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I voti religiosi: sfida per una ‘nuova umanità’

LA FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ CARISMATICA

DEI CONSIGLI EVANGELICI Lettura antropologico-carismatica

2. I voti religiosi: sfida per una ‘nuova umanità’

Nel Dizionario Teologico della Vita Consacrata alla voce missione si legge che sue caratteristiche sono l’audacia e la creatività. Proprio in nome di questa audacia, ai discepoli del Cristo viene chiesto di con-giungere l’annuncio esplicito del Vangelo allo sforzo di riscatto, di pro-mozione umana, di tutela della giustizia e di ricerca delle possibili vie per una pace mondiale stabile e solidale.17

La missione è principalmente testimonianza di vita. I consigli evan-gelici, pertanto, sono missione in quanto indicano uno spessore antro-pologico di qualità e di misura evangelica.

La Vita Consacrata dice eloquentemente che quanto più si vive di Cristo, tanto meglio si possono servire gli altri, spingendosi fino agli

16 giovanni Paolo ii, Messaggio per la Giornata Mondiale di preghiera per le Vo-cazioni, 11 maggio 2003, in www.chiesacattolica.it/pls/cci_new/bd_Edit_doc.edit_

documento?p_id=11993.

17 L’azione apostolica risulta efficace quando risponde alle esigenze reali della gente per la quale è pensata: al centro di ogni intervento c’è la persona da sostenere con ogni mezzo, attraverso la formazione della coscienza, l’evangelizzazione delle culture, la cura amorevole di ogni dimensione dell’essere, affinché possa giungere al compimento.

Queste idee erano già contenute nell’Esortazione Apostolica di Paolo VI, in particolare al n. 69 della EV e sono state riprese dai documenti le magistero sociale fino alla pub-blicazione del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa.

avamposti della missione, assumendo i più grandi rischi.18 Ma oggi si tratta non solo di riconoscere Dio dove ancora non è stato annuncia-to, ma di evangelizzare le strutture ingiuste di cui siamo a conoscenza per accompagnarle verso la trasparenza; di curare le piaghe del nostro mondo ferito; di incoraggiare, fra noi e negli altri, il senso di responsa-bilità per costruire un mondo più giusto e pacifico; di vivere da profeti, di portare il fuoco sulla terra diffondendo con la parola e i fatti la cen-tralità di Dio.

La vita vissuta secondo i consigli evangelici possiede un’enorme potenzialità, quella di essere ponte verso l’eternità, verso il Creatore.

Quando i nostri gesti vanno nella direzione della giustizia, della pace, dell’integrità della creazione, sono gesti compiuti al massimo grado di bene, una sola cosa con i progetti del Signore, sono gesti d’amore; cioè portano alla pienezza cui ciascuno anela e consegnano quella carità che non avrà mai fine (cf Cor 13,8).

La passione per la Chiesa e per l’umanità, detta con una vita con-sacrata per la missione, ravviva la consapevolezza del potere che gesù ha affidato a ciascuno nel seguirlo: «guarite gli ammalati, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Quando entrerete nella casa, salutate. Se quella casa ne è degna, venga la vostra pace su di essa; se invece non ne è degna, la vostra pace torni a voi… Non preoccupatevi di come parle-rete. Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (cf Mt 10,8-20). Di questo potere di guarigione che gesù ci ha affidato siamo testimoni profetici e annunciatori.

Il Cristo che camminava annunciando il Regno e sanando molti, proclamando lo spirito delle Beatitudini come magna charta del vivere, è un Cristo povero, casto, obbediente: il Cristo al cui sentire dobbiamo formare coloro che chiedono di far parte dell’Istituto.

2.1. Nella pienezza della relazione sponsale: la castità

«La verginità consacrata non si può inscrivere nel quadro della lo-gica di questo mondo, è il più “irragionevole” dei paradossi cristiani e non a tutti è dato di comprenderla e di viverla (cf Mt 19,11-12)».19

18 Cf VC 76.

19 beneDetto XVI, Discorso ai Superiori e Superiore Generali degli Istituti di Vita

