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Il confronto con la realtà italiana: successo, insuccesso e relazion

di Vittorio Lannutt

6.5. Il confronto con la realtà italiana: successo, insuccesso e relazion

I network tra immigrati «precostituiscono il frame cognitivo e strutturale in cui le decisioni individuali vengono assunte, delimitano il perimetro del- le opzioni possibili, incanalano e modellano i corsi di azione»17. Le reti mi- gratorie, se non si aprono al confronto e allo scambio con il resto della so- cietà in cui agiscono, producono – come si diceva – segregazione occupa- zionale, perché garantiscono lavoro ai connazionali, ma soltanto in deter- minate nicchie lavorative, spesso di basso profilo professionale. Se al con- trario l’immigrato si rivolge ad altre agenzie ha maggiori opportunità lavo- rative. Molte intervistate, infatti, hanno riferito di aver trovato lavoro grazie ad amicizie o alla Caritas.

Si delinea, quindi, una situazione simile all’analisi svolta da Granovetter rispetto alla distinzione tra legami deboli e legami forti, che si creano all’interno delle comunità etniche. Quanto più queste sono coese e creano al loro interno dei legami forti, meno i loro componenti hanno la possibilità di compiere un’ascesa sociale, perché restano relegati all’interno della nic- chia lavorativa nella quale si sono inseriti, appena giunti nel Paese di ap- prodo. I legami deboli, invece, sono quelli che offrono maggiori possibilità di muoversi in ambienti diversi da quello d’origine, e quindi di avere acces- so ad informazioni diverse da quelle che ricevono normalmente nell’ambito familiare. I legami deboli permettono, quindi, agli immigrati di ampliare e approfondire l’area dei rapporti sociali, alimentando così la coesione socia- le, ma rimettendo in discussione la centralità dei legami parentali e quindi dei network, strutturati essenzialmente sulla solidità delle relazioni familiari ed etniche18.

La specificità delle reti etniche e delle dinamiche interne è determinante per spiegare i diversi percorsi lavorativi. Secondo la letteratura internazio- nale i fattori che determinano i percorsi lavorativi sono: la dimensione, la

17 Ambrosini M. (2006), “Delle reti e oltre: processi migratori, legami sociali e istituzio-

ni”, in Decimo F., Sciortino G. (a cura di), Reti migranti, il Mulino, Bologna, p. 26.

concentrazione territoriale, il livello di istruzione dei soggetti coinvolti19.

Sono venuta in Italia per i soldi, poi anche perché la lingua italiana è simile al rumeno e poi perché mia sorella era già venuta prima di me in Italia”. (37, romena, diplomata, disoccupata)

Il primo tramite annuncio, i successivi solo attraverso amiche polacche, poi in agenzia per il lavoro. A Roseto, la mia amica che mi aveva ospitato e mi ha trovato lavoro come badante e ci sono rimasta per due anni circa. Poi mi sono iscritta in una agenzia interinale e mi hanno trovato lavoro come operaia in diverse fabbriche. (44, polacca, diplomata, disoccupata)

Finora quando ho avuto bisogno di qualcosa, la famiglia italiana mi ha aiutato senza chiedere nulla. Mi hanno prestato anche la macchina per arrivare in un punto, ma non hanno preso mai i soldi. Hanno fatto tutto volentieri, senza chiedermi nien- te. Un rapporto reciproco, loro mi hanno aiutato ed io a loro. Questo è un rapporto anche se chiamo a mezzanotte per telefono o devo andare a Pescara o mi servono i soldi. (45, romena, diplomata, occupata)

In questi brani si rileva, accanto al ruolo che svolgono le reti etniche, anche l’orientamento a sottolineare l’importanza di ampliare il proprio spet- tro di conoscenze e di relazioni. Queste donne hanno compreso che è op- portuno avere un atteggiamento cosmopolita per poter sperare di migliorare la propria condizione, utilizzando sia i rapporti interpersonali, sia ricorren- do alle agenzie interinali.

Nel complesso si registra un sostanziale livello di soddisfazione per la propria condizione socio-economica e familiare. Le intervistate, infatti, at- tribuiscono al successo diversi significati: aver ottenuto un lavoro, aver raggiunto una certa posizione con le proprie forze, poter gestire i figli, aver instaurato relazioni amicali sia extra che co-etniche, essere state in grado di adattarsi a situazioni e relazioni non previste al momento della partenza.

