• Non ci sono risultati.

La formazione oggi: istanze nuove e nodi critici

L’importanza ‘strategica’ della formazione sui processi di cambia-mento in atto nel contesto socioculturale ed ecclesiale è innegabile.

Nello sviluppo delle società complesse e globalizzate, mentre si sta im-ponendo un fenomeno crescente di ‘pedagogizzazione’ professionale e sociale fino ad una eccessiva e capillare qualificazione e specializza-zione, la formazione viene considerata come lo strumento privilegiato e strategico di gestione e sviluppo delle risorse umane, ma anche come una realtà composita declinata in aree di professionalità specifica e adattata a contesti organizzativi diversificati. Mentre istituzioni di ogni tipo vanno aumentando e diversificando le loro iniziative di formazio-ne, la domanda di formazione diventa sempre più estesa ed elevata.8

8 Da un lato, vediamo allargarsi le esigenze della formazione permanente, che ac-compagna idealmente la persona lungo tutto l’arco della sua vita, ormai al di là di pre-cise delimitazioni tra ambito professionale o sociale o personale. Dall’altro, constatia-mo che qualsiasi formazione oggi domanda livelli sempre più elevati di qualificazione, perché i profili professionali di ogni tipo comportano esigenze molteplici. Infatti, sono

All’incrocio di molteplici attese e prospettive, la formazione, proprio perché costituisce essenzialmente uno spazio di costruzione di identità e di comunità, luogo di fedeltà e di sviluppo del carisma dell’Istituto, è il nome del futuro della Vita Consacrata.9 Difatti, guardando lo scenario futuro della vita religiosa, di cui non è facile coglierne le coordinate e i conseguenti risvolti, ci si accorge subito come la tanto ricercata rifonda-zione non può che passare oggi attraverso la formarifonda-zione.

È necessario però che la formazione abbia il coraggio di confron-tarsi continuamente con i mutamenti culturali e le prospettive di fondo che si aprono. Sono personalmente convinta che fare formazione in un mondo che cambia continuamente sotto i nostri occhi, in un tempo di soggettività e di frantumazione, è una sfida ed una provocazione a cercare ‘strade nuove’ cominciando da noi stessi. I mutamenti così dif-fusi e veloci che stiamo vivendo, non ci permettono, perché ci manca il tempo, di assimilare esperienze e valori e di integrarli in sintesi nuove da proporre poi alle nuove generazioni. Impostare dei percorsi educati-vi e formatieducati-vi, sintonizzati sul cambiamento, all’insegna della mobilità, della novità e della precarietà/provvisorietà, non è facile per nessuno, né per la Chiesa e le istituzioni educative, né per la vita religiosa che fino a qualche decennio fa si muovevano su paradigmi di stabilità o di fissità, più che sulla dinamicità di una situazione in continua e rapida evoluzione.

Molte ragioni della crisi attuale si possono ricondurre alla difficoltà nel trovare modelli, anche mentali, per vivere nella logica dei processi e della precarietà della condizione umana. La crisi è presente in ogni

sempre più importanti requisiti come la capacità di collaborare, di acquisire linguaggi scientifico-culturali, la consapevolezza e la duttilità dei ruoli organizzativi, l’abilità di problem solving, l’attitudine alle scelte e decisioni e, insieme, il possesso di impianti valoriali di fondo.

9 «Il futuro della vita consacrata dipende dalla capacità dinamica che avranno gli Istituti nella formazione» (sinoDoDei vesCovi, La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo. Instrumentum Laboris [= IL], Bologna, EDB 1994, 86), così esordisce il documento in preparazione al Sinodo aprendo il discorso sulla formazione.

Nell’Esortazione Apostolica Vita Consecrata il tema della formazione, pur attraversan-do tutto il testo, si colloca nella seconda parte intitolata ‘Guardanattraversan-do verso il futuro’

(giovanni Paolo ii, Vita Consecrata [= VC], Esortazione Apostolica Post-sinodale, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 63-71), quasi ad indicare che, nella com-plessa e difficile transizione culturale in cui è immersa la vita religiosa oggi, la forma-zione costituisce un punto di partenza e di arrivo sul quale puntare perché ne esca rinnovata e potenziata.

passaggio, ma oggi la formazione si trova di fronte ad un passaggio cru-ciale verso modelli nuovi ed inediti: le stanno dinanzi sentieri ancora da esplorare che attendono coraggiosi avventurieri i quali non temano l’ansia dell’incertezza di fronte al cambiamento. La sfida da affrontare, soprattutto da parte di chi ha la responsabilità diretta e indiretta della formazione, è quella di saper gestire, o meglio, saper ‘guidare’ il cambia-mento che comporta in primo luogo aiutare le persone ad apprendere e a saper apprendere.10 Si aprono, cioè, nuovi spazi per l’apprendimento che vanno al di là di una semplice e lineare trasmissione di contenuti e di valori; è necessario offrire degli strumenti nuovi che rispondano all’esigenza di ‘imparare ad imparare’, in un’ottica di apprendimento permanente.

