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3. La cornice sociale e culturale delle testimoni di Eide Spedicato Iengo

3.2. Le caratteristiche socio-anagrafiche

Per la definizione del profilo dei soggetti narranti si è tenuto conto di sette requisiti: l’età, la provenienza, gli anni di permanenza in Italia, il titolo di studio, il tipo di lavoro (svolto in patria e quello in corso), la composi- zione familiare, l’appartenenza religiosa.

Cominciamo col precisare che il collettivo analizzato è anagraficamente maturo: le testimoni si concentrano, infatti, principalmente nelle fasce d’età centrali (30/49 anni)3. Una lettura più di dettaglio della loro età e degli anni di permanenza in Italia chiarisce poi che, a fronte del passato, la mobilità geografica delle donne è meno selettiva di quella maschile dal versante anagrafico, si inscrive difficilmente in prospettive lineari e prevedibili e coinvolge soggetti di diversa età. In particolare meritano un cenno di rifles-

sione i motivi che inducono le donne mature a lasciare il proprio paese. Ciò può spiegarsi con la circostanza che queste migrano quando le funzioni di cura della propria famiglia sono state ottemperate, o quando rispondono all’invito di sostituire temporaneamente nel lavoro amiche o parenti, o quando seguono il proprio gruppo familiare e si aprono possibilità occupa- zionali anche per loro, o quando la necessità di migliorare le proprie condi- zioni di vita e di lavoro non arresta il loro progetto di partire a dispetto dell’età che hanno.

Per quel che attiene la suddivisione per gruppi nazionali, alla cifra deci- samente esigua delle testimoni provenienti dall’America Latina, dalla Cina, dall’Africa, si oppone quella che conferma la forte vocazione di flussi dai Balcani e dai paesi dell’Est-europeo, a testimonianza del consolidamento di precise nazionalità nel contesto d’analisi (diversamente da quella più fra- stagliata e minoritaria di altre) 4. Queste, infatti – fin dagli anni Novanta, a seguito della dissoluzione dei regimi jugoslavo, albanese e dell’ex blocco socialista dopo la caduta del muro di Berlino – considerarono l’Abruzzo un approdo accessibile, vuoi dal punto di vista geografico e normativo che per la presenza di un tessuto economico-produttivo, che esprimeva, già in que- gli anni, un mercato del lavoro duttile per varchi occupazionali e ingressi lavorativi.

Continuando nella lettura dei dati, emerge, poi, che inserimenti maturi più che soste provvisorie qualificano il tempo di permanenza delle testimo- ni nel territorio comunale: infatti, diciotto di loro sono in Italia da un lasso temporale che va dagli otto ai venti anni, quindici si collocano nella fascia tre-sette anni, mentre gli ingressi recenti (fino a due anni) riguardano solo nove fra loro. Ciò suggerisce che l’Abruzzo non è più solo un’area di primo ingresso per chi migra, e che le cosiddette migrazioni di transito si associa- no alla stabilizzazione o, comunque, a permanenze non brevi. Tale consta- tazione è in linea con il progressivo «passaggio dell’universo immigrato da forza lavoro a vera e propria popolazione in senso demografico, quanto a quel processo di continuo radicamento e di disseminazione delle presenze straniere sul territorio italiano […]»5.

4 Nel territorio provinciale le comunità straniere più rappresentate sono la Romania,

l’Albania, il Marocco, la Polonia, l’Ucraina, la Macedonia, la Cina. La nazionalità più nu- merosa è quella romena, verosimilmente a seguito dell’effetto-ingresso di questa nazione nell’Unione Europea nel 2007. Presenze rilevanti sono anche quelle albanesi. Tali contin- genti sono seguiti in proporzione più modesta dalle nazionalità marocchina, polacca, ucrai- na, macedone e cinese. La provincia, quindi, sembra qualificata sia dalla tipologia migrato- ria legata alle forze espulsive dei Paesi di esodo, come si diceva, sia dagli spostamenti fron- talieri che, prodotti dalla riduzione dei costi e dei rischi e dall’accresciuta facilità di raggiun- gere altri Paesi, sono legati a forme di esodi temporanei. Cfr. Sesto Rapporto Sociale della

Provincia di Chieti.