La verginità esprime l’integrità della propria persona e la totalità di sé: è il pieno possesso di sé, di cui si fa dono totale a Dio. Il voto di verginità non è altro che il consenso libero, personale della creatura a colui che l’ha scelta, nel suo disegno d’amore, a farne un luogo privi-legiato della sua presenza, coinvolgendola nell’opera della nuova crea-zione mediante la potenza rigeneratrice dello Spirito. Consacrati nella Parola di verità, i vergini per il Regno dei cieli non possono che essere totalmente dedicati, riservati al ministero che annuncia la salvezza. Dire con tutta la vita che gesù è il Signore, che è morto e risorto per la vita del mondo, questo è il primum e l’essenziale di ogni vocazione cristiana, consacrata mediante il battesimo e tutti gli altri sacramenti. Ma è l’es-senziale in modo singolarissimo e peculiare per coloro che sono chia-mati a vivere il mistero cristiano nella verginità consacrata. In questo, infatti, risplende in modo eminente l’appartenenza totale a Dio.

La Vita Consacrata, come ripete con forza l’Esortazione Vita Conse-crata, esprime l’intima natura della vocazione cristiana e la tensione di tutta la Chiesa-Sposa verso l’unione con l’unico Sposo.20

È interessante scoprire come all’inizio e alla fine della Sacra Scrittu-ra troviamo un uomo e una donna, una coppia: la genesi si apre con la presenza di una coppia e l’Apocalisse termina con la presenza di una coppia. Un uomo e una donna stanno all’inizio della storia della salvez-za, uno sposo e una sposa alla sua fine. Questa stessa inclusione nuziale ricorre anche nel Vangelo di giovanni, quando contempliamo l’inizio e la fine della vita pubblica del Cristo.

Nella prima pagina del Vangelo dei Sinottici e di giovanni, Cristo compare come lo sposo messianico che ha il diritto di sposare la comu-nità, il popolo d’Israele, l’umanità. giovanni il Battista dice: «Io non sono lo sposo, sono l’amico dello sposo e sono felice di sentire la voce dello sposo». Alle nozze di Cana Maria, in quanto sposa e madre, dice ai servitori: «Fate quello che vi dirà» (gv 2,5); è la stessa frase della stipulazione dell’Alleanza in Esodo: «Tutto quello che Dio ha detto noi lo faremo» (Es 24,7).

A Cana come a Betlemme, la Donna Madre introduce la nuova al-leanza, l’alleanza nuziale. Alleanza che troverà il suo suggello sotto la

Consacrata e delle Società di Vita Apostolica, Città del Vaticano, Aula Paolo VI, 22 mag-gio 2006, in ww.vatican.va/.../benedict_xvi/speeches/2006/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20060522_vita consacrata_it.html

20 Cf VC 3 .

croce, dove ancora la Donna è segno della Chiesa sposa che accoglie il dono dell’Agnello. Troviamo così il nucleo della Chiesa come sposa e Madre nella posizione teologica che Maria di Nazaret assume sotto la croce e, nello stesso tempo, anche il nucleo di quella verginità piena-mente sponsale e feconda, che costituisce il tratto essenziale della vita consacrata.21

I consacrati e le consacrate, vergini per il Regno dei cieli, sono segni eccellenti di questa unione sponsale: «Nella chiamata alla continenza

“per il Regno dei cieli”, prima gli stessi Discepoli e poi tutta la viva Tra-dizione scopriranno presto quell’amore che si riferisce a Cristo stesso come Sposo della Chiesa e Sposo delle anime, alle quali egli ha donato se stesso sino alla fine, nel mistero della sua Pasqua e nell’Eucaristia. In tal modo, la continenza per il Regno dei cieli, la scelta della verginità o del celibato per tutta la vita, è divenuta nell’esperienza dei discepoli e dei seguaci di Cristo un atto di risposta particolare all’amore dello Sposo Divino e perciò ha acquisito il significato di un atto di amore sponsale, cioè di una donazione sponsale di sé, al fine di ricambiare in modo speciale l’amore sponsale del Redentore; una donazione di sé, intesa come rinuncia, ma fatta soprattutto per amore».22