La formazione alla Vita Consacrata, dunque, non può non misu-rarsi con i modelli formativi che stanno emergendo dalla ‘modernità riflessiva’, ma soprattutto dovrà sempre più fare i conti con i processi di apprendimento ormai notevolmente cambiati, a motivo delle nuove tecnologie informative, in particolare della multimedialità e di internet.

Ma deve confrontarsi inevitabilmente anche con le trasformazioni dei saperi tradizionali e l’emergere di nuovi saperi nell’attuale società della conoscenza, se non vuole rischiare di rimanere nel cerchio di un siste-ma auto-referenziale.11

10 Nell’ambito delle scienze della formazione, oggi si parla sempre più di apprendi-mento auto-diretto, soprattutto in riferiapprendi-mento all’educazione degli adulti. L’esperienza e lo studio in campo organizzativo ha dimostrato che la qualità di una istituzione che voglia sfidare il futuro consiste nella sua capacità di affrontare e gestire il cambiamen-to, e non solo. Si tratta di realizzare dei cambiamenti reali che vanno progettati, ma anche accompagnati o meglio ancora guidati. In tal senso, è interessante il modello nuovo di leadership che sta emergendo sempre più nel nostro tempo, che trova una sua dimensione fondamentale proprio nella capacità di saper ‘guidare il cambiamento’ [cf kotter john P., Guidare il cambiamento. Perché i progetti di trasformazione falliscono, in Quaglino gian Piero (a cura di), Leadership. Nuovi profili di leader per nuovi scenari organizzativi, Milano, Raffaello Cortina 1999, 191-204].

11 Si pensi alla diffusione massiccia dell’e-learning, della formazione a distanza e online. Verso la fine degli anni ‘80 la multimedialità ha fatto il suo ingresso nella cultura contemporanea; la crucialità dell’evento non è data solo dalla natura in sé di una nuova tecnologia della comunicazione, più potente e versatile delle precedenti: si pensi al fatto che essa sembra aver spiazzato una delle tecnologie di base si cui si è costituita la cultura moderna: il libro stampato. Ma ancora più radicale è l’esplosione di una nuova rivoluzione tecnologica dalle implicazioni ancora non del tutto conosciute: internet.

Internet, infatti, ha investito il modo di essere, di comunicare, la nostra stessa identità, le forme stesse della coesistenza sociale; ha portato a ridurre e ad annullare la distanza e

Sono molteplici, infatti, le sollecitazioni nell’ambito delle scien-ze della formazione e dell’educazione che orientano nella direzione di processi formativi differenti rispetto al passato, come l’educazione continua e il life long learning. Intanto, sono state rimesse in discussio-ne, perché soggette a profonde mutazioni, le tradizionali dimensioni dell’apprendere, mentre si stanno ridefinendo le modalità educative della formazione stessa.

Le trasformazioni e gli sviluppi relativi alla formazione in questi ulti-mi decenni hanno contribuito a consolidare da una parte un’immagine complessiva dei fenomeni formativi e dall’altra a mettere in discussio-ne modelli formativi e concezioni di formaziodiscussio-ne talvolta sbilanciate in rapporto al sapere (sul sapere o sul saper fare o sul sapere essere) o alle dimensioni della persona (sull’asse emotivo-razionale o su quello prevalentemente cognitivo, oppure sui comportamenti da trasformare o ancora sull’esperienza). Oggi si propende a collocare la formazione nell’ambito del saper fare e del saper essere, cioè ai processi di cambia-mento che riguardano atteggiamenti personali e abilità consolidate.

2.1. Quale formazione?

L’interrogativo non è semplicemente retorico ma radicale: non è facile, infatti, convergere sulla definizione del concetto di formazione.