5 Blangiardo G.C. (2009), “Consistenza numerica, tendenze e problematiche della pre-

Tab. 1 – Profilo intervistate

Nome Età Titolo di

studio Anni in Italia Occup. in pa- tria Occup.attuale Albania Amisa 32 Licenza media 8 Nessuna Nessuna

Doriza 19 Diploma 1 Nessuna Nessuna

Mimosa 40 Diploma 13 Nessuna Coll familiare

Bulgaria

Stéphka 45 Laurea 13 Insegnante Coll familiare

Tania 51 Diploma 7 Infermiera Coll familiare

Rosita 65 Laurea 5 Impiegata Coll familiare

Maria 59 Laurea 6 Impiegata Nessuna

Eléna 58 Nessuno 2 Commessa Donna pulizie

Cina

Ha-chu 30 Licenza

media

9 Nessuna Commerciante

Ai-ling 41 Licenza

media 11 Impiegata Commessa

Colombia

Francy 35 Diploma 20 Nessuna Operaia

C. d’Avorio

Anaya 36 II anno di

università

8 Impiegata Coll familiare

Ecuador

Noruena 45 Laurea 11 Funz. di parti- to

Donna pulizie

Eritrea

Selam 25 Diploma 2 Nessuna Nessuna

Marocco

Malika 32 Licenza

media

5 Sarta Sarta e coll. Fam.

Naima 20 Licenza

media 5 Nessuna Nessuna

Moldava

Ania 26 Diploma 8 Impiegata Coll familiare

Lena 51 Diploma 5 Impiegata Coll familiare

Nigeria

Maryan 21 Nessuno 4 Parrucchiera Nessuna

Polonia

Halina 59 Diploma 9 Impiegata Nessuna

Agneszka 47 Laurea 16 Insegnante Coll familiare

Magdalena 44 Diploma 11 Commerciante Nessuna

Izabela 31 Diploma 9 Nessuna Impiegata

Romania

Tonia 46 Lic. Ele-

mentare 5 Lav. Agricola Coll. domesti-ca

Suzana 37 Diploma 5 Commessa Nessuna

Ozana 53 Diploma 4 Infermiera Coll. familiare

Doina 45 Diploma 2 Operaia Coll. familiare

Nadia 29 Lic. Ele-

mentare 6 Nessuna Nessuna Mariana 26 Licenza media 1 Nessuna Nessuna Mirela 45 Licenza media

1 Impiegata Coll. familiare

Alina 28 Licenza

media 5 Operaia Nessuna

Magda 21 I anno di

Università 2 Nessuna Nessuna

Gratiela 48 Diploma 7 impiegata Coll. familiare

Denisa 36 Licenza

media 4 Nessuna Nessuna

Slovacchia

Olga 36 Diploma 10 Operaia Lav. autono-

ma

Ucraina

Agnesa 60 Laurea 9 Nessuna Coll. familiare

Olga 32 Laurea 9 Nessuna Nessuna

Venezuela

Blanca 34 Laurea 10 Impiegata Impiegata

Mariela 48 Laurea 5 Imprenditrice Commessa

Gabrieles 28 Diploma 1 Nessuna Nessuna

Conferma tale tendenza anche la voce “occupazione attuale” della tabel- la 1 che - pur documentando profili lavorativi inscritti in settori economici poco attrattivi dal versante del prestigio sociale e delle condizioni retributi- ve e di tutela, e, per più di un verso, discendenti a fronte di quelli che le in- tervistate svolgevano in patria- inscrive, comunque, il collettivo in spazi la- vorativi in grado di contrastare il pendolarismo migratorio. L’inserimento nelle attività domestiche e soprattutto in quelle di cura6 (dato l’affanno del- le famiglie a soddisfarlo) non pare, infatti, soffrire di turbolenze e compres- sioni, a dispetto del quadro di grave recessione economica del paese. A ra- gione Maurizio Ambrosini, a questo proposito, precisa che a differenza «dei tradizionali servizi domestici, che rimangono associati prevalentemen- te con condizioni di classe sociale medio-alta, invecchiamento e bisogno di assistenza coinvolgono individui e famiglie di ogni condizione sociale. Tra pensioni, sovvenzioni pubbliche e aiuti dei figli, anche molti anziani di

6 È soprattutto l’invecchiamento della popolazione locale fragile o non autosufficiente

condizione popolare sono assistiti a domicilio da “un’assistente familiare” […]. Sul versante opposto della scala sociale, è degno di nota il fatto che anche famiglie che non avrebbero problemi economici nell’affidare un congiunto anziano a una struttura residenziale di buon livello, ritengono più rispettoso e amorevole nei suoi confronti mantenerlo nella propria abitazio- ne, assumendo un’assistente familiare, o se necessario anche due […] »7.