Il significato sponsale della Vita Consacrata rimanda all’esigenza della Chiesa di vivere nella dedizione piena ed esclusiva a Cristo suo Sposo. «In questa dimensione sponsale, propria di tutta la vita consa-crata, è soprattutto la donna che ritrova singolarmente se stessa, quasi scoprendo il genio speciale del suo rapporto con il Signore. Suggestiva è, al riguardo, la pagina neotestamentaria che presenta Maria con gli Apostoli nel cenacolo in attesa orante dello Spirito Santo (cf At 1,13-14). Vi si può vedere un’immagine viva della Chiesa-Sposa, attenta ai cenni dello Sposo e pronta ad accogliere il suo dono […]. In Maria è particolarmente viva la dimensione dell’accoglienza sponsale, con cui la Chiesa fa fruttificare in sé la vita divina attraverso il suo totale amore di vergine. La Vita Consacrata è sempre stata vista prevalentemente nella parte di Maria, la Vergine sposa. Da tale amore verginale proviene una

21 Cf Martinelli P., Eucaristia e vita consacrata. Comunicazione del 20 maggio 2005 alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, pro manoscritto.

22 giovanni Paolo ii, Udienza Generale, Mercoledì 28 aprile 1982, 1, in http://

www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1982/documents/hf_jp-ii_

aud_19820428_it.html.

particolare fecondità che contribuisce al nascere e al crescere della vita divina nei cuori. La persona consacrata, sulle tracce di Maria, nuova Eva, esprime la sua spirituale fecondità facendosi accogliente alla Pa-rola, per collaborare alla costruzione della nuova umanità con la sua incondizionata dedizione e la sua viva testimonianza».23

2.2. Alcune indicazioni per la formazione

Il mistero e la realtà di questa sponsalità ci portano ad affermare che coloro che vogliono seguire gesù casto, ossia dedicato al Padre e al Regno nella pienezza del proprio essere, si debbono formare alla qualità delle relazioni. Formarsi cioè all’impegno di stabilire rapporti giusti con tutti, che manifestino il rapporto fondamentale con l’Uni-cum. Dall’amore totale per Dio nascono la tenerezza, la pace, la giu-stizia, l’integrità della persona e del suo habitat naturale. Non solo, ma formarsi e formare a riconoscere la presenza del Signore negli esclusi, negli abbandonati, nei poveri, dal momento che il Cristo-sposo rag-giunto nella contemplazione è lo stesso che vive e soffre nei poveri (Mt 25,40).

Il vivere la castità consacrata comporta il contatto con le ferite dell’umanità accolte con la stessa passione dei santi; essere vicini agli ultimi della terra manifesta l’amore, il perdono e la compassione di Cri-sto e consente a ciascuno di vedere il volto del Signore nei poveri, nei malati, negli oppressi, facendo in modo che anche i poveri incontrino nelle consacrate e nei consacrati il volto del Signore che si prende cura di loro e li redime: è il mistero della reciprocità del dono. Del resto, l’arte di “prendersi cura” è compito peculiare della donna e assume un significato pieno quando questa donna è arricchita del dono della verginità.

La castità favorisce anche la trasparenza e la semplicità nelle rela-zioni, in tutte le relarela-zioni, comprese quelle con la natura, cosicché am-mirandola si possa scoprire la bellezza iniziale (cf gn 1) che chiede di custodire ogni forma di vita. Castità è lasciare che il Vangelo vissuto imbeva ogni relazione e come gesù, per l’integrità della vita, pieni di compassione, si possa stendere la mano, toccare il prossimo e dire: «Lo voglio, guarisci!» (Mc 1, 41-42).

23 VC 34.

Formare alla castità significa ancora introdurre all’attitudine di gu-stare ogni giorno la gioia di perdonare e di essere perdonati; è dare vita agli altri attraverso il nostro essere e le nostre azioni. Tutto questo suppone, ovviamente, la formazione all’esercizio di costruzione di una scala di valori che partano dallo spirito, dall’interno, che agiscano da motore sia per la persona, sia per le comunità e diano le motivazioni forti della vita che viene dall’alto. Soltanto una spiritualità robusta può rianimare il mondo.

2.3. Esercitare giustizia e pace: la povertà

«Amati da Dio, santi e diletti, siete chiamati a rivestirvi di Cristo, dei suoi sentimenti di umiltà, mansuetudine e pazienza (cf Col 3,12), la povertà da voi vissuta non è una povertà qualunque, ma una sequela imitativa dell’Amato, una immersione nel mistero di gesù Cristo e del-le sue scelte di umiltà, di povertà e mitezza».24

«Noi fin d’ora siamo figli di Dio» dice la prima lettera di giovanni (1gv 3,1-2), questa verità non esclude che l’evento della Pasqua del Signore gesù si deve ancora compiere storicamente in tutti. La nostra figliolanza divina è un dato dinamico, che deve crescere, che si sviluppa attraverso ciascuna delle nostre scelte.

