con le sue paure, la Chiesa vuol dare una risposta e chiama anche noi religiosi a fare la nostra parte perché il mondo ritrovi la vita, la speranza in un futuro vivibile. Siamo in grado di tentare una risposta che porti il mondo a ripensarsi e a sperare? Sarà il banco di prova della nostra profezia.

4.1. “Dov’è il vostro Dio?”

La prima risposta che dobbiamo al mondo inquieto si riferisce alla domanda che esso ci rivolge: “Dov’è il vostro Dio?” (cf Sal 42[43],4) che equivale a dire: “Chi è il vostro Dio?”. Chi guida la vostra vita e quale speranza vi sostiene? Al mondo di oggi che teme di essere stato lasciato solo, senza sapere dove sta andando, noi rispondiamo che il nostro Dio è un Dio che ci ama, che ci conosce, e che non ci ha abban-donato, anche quando ci sentiamo soli. Ai poveri del mondo, caduti in mano dei briganti, noi religiosi ci facciamo prossimi e così facendo rive-liamo loro il volto di Colui che “non passa oltre” (Lc 10,30) neppure per andare al tempio, ma che si ferma e si prende cura di loro. Nello stesso tempo diciamo loro che il nostro Dio non ci ha lasciato in balia del caso e neppure di chi non si cura di noi, come fanno i potenti di questo mondo, che il nostro Dio non è il potere, né l’avere, né il piacere, né altro idolo “opera delle mani dell’uomo”, che saccheggia e porta via i nostri beni e le nostre ricchezze. Il nostro Dio è invece un Dio che ci ama come un padre, che dà consistenza alla nostra vita e che alimenta la speranza, che ci ha dato la misura del suo amore quando ha consegnato il Figlio suo unigenito (gv 3,16) perché fosse “il primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Col 1,18), il capostipite della famiglia uma-na rinnovata dalla Pasqua, in cui tutti siamo figli e fratelli. Ma questo lo possiamo dire solo con la nostra vita, quando cioè rimaniamo volentieri in mezzo ai fratelli, in loro «compagnia», solidali con loro per aiutarli a crescere nella comunione tra loro e con Dio e a raggiungere la pienezza della vita, quando il nostro amore per Dio diventa amore e servizio per i fratelli.12

12 “Dio infatti non è ingiusto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete

4.2. La vita consacrata proclama un’altra scala di valori

Il nostro mondo occidentale ha bisogno di speranza. Noi siamo in grado di offrirgliela mostrandogli le ragioni della nostra scelta di vita.

Questa dovrebbe essere la nostra preoccupazione, non per una forma di larvato narcisismo, ma per condividere quelle ragioni che alimentano la speranza. Le ragioni della nostra speranza dovrebbero essere traspa-renti, visibili, ma, se le dovessimo affermare, ci è chiesto di farlo con

“dolcezza e rispetto” (1Pt 3,16) essendone appunto testimoni. Solo così noi religiosi saremo in grado di dire al mondo che l’uomo vale più delle cose che possiede, più della sua stessa vita, che la speranza sta appunto nel ritrovare la presenza viva del Risorto che alimenta la speranza e che invita a lavorare per quel mondo fraterno nella giustizia e nella pace che egli ha inaugurato nella Pasqua. La prima risposta che i religiosi possono dare alle incertezze del mondo d’oggi è quindi la confessio Trinitatis.13 Con i gesti della nostra consacrazione noi riveliamo un Dio che è amore, condivisione e dono di sé nel servizio del mondo, che tra-scende e compie ogni giusto desiderio dell’uomo e fonda una comunità umana in cui i più piccoli contano come i più grandi. Con questa stessa confessio dichiariamo che se il progresso sociale non condurrà a vera fraternità fondata nella comune paternità di Dio, le speranze saranno solo fonte di delusione: il mondo continuerà a distruggersi nelle rivalità e nei conflitti e i poveri saranno sempre più poveri.

4.3. Esperti in comunione

La fraternità e, specialmente, la vita comunitaria in comunità nate

“non da volere di carne né da volere d’uomo, ma da Dio” (gv 1,13) che raccolgono persone di diversa età, formazione ed etnia, sono una testi-monianza e quasi un pegno di quel mondo nuovo in cui tutti possono vivere come fratelli, collaborando alla soluzione dei problemi comuni.

In Vita Consecrata giovanni Paolo II ha fatto appello proprio alle per-sone consacrate perché testimonino al mondo di oggi che è possibile ritrovare la fraternità e quindi ricostruire il mondo secondo il progetto del Regno di Dio.

dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete tuttora ai santi”

(Eb 6,10).

13 Cf VC 14-40.

Le comunità religiose, specialmente quelle internazionali, possono diventare scuola di una spiritualità della comunione e della riconcilia-zione. In questo modo i religiosi possono annunziare e già realizzare quella “globalizzazione della solidarietà”, auspicata da tutti.14 È chiaro che questo richiede delle comunità religiose che siano luogo di autenti-che relazioni umane, in cui si ami con il cuore, si accolgano e si rispet-tino le differenze, non temendole come minacce, ma considerandole ricchezze offerte a tutti. Questa risposta comporta, evidentemente, un impegno che sappiamo tutti quanto sia esigente!

