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Logica delle relazioni, logica delle categorie: connettere da un lato, separare dall’altro

di Lia Giancristofaro

9.2. Logica delle relazioni, logica delle categorie: connettere da un lato, separare dall’altro

L’immagine “medievale” del potere, legata al dominio fisico sulle per- sone e al diritto di vita e di morte su di esse, nel corso dell’Ottocento e del Novecento si è progressivamente ribaltata in una simbologia “illuminista” e “garantista” dove il potere limita il suo dominio sul corpo delle persone, ma potenzia la sua capacità di persuasione, ovvero convince le persone ad agire nella maniera che più risulta idonea a conservare il potere stesso, che in questo modo si auto-rigenera. Attraverso questo esercizio di egemonia, il potere garantisce l’esistenza delle persone, insomma il loro essere al mon-

do7, anche attraverso l’uso di poteri magici, la cui efficacia ovviamente è

subordinata alla fiducia che essi riscuotono. La riflessione demo-etno- antropologica, a partire da Gramsci e De Martino, ha messo in discussione non solo la qualità di tali poteri, ma anche il concetto occidentale di realtà e di normalità, ossia la categoria giudicante che guida l’osservatore, rivol- gendo lo sguardo antropologico dal mondo esotico al mondo endotico. Dunque ogni fenomeno migratorio può essere interpretato – incluse le cau- se politico-economiche che lo hanno generato – alla luce dei rapporti di “egemonia e subalternità” e soprattutto alla luce di una nozione che, ricava- ta dall’opera di Ernesto De Martino, è divenuta fondamentale nelle pratiche

6 La vita quotidiana è il contesto più propizio a favorire legami e relazioni interpersonali

che prescindono da status, culture e cittadinanze differenti e innescano la creazione di nuovi “noi”, cfr. Hannerz U. (1992), Cultural Complexity, Columbia University Press, New York, p. 35 ss.

7 De Martino E. (1978), “Il campanile di Marcellinara” in Gallini C.( a cura di), La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Torino, Einaudi, p. 182; cfr. so-

prattutto, Giovanni Pizza, Gramsci e De Martino, appunti per una riflessione, in «Quaderni di Teoria Sociale», XIII, 1, 2013, pp. 75-120.

etnografiche: la “crisi della presenza”8. Si tratta delle situazioni nelle quali soggetti appartenenti a varie fasce di età, cittadinanza e sesso perdono il possesso sulla propria persona. Il sé indebolito, praticamente, soccombe sotto un potere oscuro che minaccia l’esistenza dell’individuo. È da notare come queste “manifestazioni” scaturiscono, oggi come ieri, principalmente in una situazione di degrado socio-culturale nella quale ogni minima varia- bile esistenziale può distruggere una intera vita. In queste situazioni, oggi come ieri, si “interviene” con rituali magici che leniscono l’ansia e sosten- gono la psiche indebolita dei soggetti. Si potrebbe pensare che le pratiche magiche svolgano un effetto placebo, ma non è tutto qui. In queste situa- zioni si manifesta la vera presenza umana, la quale è caratterizzata dall’instabilità: viviamo credendo di sapere con certezza chi siamo, cosa vogliamo e dove stiamo andando, ma quando incontriamo condizioni di vi- ta negative la nostra presenza vacilla e un potere superiore fa venir fuori l’incertezza esistenziale. In questi casi, nonostante la variabilità culturale e interculturale, scopriamo che è sempre la magia a elaborare nuove strategie (garanzie, compromessi, riscatti e compensi) per proteggere la presenza umana nel mondo grande e terribile, per agire in esso anziché essere agiti

da esso9. La condizione storico-culturale da cui sorgono i fenomeni magi-

co-religiosi di garanzia, compromesso, riscatto e compenso può essere de- finita come un dramma storico concreto, ovvero uno stato di confusione e di alterazione psicofisica in cui l’individuo «perde per periodi più o meno lunghi, e in grado variabile, l’unità della propria persona e l’autonomia dell’io, e quindi il controllo dei suoi atti»10. L’individuo perde insomma la propria presenza, o meglio il proprio esserci come presenza certa e garanti- ta, facendo così crollare ogni distinzione tra sé e il mondo. La precarietà della presenza, il suo ritrarsi fino ad abdicare, sembra porsi al di fuori del sistema culturale, in quanto è possibile parlare di cultura (in senso generi- co) soltanto quando vi sia una presenza relazionale (ovvero una eredità so-

ciale) che si contrappone positivamente alla realtà. Ci sembra questa

l’attuale condizione degli stranieri in Italia: persone che, ritenendo di dover abbandonare i propri luoghi, mentre incontrano l’altro da sé, si fanno a loro volta altro per lui, secondo il classico schema dell’incontro tra culture che però, nel caso speciale dell’emigrazione, acquista un senso diverso, visto che chi emigra è in una condizione di minoranza e, appunto, di ulteriore su- balternità.

