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Può durare “per sempre” la fedeltà ad un impegno, anche se è nei confronti di Dio?

“PER SEMPRE”

3. Può durare “per sempre” la fedeltà ad un impegno, anche se è nei confronti di Dio?

A questo punto, resta un’ultima domanda circa la fedeltà: si può essere fedeli “per sempre”? Abbiamo detto che la fedeltà è un impegno che dura nel tempo, ma può durare “per sempre”, tenendo conto delle difficoltà accennate nel primo punto? Che senso ha dire che ci si impe-gna fedelmente “per sempre”, anche se si parla di Dio? Come imposta-re la giusta risposta e la formazione in favoimposta-re di questa definitività?

Siamo sinceri: dobbiamo riconoscere, innanzitutto, che non potre-mo mai sapere, prima della potre-morte, se il nostro impegno sarà stato o no veramente “per sempre”.21 La definitività la raggiungeremo solo alla fine della vita.22 La ragione è che – mentre viviamo – abbiamo un fu-turo ed esso ci sfugge, ha un margine di sorpresa che non possiamo prevedere per lo meno del tutto.23 Il futuro resta sempre un problema,

21 Cf raDCliFFe Timothy, I Call You Friends, New York, London, Continuum Inter-national Publishing group 2001, 91-97.

22 A dire il vero, non sapremo mai in questo mondo se saremo fedeli ai nostri impe-gni fino alla morte. Soltanto potranno saperlo o supporlo coloro che ci vedranno morti e costateranno il fatto. E, se vogliamo appurare le cose, neanche gli altri lo sapranno in modo sicuro. Essi potranno giudicare le apparenze esterne; ma, cosa sia successo o stia succedendo nel cuore del moribondo, lo sa soltanto lui e Dio. Mentre siamo vivi pos-siamo ancora tradire i nostri impegni; solo la morte ce lo impedirà definitivamente. Noi non possiamo costatare la nostra morte, possono farlo soltanto gli altri attorno a noi.

Possiamo soltanto accorgerci dell’avvicinarsi della fine della nostra esistenza terrena;

ma, mentre ce ne accorgiamo, siamo ancora vivi. Nessuno può dire: “Sono morto!”. Il nostro cadavere lo vedranno solo gli altri. Noi soltanto possiamo dire di essere vivi; al più, possiamo renderci conto di essere moribondi, morenti; ma, non morti. Nessuno

“vive” la propria morte (sarebbe una contraddizione); possiamo, sì, sperimentare, men-tre ancora viviamo, che i nostri giorni stanno per finire, che stiamo perdendo vitalità.

23 In realtà, non sappiamo neanche se saremo vivi fra un istante (quanti sono morti di colpo!) e, ciò nonostante, continuiamo a fare i nostri piani come se questo pericolo non ci fosse. Perciò, non voler impegnarsi perché il futuro è incerto, significherebbe qualcosa di totalmente innaturale, bloccarsi nella pura e semplice puntualità del pre-sente, cosa che nessuna persona sana di mente fa. Ad esempio, cominciamo un anno ac-cademico perché pensiamo di poter finirlo; un figlio viene concepito perché si suppone che potrà nascere sano e vivere un certo numero di anni; invitiamo qualcuno a pranzo perché pensiamo che possa venire, o prenotiamo per telefono un tavolo al ristorante per la cena perché siamo “convinti” di poter andarci; quando ci sentiamo male andia-mo dal medico perché crediaandia-mo che possa capire i nostri malanni ed aiutarci a guarire, ecc. Ma, non possiamo essere totalmente sicuri che avvenga niente di tutto questo: può darsi che dobbiamo interrompere l’anno accademico, che il figlio subisca un aborto o nasca handicappato, che il medico non capisca la nostra malattia o sbagli le medicine,

perché è inevitabilmente sorpresa. Per questo sentiamo il bisogno di garantirci e difenderci di fronte al futuro: esso può essere realizzazione o disumanizzazione e ci difendiamo cavalcandolo, cioè, cercando di impadronircene, programmandolo ed impegnandoci.24

In effetti, c’è un modo per poter condizionare in qualche misura il futuro affinché sia come noi lo vogliamo oggi: l’impegno nel presente.