Tenete gli occhi sul vostro Sposo: Teresa d’Avila nel suo Cammino di Perfezione, raccomandava alle monache di avere sempre lo sguardo sul Cristo come criterio profondo di ogni scelta concreta di povertà ed ancor più per lasciarsi spogliare nel cuore dalle presunte ricchezze spi-rituali, per lasciarsi trasformare in gesù stesso che si è fatto povero per-ché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (2 Cor 8,9).

La scelta dei consacrati/e di professare la povertà evangelica è in-nanzi tutto una esigenza che proviene dall’essere creature, ontologica-mente povere, dipendenti in tutto dal Dio Trinità che ci ha creato. Im-magine del Creatore, ci riconosciamo come destinatari di questo dono di Dio: non siamo noi i padroni della nostra vita, ma costantemente la riceviamo come un dono dall’alto. Non solo dipendiamo da Dio, ma dagli altri e dall’ambiente.

24 beneDetto XVI, Discorso ai Superiori e alle Superiore Generali degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica, Città del Vaticano, Aula Paolo VI, 22 maggio 2006, in http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/

may/documents/hf_ben-xvi_spe_20060522_vita-consacrata_it.html.

Non basta essere consapevoli della nostra povertà, essenziale ed esistenziale, in quanto siamo creature imperfette, limitate, fragili, sco-nosciute perfino a noi stessi, ma occorre vivere in questa povertà, acco-gliendo in noi i pensieri che furono in Cristo gesù (Fil 2,5), per essere veramente figli, fratelli e sorelle tra noi. Domandiamoci: quali atteggia-menti ci sembrano coerenti con il pensiero di Cristo, o meglio, possono sgorgare da un cuore dove Lui è il Signore, l’unica ricchezza?

Un cuore povero va all’essenziale della realtà, senza attaccarsi alle cose passeggere, a ciò che non è importante, per aderire a Dio con tutto il proprio essere. Il povero non spreca forze ed energie, né tanto meno amore per cose di poca importanza, impegnandosi a non rendere vana la grazia del Signore che ci è data perché tutti siano salvi e giungano alla conoscenza della verità (2 Tm 2,4).

Il cuore che si pone in preghiera dinanzi alla povertà di gesù si svuota, diventa in questo modo povero di sé e accogliente, capace di donare l’amore che riceve gratuitamente da Dio. Questo cuore, affer-rato dalla povertà di Cristo, diventa un cuore umile, che non fa fatica ad accettare la propria povertà e anche la propria incapacità a fare il bene, a progredire nella virtù; non la nasconde, non la camuffa, e di conseguenza sa custodire nell’amore e nella pazienza le debolezze degli altri, e allo stesso tempo sarà in grado di vedere e far emergere i lati positivi di tutti.

Il povero di spirito si lascia impoverire, lottando contro i propri oc-culti desideri di potere, non creando per sé dei piccoli o grandi mono-poli personali dove nessuno può interferire, ma cercando sempre di mettere al centro il bene dei fratelli e delle sorelle. Nello stesso tempo il cuore povero è un cuore gioioso e gratuito: nell’episodio del giovane ricco si nota che questi se ne va triste perché è rimasto impigliato nella sua ricchezza spirituale e materiale (cf Mt 19,16; Lc 10,25-28).

Un atteggiamento importante di povertà è la capacità di accogliere le diversità senza giudicare, perché in fedeltà alla propria storia ognuna è chiamata ad essere povera in un modo particolare, pur partecipando tutte di un unico carisma. A volte una sorella può cogliere un aspetto della povertà che un’altra non vede ed abbiamo l’opportunità di arric-chirci della sua intuizione interiore soltanto se la si guarda con occhi benevoli, stimandola e rispettandola. La povertà è una conseguenza dell’amore e perciò non ha schemi rigidi, vibra al soffio dello Spirito e non all’imposizione della legge.