A prevalere nel collettivo sembrerebbero, pertanto, sia coloro che hanno trovato il modo di superare le difficoltà iniziali, metabolizzato il trauma dello strappo dalla propria storia precedente, raggiunto livelli di inserimen- to nello spazio di approdo; sia coloro che mostrano, se non un progetto di radicamento definitivo in quest’area, comunque una propensione alla per- manenza, purché non si accentui il contesto generale di crisi e la contrazio- ne economica non peggiori le difficoltà del quotidiano. Il paradigma delle “tre R” (reclutamento, rimesse, ritorno) non sembra, dunque, al momento caratterizzare l’insieme8. Infatti, le straniere avvicinate disegnano, in mag- gioranza, profili di sé abbastanza consolidati che, almeno a livello di di- chiarato, non paiono al momento segnati da particolari disagi per la propria condizione. Hanno un lavoro e molte hanno ricomposto l’unità familiare: pertanto, non sembrano orientate a rientrare in patria, come può evincersi dalle testimonianze che seguono.

Qua c’è un’altra vita, più leggera, più aperta, vivo meglio, ho più libertà dentro e fuori, perché gli italiani sono più allegri, sorridenti, non sono stretti dentro. Agneszka, Polonia)

Sì, non ho realizzato grandi cose, ma la vita quotidiana mi piace. A scuola i fi- gli vanno bene, mi piace il contatto con altri genitori, mi sento rispettata. (Mimosa, Albania)

Io mi accontento di quello che ho. Mio marito ha un lavoro, gli italiani accetta- no la mia famiglia, mia figlia sta bene, va a scuola e può fare le cose che vuole. Abbiamo da mangiare, i soldi per pagare le spese. A me piace qua, perché stiamo in città e chi mi conosce mi vuole bene. (Alina, Romania)

Non voglio andare in altri paesi, mi piace qua. Sono contenta per i lavori che ho trovato, gli amici, la vita buona, quando lavoro mi sento libera. Ho trovato persone buonissime. (Rosita, Bulgaria)

Per il momento restiamo qua, mandiamo i figli a scuola, loro si sono abituati qua, al ritmo di vita, hanno i loro amici, ma se la situazione non si rimette a posto,

7 Ambrosini M. (2013), Immigrazione irregolare e welfare invisibile, il Mulino, Bolo-

gna, pp. 36-37.

8 Come è noto questo paradigma, disegnato sull’idea del soggetto giovane che investe su

se stesso, utilizza il capitale sociale e culturale acquisito all’estero per iniziare un percorso di ascesa sociale nel paese di origine, non sembra adeguarsi alla realtà delle testimoni.

abbiamo l’affitto da pagare, se non me lo posso permettere non vado a chiedere aiuto, ritorniamo in Romania. (Mariana, Romania)

Per inciso: queste testimonianze sembrano in linea con quanto l’ultimo rapporto del CNEL ha rilevato - e a cui si è già fatto riferimento nel primo capitolo- ossia che l’Abruzzo si offre in veste di regione favorevole all’inserimento sociale ed economico dei migranti. Ciò, tuttavia, non esclu- de la presenza di chi si mostra insofferente per la propria condizione, fuori posto, quotidianamente in compagnia della precarietà, dell’incertezza, della provvisorietà; e chi si percepisce in veste di ospite permanente di un mondo parallelo e subalterno a quello della società ufficiale.