Il presente, come dicevamo più sopra, è l’unico tempo di cui possiamo veramente disporre, è nelle nostre mani, qui ed ora; il passato è passato, non esiste più, e il futuro è futuro, non esiste ancora. È l’impegno di oggi la garanzia o sicurezza umana possibile che anche domani proba-bilmente continueremo fedelmente su questo impegno. Programmia-mo, forgiaProgrammia-mo, dominiaProgrammia-mo, ci impossessiamo in qualche modo già del futuro nella misura in cui oggi viviamo fedelmente il nostro impegno; il futuro potrà essere un effetto del presente.

Come dice Rondet: «Nessuna decisione umana porta in se stessa la sua garanzia e sarebbe vano cercarla. Quali che siano i motivi che mi hanno guidato ieri, è oggi che io scelgo di vivere da figlio e da fratello di Cristo. È dunque dal mio amore attuale del Padre e dei fratelli che dipende la fedeltà alla mia scelta iniziale e non da un’illusoria purezza della prima decisione e delle sue decisioni».25 Perciò, l’autore preferisce parlare di “scelta permanente”, piuttosto che di “scelta definitiva”.26 Questo permette di ricominciare daccapo ogni volta, di riprendere in ogni presente il filo della nostra conversione, malgrado le nostre debo-lezze, così come ci permette di accantonarla.

E, alla rovescia, l’indecisione, la trascuratezza, la fragilità o l’infedel-tà di oggi sono una minaccia diretta contro l’impegno fedele di domani.

Come possiamo pretendere di impegnarci o essere fedeli domani se

che l’invitato all’ultimo momento si senta male e non possa venire a pranzo o che noi per ragioni impreviste dobbiamo disdire il tavolo al ristorante. Ciò nonostante, nessuno si blocca a motivo delle possibili contrarietà di cui siamo ben consapevoli. Orbene, cre-diamo di avere motivi sufficienti per poter sperare fiduciosamente che quel futuro che prepariamo si avveri. Perciò, non impegnarsi per paura o per dubbio è un atteggiamen-to immaturo, “disumano”, frutatteggiamen-to di una domanda e di un problema impostati male.

24 Impegno equivale a speranza, e la speranza “è passione per ciò che è possibile”

(S. kierkegaarD), “anticipazione militante dell’avvenire” (R. garauDy), sguardo rivol-to in avanti nel ricordo di quanrivol-to c’è dietro e nell’impegnata solidarietà del presente [cf Forte Bruno, La teologia come compagnia, memoria e profezia, Cinisello Balsamo (Milano), Paoline 1987, 46].

25 ronDet, Il celibato evangelico, 65-66.

26 Cf ivi 64.

non lo siamo oggi, che è il tempo di cui ora disponiamo? L’oggi è la si-curezza che possediamo per il domani; perciò l’impegno e la fedeltà di oggi hanno un’importanza fondamentale. Ecco perché sappiamo ancor di meno sul domani se oggi nemmeno riusciamo o vogliamo deciderci ad impegnarci.

Insistiamo ancora. È l’oggi il tempo di cui ora disponiamo: è ora che ci giochiamo il significato e le attese del passato e quanto voglia-mo e possiavoglia-mo raggiungere nel futuro. Non serve vivere pensando solo al passato o solo al futuro (due tipi di alienazione), perché uno non esiste più (il passato) e l’altro non esiste ancora (il futuro). L’unico at-teggiamento autentico e realistico è quello di vivere il più pienamente possibile il presente. È nel presente che ci giochiamo passato e futuro, perché è un presente aperto sia al passato (di cui è erede e figlio) che al futuro (di cui è padre). Chi non vive in pienezza il presente sta dunque sprecando l’unica vita di cui veramente può disporre. Questo non vuol dire che si debba pretendere di raggiungere tutto nel presente (il futuro sarebbe inutile!), ma che soltanto vivendo il meglio possibile il presen-te, ci prepariamo a raggiungere il più possibile quanto ci aspettiamo dal futuro; senza dimenticare che sarà allora che il passato raggiungerà le sue implicite o esplicite aspirazioni!27