4.4. La scelta preferenziale dei poveri

Il nostro impegno in mezzo ai poveri, e non solo in favore dei poveri che noi crediamo essere l’icona del Signore, sarà la più eloquente pro-fezia di un mondo in cui non saranno le ricchezze a misurare il valore della persona, ma in cui nella comunione è offerta a tutti la possibilità di affermarsi. Il vivere in mezzo ai poveri è una risposta e una proposta rivolta a chi si sente padrone degli altri e a chi misura il successo con il conto in banca e con il potere con cui dispone degli altri. “La vita dell’uomo non dipende dai suoi beni” (Lc 12,15). Un mondo che non cerca di superare la povertà, non si può costruire nella pace. La pace verrà solo quando ciascuno cercherà la comunione con l’altro, pronto a condividere i propri beni, perché tutti possano vivere. Inoltre la scelta di servire, in modo umile e amorevole, gli altri, soprattutto coloro che faticano socialmente e sono deboli, è una parola che rivela la verità dell’uomo. Nasce allora un mondo nuovo, in cui non contano solo i forti, i ricchi e coloro che possono fare quello che vogliono, ma tutti.

Un mondo nuovo in cui i poveri non saranno più oggetto della nostra compassione ma soggetti della loro liberazione. Per questo noi religiosi non abbiamo bisogno di nessuna ideologia o movimento politico no global: basterà che siamo solidali con i poveri nella linea del buon Sa-maritano, che restiamo tra loro, condividendo le loro speranze e le loro lotte, che assumiamo uno stile semplice e povero che non discrimina e non offende nessuno. In questo modo diremo a tutti e mostreremo che

“un mondo altro, diverso, è possibile”.

14 Cf ivi 51.

4.5. Comunità aperte, scuole di umanità autentica e di dialogo

Un’ultima risposta alle attese del mondo sarà di aprire le porte del-le nostre case religiose, perché tutti, soprattutto coloro che si sentono senza speranza, i rifugiati o i profughi, a qualsiasi tradizione religiosa appartengano, possano entrare e stare con noi, godendo della semplice ospitalità cristiana, senza dover essere previamente dei «nostri».

Le comunità religiose devono essere case della cattolicità, «case del Padre» dove tutti possono sentire il cuore di Dio. Potranno vedere con i loro occhi come sarebbe bello se la comunione si stabilisse tra noi, ovunque. Noi con le nostre comunità diciamo che questo è possibile, perché il Dio che è all’origine della vita consacrata, non è il Dio dei potenti e dei grandi, ma il Dio che chiama tutti alla comunione, a vi-vere insieme da fratelli e a cercare il dialogo della vita. Ciascuno potrà deporre il fardello delle proprie preoccupazioni e sentire una parola fraterna che lo incoraggia.

Ma perché questo sogno si realizzi, le comunità dovranno essere realmente aperte, senza alcuna barriera: chiunque cerca Dio o il suo amore potrà parlare con noi del Dio in cui crede, potrà dirci chi è il suo Dio e scoprirà con gioia che è lo stesso Dio che guida la nostra vita consacrata.

Per concludere, mi pare che sia molto vero quello che ha scritto recentemente il Rettor Maggiore, don Pascual Chávez Villanueva: «La vita consacrata rappresenta una vera terapia per la nostra società e un dono alla Chiesa, a condizione che sia un segno visibile e credibile della presenza e dell’amore di Dio (mistica), che sia un’istanza critica nei confronti di tutto quanto attenta alla persona umana, intesa secondo il disegno di Dio (profezia), e che sia solidale con l’umanità, specialmen-te la più povera, bisognosa, esclusa o messa in disparspecialmen-te (diaconia)».15 Non è forse una maniera di vivere quello che il Papa chiama, con le parole di Paolo (Rm 12,1), “culto spirituale”, quella religione che nasce dall’Eucaristia?16

15 Chávez villanueva Pascual, La profezia della Vita Consacrata nella Chiesa di oggi. Una vita samaritana, in Testimoni 20 (2007) 4, 11.

16 Cf beneDetto XVI, Sacramentum Caritatis [= SC], Esortazione Apostolica Post-sinodale, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 2007, 70.

4.6. Religiosi nuovi: profeti, poveri e indifesi

Per questa generazione, intimorita e insicura, in cerca di speranza, noi dobbiamo formare degli uomini e donne che siano fratelli, sorelle in grado di dare speranza a quelli a cui sono mandati. Questa è una risposta urgente ad una sfida interna che riguarda la nostra vita religio-sa. Nessuno ignora che preparare uomini e donne per la generazione attuale e per domani è la sfida cruciale che condiziona anche il futuro della vita religiosa. Anche noi abbiamo bisogno di speranza negli uomi-ni di oggi, nella generazione attuale. Sono anch’essi figli del loro tempo, incerti, insicuri, fragili e deboli.

La nostra risposta è credere che gli uomini e le donne di oggi, come Dio ce li concede, sono quelli che potranno acculturare la vita consa-crata per il nostro tempo. Ovviamente dovremo accompagnarli ade-guatamente nel loro cammino di formazione.

5. Alcune attenzioni per formare religiosi/e ‘nuovi’, capaci di