Non è scontato che tutti coloro che parlano di formazione pensino esattamente le stesse cose. Eppure, l’esperienza e lo studio ci dicono che è dal modo di intendere o pensare la formazione che scaturisce la modalità concreta di fare la formazione. Difatti, dietro e attraverso ogni prassi formativa ci sono idee, convinzioni, modi di rappresentare e af-frontare la realtà delle persone, visioni o pre-comprensioni dei processi di crescita e dello stesso agire formativo. Spesso tutto ciò non è visibile, eppure in realtà si ritrova negli interventi formativi come un sottofon-do, non sempre esplicitato o tematizzato, ma piuttosto legato ad un

‘senso comune’ (non sempre di ‘buon senso’) costituito dall’insieme delle nostre convinzioni su come noi formiamo e ci formiamo.

Il rischio, non infrequente oggi, è l’esplosione di proposte formative senza che siano esplicitati i modelli e le concezioni di riferimento, senza

ha introdotto nuove forme di ‘presenzialismo ubiquitario’: fisicamente si è in un luogo ma psicologicamente si è presenti in più luoghi, al punto da amplificare le appartenenze comunitarie.

cioè un’adeguata riflessione sulla realtà complessa del formare e sulla rappresentazione anche mentale che i soggetti hanno di tale realtà.

È necessario allora mettere sul tappeto, o meglio esplicitare ciò che spesso viene ritenuto come presupposto. Pertanto una domanda che dovrebbe guidare ogni riflessione sulla formazione è appunto questa:

quale cultura della formazione si è sviluppata in questi anni e che an-cora oggi orienta più o meno consapevolmente gli Istituti religiosi nel progettare percorsi formativi per i propri membri? Dicendo ‘cultura’

ci si riferisce innanzitutto alla ‘mentalità’ di coloro che promuovono la formazione o di fatto fanno formazione (persone e istituzioni): qua-le mentalità, quaqua-le idea di formazione circola nelqua-le nostre comunità e negli istituti; in altre parole, quali paradigmi mentali sottostanno alla nostra azione formativa, quali finalità strategiche esplicite e/o implicite, quale investimento sulla formazione?

Se la formazione costituisce una strategia fondamentale per lo svi-luppo delle persone, perché siano in grado di gestire i processi di cam-biamento, occorre che i responsabili, o meglio i governi, degli Istituti prima di tutto riflettano sul modo di intendere la formazione, come pure sui recenti mutamenti di tendenza a livello di teorie della forma-zione, e promuovano opportunità, spazi, risorse e strumenti per garan-tire una formazione continua dei propri membri.12

2.1.1. Una formazione ri-visitata e ri-progettata

In ogni periodo di transizione e cambiamento di paradigmi culturali si può correre il rischio di dare risposte ‘tradizionali’ e consolidate a situazioni, circostanze ed eventi che sono cambiati o che sono

vortico-12 Una nuova cultura della formazione, se si vuole essere aderenti alla realtà, deve soprattutto guardare, oltre alle grandi finalità della formazione (la configurazione a Cristo e la costruzione dell’identità carismatica, ecc.), ad una nuova dimensione di pro-getto, a un nuovo campo di finalità strategiche, cioè a finalità di tipo più operativo che assumono il carattere di priorità e la connotazione di strategia. Ciò significa lavorare insieme per individuare dei punti di partenza condivisi e ritenuti prioritari sullo sfondo delle alcune istanze formative essenziali. Le indicazioni di priorità e la loro sequenza facilitano la convergenza delle risorse e degli interventi verso una direzione concreta, senza dimenticare le prospettive di fondo, con l’attenzione al presente ma anche al futuro [cf Del Core Pina, La formazione, oggi. Esigenze, sfide e problematiche alla luce delle nuove prospettive culturali ed ecclesiali, in Rivista di Scienze dell’Educazione 39 (2001) 1, 49-78].

samente in cambiamento. Ciò vale a maggior ragione per la formazione che se viene ‘ri-visitata e ri-progettata’ potrà consentire di far fronte all’incertezza o alla frammentarietà delle iniziative e proposte. Ciò si-gnifica concretamente che vanno riesaminati con serietà e senso critico i modelli di formazione: non solo i metodi adottati ma soprattutto le specifiche modalità di dialogo e di incontro con le persone, la conce-zione stessa di formaconce-zione, le prospettive differenti circa il carisma, il discernimento, l’accompagnamento, la comunità, ecc.

È indispensabile, in altri termini, trovare un accordo su queste pro-spettive di fondo che costituiscono una sorta di meta-modello, cioè quel modello sottostante ad ogni prassi, esperienza o intervento, ad ogni scelta o strategia e priorità. E ciò è prioritario a tutto, perché permette di rintracciare i punti di convergenza, le intenzionalità e, dunque, anche le direzioni da intraprendere. Se tale modello rimane troppo implicito si rischia di procedere a tentoni o di imboccare vicoli ciechi, senza dire che possono darsi molti conflitti, apparentemente legati alle relazioni tra le persone o alla diversità di contenuti, ma che di fatto sono conflitti a livello di meta-modello.