La subalternità degli stranieri, per quanto concerne l’attuale situazione culturale e normativa in Italia, risulta drammaticamente amplificata dalle circostanze post-moderne in cui l’immigrazione si è verificata. Oggi più

8 Ibidem.

9 De Martino E. (1948), Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Ei-

naudi, Torino, p. 70.

che mai, il potere invade il corpo delle persone e l’esistenza delle persone. La prima conseguenza è che la legge concede spazio alla norma: la struttu- ra rigida della legge permette di minacciare il carcere e l’esclusione dalla vita anche in senso simbolico, ma la norma è più adatta a codificare la vita e, appunto, la normalità delle persone11.La sociologia e l’antropologia cul- turale, in questo frangente, contribuiscono ad interpretare il discrimine – certamente variabile – tra la normalità e l’anormalità, fornendo alla gover-

namentalità le prove e gli strumenti concettuali utili per la gestione delle

biopolitiche, ovvero delle attività di gestione dei corpi delle persone. Il pun- to che sollecita il nostro attuale interesse per la condizione delle immigrate è, innanzitutto, che l’immigrazione femminile risulta attualmente priva di punti fermi, dunque rischia di riprodurre questa mancanza di obbiettivi in una nuova generazione: la discendenza, detta appunto seconda generazio-

ne. L’attuale immigrazione femminile è dichiaratamente “liquida”, come

del resto tutta la società contemporanea12, ma nella generale fluidità del si- stema inserisce altre pericolose variabili, come l’instabilità economica, l’incertezza giuridica, l’anormalità familiare. Le immigrate intervistate soffrono di una stabilità precaria quanto forzata e hanno perso le speranze in un miglioramento della loro situazione; alcune confessano di restare in Italia solo a causa della difficoltà economica ed emotiva di affrontare il rientro in paese, che qualcuna definisce come un possibile e ulteriore choc

culturale, essendosi abituate ad una vita che, benché povera, è pur sempre italiana. Molte di loro pagano l’affitto di casa con difficoltà crescenti, non

possiedono risparmi, né beni mobili o immobili, insomma risultano nullate- nenti, nullafacenti e a carico di altri. Quante sono disoccupate o impiegate “in nero” non hanno neppure il diritto di definirsi come una classe sociale, o al limite una sottoclasse, in quanto non rientrano nel processo produttivo ufficiale. Nelle società complesse, il lavoro è il principio dell’identità uma- na, dunque le immigrate risultano deprivate persino della consolatoria pos- sibilità di vagheggiare un’utopia socialista. La povertà e il disagio diventa- no, in queste donne, uno status sociale e se, in tempi lontani, la disugua- glianza di classe dava luogo a migrazioni e successive assimilazioni, oggi in Italia «non risultano esserci culture superiori in cui integrarsi»13 e il pa- radossale privilegio delle immigrate, le quali non hanno più nulla da perde- re, sostanzia un immaginario punto di decadenza socio-economica per la cittadinanza di classe media, la quale oggi rischia di veder sfumare tutte le sicurezze che fino ad alcuni anni fa passavano come “diritti acquisiti”: pre-

11 Cutro A. (2005), Biopolitica. Storia e attualità di un concetto, Ombre Corte, Veroma. 12 Cfr. Bauman Z. (2000), Liquid Modernity, Polity, Cambridge; Spedicato Iengo E.

(2012), Il falso successo del mondo «liquido». Intorno a nomadismi culturali e patti sociali

traballanti, Giuseppe Laterza, Bari.

videnza socio-sanitaria, lavoro, professionalità, risparmi, libertà di movi- mento.

È dunque la perdita di certezze da parte degli italiani a co-determinare la criticità della condizione delle donne immigrate? Certamente sì: confron- tiamo la loro esperienza con quella degli italiani all’estero, che nel Secondo Dopoguerra furono protagonisti del boom economico e delle politiche so- cio-culturali per l’integrazione attuate da Canada, Francia, Germania, Au- stralia, Belgio o Stati Uniti. Le donne, in quel frangente, migrarono insieme e al seguito degli uomini, condividendo l’obbiettivo di uscire dalla miseria e dalla precarietà, lavorare sodo, risparmiare, acquistare una casa e far stu- diare quei figli che, nati all’estero, riscattarono e ripagarono la prima gene- razione dai loro sacrifici, primo tra i quali una condizione di integrazione perennemente dimezzata a causa del legame ombelicale, onirico e “nutriti- vo” sovente mantenuto col paese d’origine14. L’acquisto della casa e della terra nel paese d’accoglienza o nel paese d’origine rappresentava un obbiet- tivo chiaro e realizzabile, percepito come tale da tutta la famiglia, e tra- sformava il pagamento di quello che per gli italiani nei paesi anglofoni era il morghéggio (da mort gage, mutuo) nello strumento condiviso per rag- giungere lo status del ceto proprietario che diventava il simbolo della libe- razione dal bisogno, così come imponeva la cultura originaria. In questo contesto, il raggiunto benessere economico e il successo sociale ottenuto dai discendenti nel paese d’adozione hanno consentito una identità tutto sommato positiva attraverso intersezione tra l’essere come e l’essere diver-