Se dovesse cambiare il regime tornerei al mio paese, qua siamo secondi o terzi, al mio paese sono prima. Io non parlo bene la lingua, ma anche quando imparerò qui non c’è famiglia, anche fra vent’anni sarò sempre sola. Non ho nessuna storia, gli amici sono quelli con i quali sei cresciuto insieme, qua non conoscono chi ero, mi conoscono solo adesso. (Selim, Eritrea)

Vivo giorno per giorno, non c’è sicurezza per futuro. (Agnesa, Ucraina)

Tuttavia e a dispetto di queste voci dissenzienti, anche le tipologie lavo- rative e le morfologie familiari delle testimoni sembrano confermare la tendenza alla permanenza in questo municipio. Le prime, infatti, sebbene, come già accennato, denuncino forme di mobilità discendente a fronte delle occupazioni svolte in patria (nel collettivo non vengono segnalate situazioni di mobilità verticale, neppure episodiche, a meno che non si ritengano tali i passaggi dal ruolo di badante a quello di collaboratrice domestica che con- sente la fuoriuscita dalla coabitazione con il datore di lavoro e la possibilità di gestire la propria vita in modo più autonomo) e inscrivano principalmen- te nell’ambito del basso terziario caratterizzato da modesti livelli di qualifi- cazione e di retribuzione9, non parrebbero, al momento, costituire un osta- colo a tale evenienza. La ristorazione, i servizi domestici e quelli di cura e di assistenza alle persone (ovvero gli spazi lavorativi più frequentati dalle testimoni nel territorio comunale) comportano, infatti, un livello costante di occupazione. In particolare, il lavoro nell’ambito dell’assistenza familiare e nella collocazione domestica fissa consente di patrimonializzare il proprio guadagno più che se si svolgessero altri mestieri. Infatti e non per caso, questo settore lavorativo mostra una considerevole capacità di tenuta10 so- prattutto a seguito dell’estendersi del cosiddetto «welfare parallelo»11 che –

9 Si pensi, al riguardo, allo spazio del “terziario umile” che spesso si svolge all’interno

di dimensioni di degrado, di sfruttamento, di alienazione.

10 Su questo tema si rinvia, per esempio, a Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immi- grazione 2011, pp. 260-267.

cresciuto fuori da ogni programmazione, lievitato a causa della carenza dell’offerta pubblica (e di quella privata, talora economicamente non acces- sibile), e spesso segnato da carsismo contributivo – è alimentato in massi- ma parte da manodopera immigrata12.

Questo “modello”, che testimonia le criticità del regime di welfare ita- liano, poggia manifestamente sul disimpegno della politica nei confronti del sovraccarico delle funzioni delle famiglie italiane (e, in particolare, di quelle della donna, stretta fra esigenze produttive e riproduttive); mostra totale disattenzione verso i nuclei familiari più deboli (sul versante econo- mico e sociale) indotti ad aderire alla filosofia del “fai da te” quando si pro- spetta l’evenienza di dover ricorrere a servizi di cura e di assistenza; sotto- valuta esplicitamente il piano delle competenze che tali mansioni compor- tano (da cui frequentemente prestazioni non qualificate); e, da ultimo, tolle- ra il lavoro irregolare, la segregazione lavorativa, l’abusivismo di necessi- tà13. A ragione Laura Zanfrini sottolinea, al proposito, la necessità di istitu- zionalizzare il mercato sociale dei servizi alla famiglia e «ricondurlo a un più complessivo ridisegno del Welfare State […]. [Questa] sarebbe una scelta non solo funzionale alla desegregazione delle lavoratrici immigrate, ma anche coerente con quella strategia di ‘defamilizzazione’ (cioè di ridu- zione della dipendenza degli individui dalla famiglia) […] oggi indispensa- bile per ridurre la distanza tra chi può e chi non può contare su una famiglia ben funzionante, ma anche per consentire alle famiglie ‘sane’ di continuare a funzionare. Considerazioni che rendono evidente come garantire un ‘buon’ governo dell’immigrazione sia una sfida inseparabile da quella di progettare un modello di sviluppo non solo economicamente competitivo, ma anche socialmente sostenibile»14.

