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di Vittorio Lannutt

6.4. I problemi con la realtà italiana

L’impatto con la realtà italiana generalmente non è mai facile per gli immigrati, salvo quando questi riescono ad usufruire delle opportunità for-

nite dalle reti migratorie e dai servizi offerti dalle associazioni del Terzo settore e dalle amministrazioni locali. Tuttavia, nel medio termine, vivono forme di discriminazione che si esplicitano sia con modalità eclatanti, che con strategie sottili e poco manifeste. Il confronto con la realtà italiana per gli immigrati si rivela molto spesso ambivalente, perché a fronte di una par- te della società civile e delle amministrazioni ben disposte verso lo stranie- ro, altre si mostrano ostili e hanno trovato la loro legittimazione in alcune posizioni politiche. I problemi riscontrati da parte delle intervistate sono riassumibili in due categorie: istituzionale e relazionale, le quali al loro in- terno contengono diverse sotto-categorie.

1. Istituzionale:

a. la difficoltà a trovare lavoro, soprattutto in tempi di crisi come quelli at- tuali:

Non lavoro perché tutti chiedono esperienza. Sono un anno e quattro mesi che sto qua e non trovo lavoro, sono un po’ arrabbiata e scoraggiata. Voglio lavorare perché sono stanca di stare in casa. (21, romena, diplomata, disoccupata)

b. Problemi con la burocrazia.

Quando andavo a chiedere qualsiasi certificato la burocrazia è estrema, ci vuole un sacco di tempo per ottenere qualcosa. Nel periodo della disoccupazione al Co- mune hanno sbagliato cognome ed hanno sbagliato a mandare i soldi al conto in banca. La burocrazia è insopportabile, invece di darti una mano e aiutarti a risolve- re problemi, ti mettono un bastone tra le ruote, per farti faticare la vita; loro godono che tu sei inferiore di loro. (31, polacca, diplomata, occupata)

c. Le carenze del welfare italiano. Rilevanti sono anche le carenze nel wel- fare, in particolare quelle riguardanti l’assenza di servizi educativi per i bambini sotto i tre anni di età. Tra le donne che hanno i figli nati in Italia non si verificano casi di affidamento della cura di questi a parenti nel Paese di origine: dunque non si hanno casi di care drain; tuttavia queste non han- no neanche la possibilità di usufruire di servizi educativi comunali. Così, molte fra loro sono state costrette a dover interrompere l’attività lavorativa a seguito della nascita dei figli, evidentemente perché sul territorio sono scarsi i servizi educativi. Per quanto riguarda i servizi pubblici rivolti alla prima infanzia (asili nido e interventi integrativi), secondo quanto riportato da Pavolini14 confrontando i dati delle varie regioni italiane relativamente all’offerta dei servizi educativi per i bambini, emerge che quelle meridiona-

14 Cfr. Pavolini E. (2011), “Welfare e dualizzazione dei diritti sociali”, in Ascoli U. (a

li sono sotto la media nazionale (12,7%). L’Abruzzo ,tuttavia, insieme alla Sardegna, è l’unica regione che si avvicina al dato nazionale con un tasso di copertura del 9,8%.

Non lavoro per stare con mia figlia. Ho trascorso periodi di disoccupazione in Italia, perché non trovo lavoro per la mattina, lo trovo a volte per il pomeriggio ma io non posso. (28, romena, terza media, disoccupata)

Ora lavoro per sette € ad ora. Ho dovuto lasciare tanti posti di lavoro perché ho miei figli. (40, albanese, diplomata, occupata)

d. Diritti e condizioni di lavoro. La deresponsabilizzazione dello Stato ita- liano rispetto alla gestione degli anziani non autosufficienti emerge anche nel trattamento che moltissime assistenti familiari subiscono per quanto ri- guarda orario di lavoro e stipendio percepito. Numerosi, infatti, sono i casi di lavoratrici senza contratto di lavoro, che si traducono in situazioni di sfruttamento.

Finora ho lavorato come badante. Le retribuzioni erano: dal dottore a Eboli, 850; ad Amalfi 750, a Napoli anche 750, ad Avellino 800. Tutti senza contributi e senza contratti, ma mi hanno sempre fatto regali, a volte mi davano dei soldi in più e la domenica la pagavano di più. (59, bulgara, laureata, disoccupata)

Ho lavorato solo in una famiglia italiana, facevo la badante a una signora an- ziana, ma non mi hanno pagato tutto, si sono approfittati perché sono straniera, me ne sono andata. Mi avevano detto che mi davano 550 € al mese, ma non me li han- no dati. (48, romena, diplomata, occupata)

Il mio primo lavoro l’ho trovato tramite un annuncio in un giornale polacco nel quale c’erano offerte di lavoro da cameriera. In realtà, nell’agenzia in Italia (in col- laborazione con quella polacca) ci hanno detto che dovevamo lavorare nei night. Dall’agenzia mi hanno accompagnata all’appartamento nel quale poi ho scoperto che avremmo dovuto vivere insieme con le altre undici polacche. Ci davano da mangiare molto poco, solo pane ed insalata. L’agenzia non era affatto seria e ci avevano chiesto anche altri soldi. Sono riuscita a scappare dall’appartamento in- sieme ad alcune ragazze. Sono stata poi ospitata a Roseto da una mia amica polac- ca (che ho conosciuto tramite altre ragazze in Italia) che lavorava come badante. Lei poi mi ha trovato lavoro come badante è l’ho fatto per due anni. Nel primo la- voro da badante mi sono trovata male, lavoravo con un anziano malato di Parkin- son, non camminava, non parlava, non poteva muoversi e tremava. Mi sentivo sola. Dovevo lavorare, pulire, fare tutto. La paga non era molto alta e non ho avuto un contratto di lavoro. Non avevo molte ore libere, ma solamente una volta a settima- na. Lavoravo come una bestia. (44, polacca, diplomata, disoccupata)

La situazione di questa donna polacca sottolinea il ruolo e le funzioni svolti dalle reti migratorie; funzioni e ruolo che, invece, dovrebbero spetta-

re alle istituzioni pubbliche e alle amministrazioni locali. Tuttavia, le forme di sfruttamento e di lavoro nero non riguardano soltanto il lavoro di cura: anche altri settori nei quali sono inserite le immigrate, soffrono di questa stessa patologia, come quelli del turismo e della ristorazione.

