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In conclusione: un modello di formazione a confronto con bisogni formativi ‘nuovi’

le esperienze di servizio e l’esercizio di piccole e graduali

respon-• sabilità;

il coinvolgimento attivo nella progettazione formativa e nel

pro-• getto comunitario;

la condivisione e la verifica della vita (riflessione sulle espe

rien-• ze).38

4. In conclusione: un modello di formazione a confronto con bisogni formativi ‘nuovi’

Individuate le caratteristiche della ‘nuova’ impostazione della for-mazione, rintracciabile nel magistero postconciliare e nel confronto

38 Cf iD., La responsabilità personale, elemento costitutivo della formazione iniziale, in aa.vv., Crescere liberi e responsabili. La formazione un cantiere aperto, Milano, Pao-line 2007, 99-140.

con alcuni fenomeni nuovi oggi ricorrenti nel tessuto sociale (globa-lizzazione, neoliberismo, new economy, relativismo morale, ecc.), è op-portuno confrontarsi con le nuove domande formative emergenti, sia in riferimento ai soggetti che alle istituzioni. Si pensi, ad esempio, al modo diverso di concepire la comunità e il vivere insieme, che non solo costituisce l’humus su cui si costruiscono le identità e maturano i valori vocazionali-carismatici, ma è luogo di incontro e/o scontro tra le gene-razioni il cui divario sembra allargarsi sempre più, proprio sul versante delle relazioni e del vivere e lavorare insieme.

I nuovi modelli formativi devono confrontarsi con le istanze e i nodi critici derivanti dal contesto culturale ed ecclesiale attuale e dal-la situazione giovanile in continuo cambiamento per saperne cogliere le implicanze a livello di formazione sia iniziale che permanente. Co-noscere e gestire le implicanze che esigono una particolare attenzione nel discernimento e nell’accompagnamento delle giovani vocazioni è compito prioritario di chi ha la responsabilità di progettare e realizzare la formazione.

Un primo punto nodale e critico riguarda l’identità e l’appartenen-za, entrambe essenziali nel processo di crescita personale, oggi messe in questione dalla soggettività e dall’omologazione delle identità, de-gli stili di vita e di comportamento propri di una cultura globalizzata.

Cosa può significare concretamente aiutare le persone a crescere nella propria identità personale, culturale e vocazionale sviluppando un’ap-partenenza alla comunità derivante dalla consapevolezza di partecipare alla medesima vocazione e di lavorare per la medesima missione? Come affrontare il problema delle multiappartenenze, tipico delle nuove ge-nerazioni che di fatto costruiscono le loro identità nella complessità e nel pluralismo di appartenenze?

Un secondo punto critico è dato dai processi di trasmissione dei va-lori e dai processi di apprendimento che, a motivo dell’evoluzione del sapere, soprattutto per l’influsso delle nuove tecnologie comunicative, non sono più come quelli del passato. I processi di trasmissione di va-lori tra le generazioni sono divenuti più difficili anche in ragione di pro-cessi cognitivi e di apprendimento impostati su altre logiche; senza dire che le nuove generazioni presentano livelli più elevati di cultura, ormai non più soltanto umanistica ma prevalentemente scientifico-tecnolo-gica. Trattandosi poi di candidati/e non più solo adolescenti e giovani ma in maggioranza adulti, va ripensata la modalità di trasmissione dei contenuti. Come valorizzare, ad esempio, la comunicazione dei valori

attraverso le esperienze, perché sia ‘sapienziale’ e suscitatrice di signifi-cati e di motivazioni? Come prendere in considerazione i ritmi e gli stili di apprendimento che oggi si presentano molto rapidi da una parte e molto più lenti per l’assimilazione vitale dall’altra (i tempi lunghi delle maturazioni)?

Un altro punto nodale e critico è la leadership in una cultura del-la soggettività e deldel-la frantumazione. Il servizio di autorità e il mini-stero di accompagnamento formativo si trovano di fronte a sfide del tutto nuove, ma soprattutto venendo a mancare quello spirito di fede che portava a ‘credere’ (nel senso di ‘fidarsi’) nei superiori, il pericolo dell’auto-referenzialità (‘non ho bisogno di nessuno’…) o, al contrario, la dipendenza affettiva diventano più forti per una generazione che fa fatica a fidarsi e ad affidarsi agli adulti di riferimento.

Dalla considerazione di questi aspetti critici emerge la necessità di porre alla base di ogni modello di formazione e di ogni processo forma-tivo, l’individuazione e l’analisi dei bisogni formativi ‘nuovi’ emergenti dalla situazione attuale, che tocca – a mio parere – non più soltanto i giovani, ma anche gli adulti.

Si tratta di ripensare un modello formativo attento ai bisogni spiri-tuali e psicologici delle persone, giovani o adulte che siano, centrato sui processi di crescita, di apprendimento, di sviluppo, di socializzazione, di elaborazione affettiva, di sintesi personale delle esperienze di vita, ma anche attento alle esigenze del carisma e della sua missione e alle esigenze organizzative ed operative dell’Istituto in quanto tale.

Di fronte ai tanti e diversificati modelli di formazione presenti nello scenario formativo attuale non si tratta di contrapporre gli uni agli altri, ma di pervenire ad un approccio che sia integrato: cioè caratterizzato dall’insieme di elementi che provengono da modelli di tipo socio-orga-nizzativo, da modelli derivanti dalla progettazione didattica, di conte-nuti disciplinari e di tutti quegli aspetti carismatici e vocazionali tipici della vita consacrata.

La trasmissione dei contenuti e dei valori nella formazione non può essere ridotta a tecnica, anche se di questa si può avvalere, ma costitu-isce essenzialmente una visione e una logica con la quale ci si propone di vivere la relazione formativa. Al centro del pensare e dell’agire for-mativo sta la relazione che mette in contatto chi impara e chi insegna, chi è accompagnato e chi accompagna, vincolandoli in un rapporto di reciprocità nel quale si fa l’esperienza dello scambio, della comunica-zione interpersonale, dell’interdipendenza del crescere.

Certamente diverse e importanti forme di a-simmetria connotano i rapporti tra adulti e giovani, tra formatore/formatrice e formando/a, ma gli apprendimenti – se sono realmente cambiamenti e modificazioni dei modi di pensare, sentire, agire, che cioè trasformano la personali-tà – non possono essere rigidamente predefinibili unicamente ad uno dei soggetti in gioco. Nessuno può formare altri, se non accettando di essere formato dalla relazione con l’altro, di esserne cioè coinvolto, influenzato e cambiato.

Nella formazione l’apprendimento non può che essere ‘esperienzia-le’ (experiential learning), cioè assume appunto l’esperienza – nelle sue molteplici accezioni di concretezza, di realtà esteriore ed interiore, pro-fessionale ed esistenziale, personale e sociale – come un criterio genera-tore e ordinagenera-tore dell’imparare e dell’insegnare, del lasciarsi formare e del formare. L’esperienza diviene così luogo delle relazioni (con il mon-do, con gli altri, con se stessi, con Dio) e perciò può essere formativa.

DELLA VITA RELIGIOSA