Esistono differenti modi di intendere la formazione, anche solo rispetto alla sua definizione generale. Si può, ad esempio, pensare la formazione come esito o come prodotto, la formazione come servizio o come processo. Non è la stessa cosa, inoltre, pensare la formazione come un orientamento prevalente al saper fare o come un’attenzione specifi-ca al saper essere. Se la formazione viene intesa mettendo al centro il processo di apprendimento, un apprendere per... o un apprendere in ter-mini di contenuti, ma ancora più se la formazione è considerata come un dare forma, l’approccio formativo potrebbe essere prevalentemente

‘esteriore’ e di superficie, se non addirittura, risultare condizionante o funzionale/strumentale, o ridursi ad attività di pseudo-educazione, ad apprendimento di conoscenze o competenze che possono anche arric-chire la personalità, ma non riescono a trasformarla dal di dentro.13 Il

13 Può essere rischioso fondare la formazione solo sull’acquisizione di competenze o sul conseguimento di una professionalità. Non è sufficiente ritenere una persona matura semplicemente perché è competente in qualche cosa. Un’identità personale e vocazio-nale che si costruisca attorno a delle competenze, senza tener conto del quadro di valori e di motivazioni che guidano la condotta e le scelte quotidiane della persona, risulta piuttosto superficiale e fragile in rapporto agli atteggiamenti di coerenza e di fedeltà alla scelta fatta. Senza dire che si può vivere talvolta una conflittualità forte tra le esigenze vocazionali e quelle della professionalità specifica nella quale si è diventati competenti.

passaggio da una formazione che dà forma ad una formazione che fa crescere è tutt’altro che scontato, non solo da un punto di vista teorico ma soprattutto a livello di prassi formativa.

Come ha scritto molto bene il poeta e filosofo indiano Rabindranath Tagore: “Una vera educazione non può essere inculcata a forza dal di fuori; essa deve invece aiutare a trarre spontaneamente alla superficie i tesori di saggezza nascosti sul fondo”.

Rivisitare e riprogettare la formazione significa allora concretamente confrontarsi con il modello formativo sottostante alle diverse modalità di attuarla, che comporta una serie di accentuazioni e di sottolineature originate proprio dai modelli di pensiero con i quali si guarda la forma-zione stessa. Occorre pertanto riconoscere le principali dimensioni che caratterizzano tale concezione, i rapporti tra le diverse opzioni relative a ciascuna dimensione, individuare le principali istanze che pongono una domanda di qualità alla formazione, identificare con chiarezza i bisogni formativi emergenti dai destinatari della formazione (persone e comunità) e dal contesto in cui si vive che è in continuo cambiamento (analisi della situazione). Non si può dimenticare però di confrontarsi in primo luogo con le indicazioni ecclesiali, soprattutto quelle derivanti dal magistero della Chiesa, con gli orientamenti e la prassi formativa dell’Istituto.

2.1.2. Tra percorsi formativi ‘tradizionali’ e nuovi modelli formativi Se si dà uno sguardo agli scenari formativi e alla prassi attuale, la formazione alla Vita Consacrata in questi anni ha conosciuto rilevanti, e talvolta contraddittori, mutamenti. Essa si trova di fronte ad una svolta di grande rilievo, nella quale i modelli formativi ‘tradizionali’ non ri-sultano più adeguati alle esigenze e problematiche dei destinatari, dei formatori e alle istanze formative provenienti dallo stesso dinamismo profetico della vita religiosa e, soprattutto dei carismi vocazionali.

Sembra che i modelli formativi di cui si dispone non riescano a dar ragione della complessità e nello stesso tempo della specificità della formazione alla vita consacrata nell’attuale contesto culturale in cam-biamento. Per cui convivono modelli e percorsi ‘tradizionali’ con mo-delli di formazione ‘nuovi’ non totalmente soddisfacenti e consolidati, soprattutto dal punto di vista dei bisogni formativi e delle conseguenti azioni formative.

Qua e là si rileva la tendenza a riproporre schemi metodologici se-gnati da rigidità o da formalismo, al modello della ‘uniformità’ con l’attenzione ai comportamenti più che agli atteggiamenti. Ma si os-servano, al contrario, modalità di conduzione del processo formativo che non hanno una chiara progettualità, all’insegna della creatività e dell’improvvisazione, senza offrire alcuna proposta formativa nell’at-tesa che essa venga sollecitata dai candidati stessi. Talvolta, il permissi-vismo dilagante nella società viene assunto come criterio di non-inter-vento anche nella formazione, in nome di un malinteso rispetto delle persone.