Ecco perché, più che essere già definitivo, “per sempre”, possiamo dire che un impegno come quello della Vita religiosa può legittima-mente aspirare ad esserlo. Non è mai totale, nel senso di completo o di pronunciato “una volta per sempre”. Per sua natura, ogni impegno è sempre in divenire, progressivo, perché nella novità di ogni presente scopriamo cosa significhi e supponga per la nostra vita. La vocazione implica continua revisione, dialogo permanente, lungo travaglio, ricer-ca e discernimento incessante, decisione progressiva e forse alle volte brancolante, poiché la fedeltà all’impegno viene sottoscritta in mezzo all’incertezza, la novità e l’usura della quotidianità. La fedeltà riprende, rinnova e ricrea in qualche misura l’impegno in simbiosi con la realtà presente e in dialogo con i “segni dei tempi”. Il “sì” (o il “per sempre”) detto la prima volta fu un punto di partenza, una promessa, un propo-sito, una speranza; ma, siccome la vita è in continuo movimento, la de-cisione deve essere rinnovata costantemente. Tutto questo lo facciamo in parte coscientemente, in parte senza accorgercene grazie

all’atteg-27 Bisogna assimilare il passato, domare il futuro, vivere il presente (cf vallés Car-los g., L’arte di essere se stessi. Vivere il presente, Roma, Armando 2001).

giamento di adattamento alle nuove circostanze. È nelle nuove realtà che vengono ripresi i valori di fondo di quanto abbiamo vissuto ieri e vogliamo vivere anche domani. È una continuità nella discontinuità. Ed è questo che fa sì che un impegno, preso in un momento concreto della nostra vita, possa diventare pian piano “per sempre”.

Da un punto di vista formativo, è importante, per non dire decisi-vo, ricordare che l’impegno avrà più possibilità di essere “per sempre”

quanto più coinvolga tutta la persona; cioè, se questa si dà totalmente.

E darsi totalmente significa coinvolgere ciò che la persona è: mente, cuore e volontà. In altre parole, quando mi impegno sto dicendo che

“so” cosa voglio (ci ho pensato prima, capisco cosa suppone), “sento”

che è un bene per me (mi piace, lo desidero, lo amo), lo “voglio” (mi decido in suo favore). Così facendo, già nel momento iniziale dell’im-pegno sono consapevole e disposto a sforzarmi per superare eventuali difficoltà future e continuare comunque a restare fedele. Anche se non li conosco in modo preciso, so che ci potranno essere dei conflitti e dei tentennamenti domani; ma, mi preparo ad essere pronto per cercare di risolverli positivamente. Nonostante, poi, l’importanza di tutti e tre gli elementi o potenze (intelligenza, emotività e volontà), il più decisivo è la volontà, seguito dall’intelligenza e infine dall’emotività. Se, invece, l’elemento decisivo è quello emotivo, come succede in tanti oggi (“Se me la sento, se mi va, finché mi vada…”), si mettono le basi del falli-mento; l’emotività, infatti, è per sua stessa natura volubile e sottomessa a influssi che sfuggono alle altre due potenze.

Dunque, mettere l’emotività come ago della bilancia significa met-tersi alla mercé della dimensione meno stabile della persona. Ma, se decisive sono soprattutto l’intelligenza e in particolare la volontà, la persona potrà reggere anche nei momenti in cui sperimenta dei “raf-freddamenti” emotivi e persino intellettuali. Ecco perché la fragilità o debolezza di volontà di non pochi oggi rende difficile la presa di im-pegni costosi o “per sempre”, come è l’impegno religioso. Con questo non vogliamo dire che bisogna diventare “volontaristi”, ma, che se vo-gliamo realizzarci umanamente e spiritualmente, secondo Dio, dobbia-mo evitare di essere degli smidollati, semplici copiatori o mediocri.28 Infine, coinvolgere queste tre potenze, non vuol dire che la persona le viva tutte e tre sempre con la stessa intensità. Ci saranno dei momenti

28 Cf RdC 12d.

in cui sarà più chiara la dimensione razionale, altri quella emotiva, altri ancora il ruolo determinante della volontà.