Scegliendo la povertà evangelica noi scegliamo di essere liberi per

amare. Nella nostra adesione di consacrate a gesù riconosciamo la ma-nifestazione storica del dinamismo del dono. gesù, il dono per eccel-lenza che sgorga dall’amore del Padre, ha donato se stesso (cf gal 1,4;

1Tm 2,6), ha donato la sua vita (cf Mc 10,45), ha donato il suo corpo nel mistero della croce (cf Mt 26,26). gesù non cessa, nella sua vita, di donarci la sua parola (cf gv 17,7.14), il pane di vita (cf gv 6,35.51), la pace (cf gv 14,27), lo Spirito (cf gv 3,34) e la vita eterna (cf gv 10,28).

Questa logica della povertà che ci fa dono di amore per i fratelli, come Cristo, ci mette nella dimensione dell’essenzialità, della sobrietà, di chi è capace di usare il necessario, l’indispensabile, grato di quello che c’è e pronto a condividere volentieri il poco che si ha per concen-trarsi su Cristo e sulla Parola: «guardate i gigli del campo…» (Mt 6, 28-30).

Il voto di povertà implica anche la ricerca di un modo tipico di re-lazionarsi con le persone, con la natura e con le cose, riconoscendo che la persona umana è da onorare e rispettare, che il creato non ci appartiene, che il Signore è il datore di ogni bene ed occorre accostarsi all’universo con rispetto, stupore e gratitudine.

Inoltre, riuscire a vivere la povertà non solo come un fatto persona-le, ma comunitario e poi sempre su più larga scala, garantirebbe una distribuzione più equa dei beni, assicurerebbe una vita degna anche ai più poveri e preserverebbe le risorse della terra per le generazioni future. Dobbiamo prenderci la responsabilità che i beni raggiungano tutti: «Voi stessi date loro da mangiare». gli dissero: «Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?» (Mc 6,34-44).

Si tratta di gesti che esprimono il rispetto reciproco, la concordia, la ricerca della sintonia con gli altri; sono esperienza di trasformazione perfino per chi li compie e operano un cambiamento in quanti custodi-scono la vita in ogni sua forma.

Oggi non sembra possibile avere buoni rapporti con il prossimo senza un’assunzione di responsabilità per l’ambiente, nostra legittima casa, perciò la nostra ascetica deve assumere il volto di nuovi stili di vita basati sul riutilizzo, sul consumo sobrio, sull’attenzione all’uso delle cose, non solo perché lo stile occidentale è improponibile per il resto dell’umanità e andrebbe ridimensionato (e di questo ci avvertono l’ef-fetto serra, l’inquinamento, gli uragani sempre più frequenti, ecc.), o perché il rapporto Nord/Sud del mondo viene chiaramente avvertito

come ingiustizia che induce alla violenza, aggrava il problema ecologico e provoca i grandi esodi, ma soprattutto perché abbiamo una respon-sabilità nei confronti delle generazioni future, le quali hanno diritto di trovare un mondo più giusto e pacifico di quello presente, hanno il diritto ad un ambiente pulito, umano, degno della vita. Da qui sca-turisce la responsabilità di formare allo stile evangelico della sobrietà.

e l’antidoto all’irresponsabilità che comporta la cultura dello spreco, presente anche tra noi.

2.4. Alcune indicazioni per la formazione

In un mondo che invita pressantemente a prendere la strada più facile dell’usa e getta, quella più comoda del tutto subito, quella meno responsabile della vittoria ad ogni costo, lo stile evangelico di povertà chiede di andare, e di formare ad andare, controcorrente… e a 360 gradi!

La povertà più grande di oggi è, infatti, quella di avere perso di vista l’importanza delle relazioni umane e della persona nella sua fondamen-tale unicità. Siamo chiamate a ritrovare e a mettere al primo posto que-ste dimensioni, per esempio vivendo il mique-stero del tempo come dono che non ci appartiene. Anche noi ci sentiamo povere di tempo, ma lo vediamo moltiplicarsi se lo usiamo per coltivare relazioni fondate sulla verità: ascoltare e accogliere le sorelle senza ansia e in gratuità. Molti

La povertà più grande di oggi è, infatti, quella di avere perso di vista l’importanza delle relazioni umane e della persona nella sua fondamen-tale unicità. Siamo chiamate a ritrovare e a mettere al primo posto que-ste dimensioni, per esempio vivendo il mique-stero del tempo come dono che non ci appartiene. Anche noi ci sentiamo povere di tempo, ma lo vediamo moltiplicarsi se lo usiamo per coltivare relazioni fondate sulla verità: ascoltare e accogliere le sorelle senza ansia e in gratuità. Molti