Successo, perché nove, dieci anni fa cercavo lavoro e non pensavo di venire in Italia poi ho parlato con una signora. Quando studiavo geografia pensavo che l’Italia è un posto molto bello. Sono venuta per tre mesi e poi sono rimasta. L’ho fatto solo per i miei figli, per me è stato bruttissimo stare lontano ma per loro ho potuto fare tanto. Ora loro sanno che sono senza lavoro e si preoccupano. Per me sono amici, non siamo come figli e mamma. (59, polacca, diplomata, disoccupata)

Posso dire successo, perché sono positiva. Adesso l’opportunità di studiare è un successo; mi hanno dovuto accettare il liceo: undici anni di scuola in Venezuela, in

19 Portes, A. (1995), “Economic Sociology and the Sociology of Immigration: A Con-

ceptual Overview”, in A. Portes (a cura di), The Economic Sociology of Immigration, New York, Russel Sage Foundation.

tutto qui sono dodici. Peso di aver avuto successo nel fare amicizie. Ma ho fatto tutto da sola o con mio marito”. (34, venezuelana, laureata, occupata)

Successo anche se ho fatto il lavoro di badante che per gli altri è un lavoro “un po’ giù”. Ma è un lavoro onesto, perché veramente aiuti chi ha bisogno di te. Mi sento bene del fatto che posso aiutare gli altri con il mio lavoro. Se sai gestire le cose, ma tutto dipende dalla persona che c’è. O ti devi adattare o ti trovi un altro lavoro. Le scelte sono queste due. Se non sei capace di adattarti, non puoi vivere con altri, ma trovi sempre motivo per andare via. Devi pensare questa giornata se non sto bene, passerà. Una volta io sono nervosa e la vecchietta è calma, una volta lei è nervosa ed io sono calma, si va avanti. (45, romena, diplomata, occupata)

La percezione di aver ottenuto successo è legata sostanzialmente alla capacità di adattamento e alla voglia/necessità di integrarsi. Rispetto al la- voro di cura il successo è interpretabile in due modi. Per alcune intervistate svolgere l’attività di assistente familiare significa aver conseguito il tra- guardo alla base della loro partenza che poggiava sul raggiungimento di obiettivi economici temporanei volti a massimizzare i profitti e ridurre al minimo i tempi di permanenza; mentre per altre diventa importante conse- guire il passaggio da assistente familiare a operatrice socio-sanitaria: si trat- ta in sostanza di un percorso volto alla stabilizzazione.

6.6. La doppia assenza

La condizione dell’immigrato di prima generazione, rispetto alle diffi- coltà di inserimento nella società di destinazione e a quella di origine, è di doppia assenza. Il sociologo algerino Sayad ha ben delineato questa condi- zione, sostenendo che l’immigrato non è adeguatamente riconosciuto come persona né nel Paese di origine, né dove si inserisce: dunque vive sempre una condizione di migrante, di perenne viaggiatore, senza radici. Gli immi- grati che sostengono di avere avuto successo, lo fanno quando si rendono conto che non vivono più la condizione della doppia assenza, ma si sentono parte integrante della società che hanno raggiunto. Nella ricerca in questio- ne non è così: alcune intervistate si sentono sospese e in cerca di un’identità e di radici.

Vorrei lasciare il mio compagno ed andare a vivere con mia figlia. Si, perché in Italia è diverso, c’è un altro mondo. Pure in Romania è bello, ma è diverso. Là, la gente si veste più bene di qua, ma qui le persone sono più rispettose. Forse sono false, ma non tutti. Dico che Dio vede quella persona. Io sono diversa da mia figlia, sono più sensibile. Non tornerei, forse chi sa come sarebbe tornare lì, ormai. Ho un’altra figlia sposata lì. Ora voglio vedere cosa accade con l’altra figlia, anche se mi manca ed a lei mancano tante cose. In alcuni momenti, non posso aiutare né lei né l’altra e questo mi fa stare male. (48, romena, diplomata, occupata)

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