so da. Paradossalmente, si cercava la sicurezza attraverso il rischio e si in-

vestiva su un futuro che poteva essere immaginato in termini di possibilità e di scenari più o meno probabili. Grazie anche alla congiuntura economica favorevole, non si demordeva e ci si adeguava alle esigenze di progetti a breve termine, alle opportunità del momento15, pur di raggiungere nel lungo periodo l’obbiettivo del successo e del benessere familiare.

Attualmente, la congiuntura economica è assai diversa, il mito della cre- scita infinita è crollato e, per le straniere domiciliate in Italia, possedere una abitazione e, con essa, una vita libera, relazionale e piena di obbiettivi è di- ventato un sogno irrealizzabile così come è diventato irrealizzabile per mol- ti italiani, che tuttavia possono ancora contare su qualche rendita di posi-

zione basata sull’integrazione culturale. Perciò, si ha la sensazione che mol-

te di queste donne stiano in Italia ormai solo per inerzia: « perché qui – spiega Samirah – anche se ormai lavoro poco o niente, anche se non posso più pagare l’affitto, io e il mio bambino non moriamo di fame, insomma non ci abbandonano.[…] Mi comporto bene e sono gentile, c’è gente che

14 Spedicato Iengo E, Giancristofaro L. (2010), Abruzzo regione del mondo. Letture in- terdisciplinari dell’emigrazione abruzzese tra Ottocento e Novecento, FrancoAngeli, Mila-

no.

mi aiuta, mi danno i pannolini.[…] Siamo in Italia, c’è la Caritas, la scuola, gli ospedali, le strade. Ci sono le vaccinazioni e le medicine gratis. Io al mio paese non torno16.

Dunque si tratta di una motivazione “al ribasso”: arrivate in Italia per realizzare un sogno di miglioramento, molte di queste donne vi restano semplicemente per l’esistenza di una protezione giuridica, di un welfare e di una pietà popolare che si attivano soprattutto per le donne con prole mi- norenne, a tutela dei bambini. Questi figli, una volta divenuti maggiorenni, muteranno il loro status divenendo “extracomunitari”, ovvero soggetti giu- ridici la cui presenza è vincolata alle condizioni economiche positive. Visto che sono il lavoro e l’indipendenza economica a definire l’accesso ad una sfera di diritti17, questa situazione mette in luce le incongruenze di un si- stema normativo che, per ottemperare alle convenzioni internazionali, cerca di “proteggere” l’infanzia e l’adolescenza, per poi tramutare, al compimen- to del diciottesimo anno, gli stessi minori tutelati in adulti estranei e da espellere.

Ma non finisce qui: soprattutto per la donna straniera che in Italia non abbia un contratto di lavoro né figli minori, il trattamento risulta rovesciato rispetto a ciò che avviene per la donna in possesso della cittadinanza italia- na. L’articolo 4 della Costituzione garantisce ai cittadini il diritto al lavoro, invece alle migranti è il lavoro che, così come la presenza di prole mino- renne, assicura i diritti. Le immigrate insomma detengono solo diritti preca- ri e permangono in un limbo d’incertezze considerando che la loro possibi- lità di stabilità è legata ad un lavoro regolare e a tempo indeterminato, re- quisito assai difficile da raggiungere nell’attuale congiuntura economica.

Dunque, le trasformazioni del tardo capitalismo hanno ristrutturato il mercato del lavoro in direzione di una precarietà stabile e coinvolgono fa- sce sempre più ampie della popolazione; in particolare, esse generano effet- ti a spirale per le donne migranti, moltiplicano la loro vulnerabilità e le pos- sibilità di sfruttamento nei contesti lavorativi, relazionali, affettivi. Dunque queste donne sono condannate a rimanere in bilico, in una situazione di in- certezza, con uno status giuridico temporaneo e con il rischio di decadere nell’irregolarità, con conseguente espulsione dalla fortezza europea.

16 Samirah Nwa, anni 32, nigeriana, intervistata a Pescara il 21/03/2014.

17 Notarangelo C. (2013), Di come l’universalità dei diritti si traduce nelle politiche e nelle pratiche nazionali di esclusione: lo spettro della precarietà dei giovani “migranti”, in

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