Il passaggio da metodi formativi marcatamente ascetici e moralisti-ci, favoriti da modalità piuttosto direttive e verticistiche, a metodi di formazione che conducono la persona a crescere nella libertà, a saper pensare e agire con senso di iniziativa e responsabilità, a saper colla-borare, a sviluppare creatività e gratuità, non è stato facile né tuttora è scontato o consolidato.

Inoltre, i processi di ristrutturazione e di destrutturazione in atto negli Istituti e Congregazioni, anche a motivo del calo numerico del-le vocazioni, stanno portando ad una riconfigurazione compdel-lessiva dell’organizzazione della vita religiosa, in particolare della formazione.

La preoccupazione e l’ansia del cambiamento, il timore di prendere decisioni adeguate, di ‘tradire’ il carisma o la spiritualità, la necessità di affrontare problemi e priorità immediate dal punto di vista logistico e organizzativo, hanno comportato una serie di conseguenze non sempre facilmente individuabili: si pensi, ad esempio, alle tante improvvisazio-ni all’insegna della novità, specie se in assenza di orientamenti chiari da parte della leadership centrale, oppure laddove c’è una maggiore cen-tralizzazione all’emergere di nuovi vincoli e norme molto dettagliate, ma poco aderenti alla realtà che invece richiede flessibilità e adattamen-to, se non addirittura ritorni a schemi rigidi e anacronistici di modelli del passato, non più adeguati alle nuove situazioni.

Di fronte a queste disarmonie presenti negli attuali modelli di for-mazione ci si interroga seriamente sugli esiti futuri di tale situazione, mentre a fatica si intravedono prospettive per il domani. È necessario, allora, individuare un modello formativo che non si contrapponga ai modelli formativi precedenti, ma che cerchi di valorizzarli per quel che di positivo si portano dentro e per tutti quegli elementi che si possono rendere contestuali e specifici alle nuove esigenze formative e ai diversi contesti culturali dove si realizzano i percorsi formativi.

2.2. Modelli di formazione espliciti e/o impliciti nella prassi formativa Nel panorama attuale della formazione in generale, come ad esem-pio la formazione degli educatori o degli operatori nei servizi alla per-sona, il problema cruciale è quello di creare modelli e percorsi adatti all’attuale contesto socioculturale, capaci di rispondere all’espressione dei nuovi bisogni d’apprendimento e di aiutare le istituzioni ad esse-re competenti nell’organizzaesse-re la formazione. Non è semplice, infatti, distinguere tra le molte iniziative ed attività che si svolgono – come evidenzia molto bene Duccio Demetrio – se ci si trovi dinanzi a veri e propri modelli di formazione o se invece si tratti solo di un arcipelago di attività, di proposte e di esperienze che non consentono di giungere ad una qualche possibile identificazione di modelli formativi. Forse ci si trova semplicemente dinanzi a modalità diverse di praticare la stessa formazione.14 Non sempre però tali modelli di formazione si riferiscono a orizzonti di significato comuni che danno consistenza alle esperienze e agli eventi formativi. Da qui nasce la frammentazione delle iniziative e delle esperienze.

Nella logica produttiva tipica della nostra società le linee di ten-denza che sottostanno a tali progetti di formazione sono orientate più alle esigenze delle organizzazioni (aziende, servizi socio-sanitari e so-cio-educativi, istituzioni educative, istituti religiosi, comunità, gruppi e movimenti, ecc.) e della missione che alle esigenze del soggetto, cioè delle persone che devono formarsi in funzione di un compito più che di un ruolo. Occorre, in tal senso, vagliare le esperienze e le iniziative per non correre il rischio di entrare nella medesima logica di consumo e competitività presente nelle istituzioni ed organizzazioni produttive.

Nella logica produttiva tipica della nostra società le linee di ten-denza che sottostanno a tali progetti di formazione sono orientate più alle esigenze delle organizzazioni (aziende, servizi socio-sanitari e so-cio-educativi, istituzioni educative, istituti religiosi, comunità, gruppi e movimenti, ecc.) e della missione che alle esigenze del soggetto, cioè delle persone che devono formarsi in funzione di un compito più che di un ruolo. Occorre, in tal senso, vagliare le esperienze e le iniziative per non correre il rischio di entrare nella medesima logica di consumo e competitività presente nelle istituzioni ed organizzazioni produttive.