Si pensi solo, a conferma di quanto appena detto e continuando nell’analisi dei dati, al mancato riconoscimento del titolo di studio che si consegue all’estero. Al riguardo va precisato che la maggior parte delle te- stimoni presenta un livello d’istruzione medio-alto che, tuttavia, non si tra- duce in fattore di mobilità sociale. Nove di loro, infatti, sono laureate, due hanno frequentato l’università quantunque senza conseguire il titolo, e se- dici dispongono del diploma di maturità. Le ipo-scolarizzate costituiscono

12 E non solo: l’inserimento nel settore domestico-assistenziale costituisce anche il fatto-

re trainante per attivare manovre di regolarizzare politica. Come opportunamente segnala Maurizio Ambrosini, proprio queste tipologie di rapporto lavorativo basate sull’informalità «diventano la principale ragione per domandare provvedimenti di sanatoria. Nel caso italia- no […] motivazione esclusiva per quella del 2009, motivazione dominante per l’ultima, dell’autunno 2012»12. Ambrosini M., op. cit., p. 106.

13 Sui servizi privati di cura alla persona si rinvia, per esempio, a Ciavatta O. (2008),

“Prospettive di governo nel settore dei servizi privati di cura alla persona: fattori critici e proposte di intervento”, in Zulli F. (a cura di), Badare al futuro. Verso la costruzione di poli-

tiche di cura nella società italiana del terzo millennio, FrancoAngeli, Milano, p.140. 14 Idem, p. 212.

una quota modesta nel collettivo: nove hanno la licenza media, due hanno frequentato le scuole elementari15, e solo due non dispongono di alcun tito- lo di studio.

Pur tuttavia, la circostanza di aver risposto con l’espatrio a molti dei propri bisogni/obiettivi, orienta verosimilmente anche a tollerare le espres- sioni di marginalità di cui di diceva, e ad attivare procedure di adeguamento e adattabilità all’ambiente di approdo16. Il che, ovviamente, non esclude la speranza, espressa da più di una testimone, di poter accedere in futuro a spazi lavorativi più qualificati, anche se tale operazione richiederebbe, per un verso, un sistema economico in grado di incrementare il mercato del la- voro e tradurre l’immigrazione da offerta in gradi precisi di codificazione contrattuale e in risposte funzionali a domande inevase di lavoro (che, al momento, non è dato intravedere); per un altro verso lo stop alle condizioni di irregolarità che impediscono «qualunque forma di mobilitazione per il rispetto della normativa giuslavoristica»17; e, per un altro verso ancora, l’eliminazione, nell’immaginario collettivo, dell’idea che esistono lavori da immigrati (il cosiddetto processo di etno-stratificazione di alcuni mestie- ri18).

A proposito di quest’ultimo punto, non va escluso che la condizione oc- cupazionale in cui si concentra prevalentemente il lavoro delle testimoni, potrebbe determinare forme sempre più evidenti di differenziazione tra le comunità straniere in quanto ad interessi, grado di integrazione nel tessuto sociale, vissuto quotidiano, enfatizzazione della propria identità19, e quindi suscitare situazioni di contrapposizione fra gruppi etnici e, non seconda- riamente, anche tra gruppi etnici e autoctoni. La situazione di crisi econo- mico-occupazionale dell’oggi registra, infatti, un’accresciuta attenzione delle donne italiane in direzione del lavoro domestico, area governata in gran parte dalle donne immigrate, che potrebbe accentuarsi se la crisi del mercato occupazionale non dovesse mostrare inversioni di rotta.

15 Il processo di scolarizzazione per la totalità delle testimoni è avvenuto nel paese

d’origine.

16 Queste forme di migrazione all’apparenza riuscite perché consentono al migrante il

raggiungimento di taluni obiettivi, possono anche tradursi in forme di marginalità transna- zionale, perché si limitano a spostare la marginalità senza tradurla in buona partecipazione nella società di approdo. Cfr. sull’argomento, Pellegrino V. (2012), La clandestinità come

progetto trans-nazionale: un caso di studio sulle migrazioni marocchine in Emilia (Nord Italia), in «Mondi Migranti», op. cit., p. 205-226.

17 Idem, p.165.

18 Zanfrini L., op. cit., p. 161

19A proposito del capitale sociale del migrante, va segnalato che non di rado questo

orienta ad assumere atteggiamenti conformistici con quelli del proprio gruppo di apparte- nenza. Di qui, in ragione del vincolo obbligazionario nei confronti di questo, la difficoltà – quando non l’impossibilità – di dar luogo a inversioni di rotta del proprio percorso di vita e, in aggiunta, l’intrappolamento in nicchie specifiche di mercato del lavoro.

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