Coinvolgere tutta la persona significa coinvolgere il fattore tempo.

Noi siamo storia, siamo nel tempo.29 Dare o condividere il proprio tempo è dare la vita (la cosa più sublime che abbiamo!), perché essa ha luogo nel mio tempo. Se io mi impegno a darmi “per sempre”, sto dicendo che voglio dare tutto il tempo che ho a disposizione. Certo, non posso disporre ora totalmente del futuro, poiché ancora non esiste;

ma, mi impegno a disporre di esso nella misura in cui diventi presente, cioè, impegnandomi in ogni presente finché non giunga quell’ultimo presente che chiuderà la mia esistenza. Solo allora il mio impegno sarà stato veramente “per sempre”.

In sintesi, il nostro impegno potrà aspirare ad essere “per sempre”

se è frutto di un calcolo, una scommessa, di un rischio e di una spe-ranza. È una sfida che ciascuno di noi lancia a se stesso, agli altri e al tempo. È frutto del calcolo di ciò che vogliamo, di quanto crediamo di essere capaci, di ciò che crediamo sia il nostro bene (la nostra maggiore felicità possibile), di ciò che crediamo di poter sperare, dello spazio che siamo disposti a lasciare all’azione di Dio in noi. Il rischio che il futuro, nonostante tutto, non sia come noi lo pensiamo oggi. La speran-za fondata che, malgrado quanto possa accadere, il futuro sarà fonda-mentalmente come oggi lo vediamo e vogliamo, o persino migliore; la speranza che anche allora continueremo nel nostro impegno, visto che oggi cerchiamo di viverlo coerentemente. Una speranza che, per la fede che abbiamo nell’aiuto di Dio, diventa teologale; speriamo contro ogni speranza (Rm 4,18), e crediamo che il Suo aiuto sarà più forte dei nostri limiti e delle nostre fragili forze (cf 1Cor 1,16-31; 10,13; 15,10; 2Cor 12,9-10; Fil 4,13). La nostra professione religiosa non è stata sempli-cemente la presa di un impegno verso Dio; ma, è stata soprattutto una supplica, un grido: “Signore, dammi la grazia di poter essere così!”; e, rivolti ai confratelli o consorelle: “Confido anche in voi! Sono fragile, datemi una mano!”.

29 «Che cos’è propriamente il tempo di una persona? Possiamo rispondere dicendo che il tempo è la continuità successiva di un soggetto, il suo divenire che fa tutt’uno con il suo essere un soggetto umano. Quindi, dare il tempo è dare se stessi nel tempo, è dare la propria vita. Dedicare il proprio tempo a qualcosa è fare di questo qualche cosa la propria vita; ciò che occupa il mio tempo è ciò che fa la mia vita» [augé Matias, Un mistero da riscoprire: la preghiera, Cinisello Balsamo (Milano), Paoline 1992, 44].

Il nostro impegno di essere fedeli al dono della vita “per sempre”

a Dio indica dunque un’intenzione, una dichiarazione di intenti, una promessa rinnovata giorno dopo giorno, un atto di fiducia, un propo-sito che vogliamo che duri nel tempo. Ciò che pretendiamo è di impe-gnarci incondizionatamente, nella speranza che questo impegno diventi poi effettivamente definitivo. Così si può umanamente e cristianamente prendere un impegno che ora aspira ad essere “per sempre”. In fondo, parlare di fedeltà “per sempre” è un atto di fede in noi stessi, nella comunità che ci accoglie e nell’azione di Dio in noi. Così, alla totalità e definitività con cui si dona da sempre Dio, possiamo rispondere anche noi, a modo nostro, consapevoli delle nostre fragilità, ma anche con la sincerità con cui Pietro rispose a gesù, dopo la risurrezione, quando il Maestro con delicatezza gli chiese tre volte se lo amava, in risposta alle tre volte in cui pochi giorni prima lo aveva rinnegato: “Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti amo” (gv 21,17).