In hotel si, gli altri lavori li ho fatti in nero perché sono lavori a ore, saltuari come le notti. Ora ho cominciato da tre settimane, vorrei che mi facessero il con- tratto, per la carta di soggiorno e la cittadinanza ci vuole l’assunzione. Loro sono contenti, penso che me lo fanno. (47, polacca, laureata, occupata)

Non lo fanno un contratto regolare. Noi stranieri non vogliamo creare problemi perché vogliamo lavorare, quindi, accetto il contratto che mi ha fatto. Attualmente, lavoro come barista e mi trovo ancora in difficoltà. Il mio datore di lavoro mi ha fatto un contratto part time, nel quale risulta che lavoro quattro ore al giorno, men- tre in realtà lavoro otto ore. Inoltre, mi ha versato i contributi relativi solo ad un anno, ma in realtà lavoro da quattro anni. Una ragazza italiana che lavorava lì pri- ma di me l’ha denunciato. In Bulgaria, invece non è possibile lavorare senza un contratto regolare, ci sono moltissimi controlli. (45, bulgara, laureata, occupata)

Le forme di sfruttamento si riscontrano anche nei casi di non riconosci- mento di quei diritti che dovrebbero essere inviolabili come la maternità, o quando si è costrette a pagare il mediatore per cercare il lavoro:

No, non mi hanno dato neanche la maternità. (34, venezuelana, laureata, occu- pata)

Considerando che mi sono organizzata, non ho incontrato grandi difficoltà ini- zialmente, a parte la lingua. Poi si sono verificate molte difficoltà nel campo lavo- rativo. Ad esempio, la prima volta che sono arrivata in Italia, sono stata a Frosino- ne da un’amica che lavorava come badante per una signora anziana. Inizialmente era difficile trovare un lavoro, allora ho dovuto dare 600 € al figlio della signora anziana (a cui la mia amica faceva da badante) che me le ha chieste in cambio della possibilità di lavorare. Sia io che la mia amica eravamo senza documenti per stare in Italia, quindi dovevamo adattarci. Dopo aver consegnato la somma di denaro a lui, ho iniziato a lavorare presso una signora anziana, che sfortunatamente è morta dopo quindici giorni. Lui si è rifiutato di restituirmi la somma di denaro che gli avevo dato, ma poi mi ha trovato un altro lavoro. Lavorare come badante crea dif- ficoltà ad avere una vita normale e privata perché bisogna stare a contatto con una famiglia ventiquattro ore su ventiquattro. Addirittura, quando mio padre è morto sette anni fa ero arrivata in Italia da poco, non sono potuta neanche andare al suo funerale perché stavo lavorando. È stato difficoltoso anche adattarsi a fare lavori completamente diversi, badante e barista, rispetto a quello precedente da insegnan- te di chimica in una scuola in Bulgaria. Ho dovuto accettare questi cambiamenti, un ambiente di lavoro meno gratificante (ad esempio al bar ci sono ubriaconi) e pochissimo tempo libero. (45, bulgara, laureata, occupata)

Questa testimonianza è un ulteriore esempio di deresponsabilizzazione dello Stato nella gestione delle assistenti familiari.

f. La pesantezza del lavoro con gli anziani.

Ho due mezze giornate, ma vorrei lavorare una domenica si e una no. È pesan- te, psicologicamente, la signora dove lavoro è un diavolo, litiga sempre con il mari- to e mi mette in mezzo, è molto capricciosa. (47, polacca, laureata, occupata)

Tali forme di sfruttamento si vanno ad iscrivere anche all’interno di un quadro socio-demografico mutato negli ultimi decenni anche nelle regioni meridionali, dove, come nel nord, si è verificato, seppure in maniera più lenta ed in tempi più recenti, un invecchiamento dal basso, vale a dire la ri- duzione del numero delle giovani generazioni e l’invecchiamento dall’alto, che consiste nell’aumento dell’aspettativa di vita. Di conseguenza la fami- glia ha subito un forte mutamento venendosi a configurare come ‘più stretta e più lunga’, in quanto si hanno meno figli che, rispetto al passato, si eman- cipano più tardi15. Anche nel Meridione, inoltre, se sono diminuiti gli emi- granti verso il Nord Italia e verso l’estero, negli ultimi decenni si sono veri- ficati spostamenti di persone dalle zone periferiche ai grandi centri, anche all’interno delle stesse province, per cui molti anziani si sono trovati soli e i familiari ‘li hanno gestiti’ con le assistenti familiari. I vari governi che si sono succeduti nel tempo si sono rivelati incapaci di comprendere questi mutamenti sociali, limitando l’offerta dei servizi e privilegiando quella mo- netaria. Questa situazione ha determinato una dinamica complessa. Si è ve- rificato, infatti, che lo Stato italiano, implicitamente ha ‘appaltato’ la cura degli anziani non autosufficienti alle lavoratrici immigrate (non assumen- dosi la responsabilità di monitorare se queste vengono sfruttate), ponendosi come spettatore passivo di questo fenomeno e favorendo, implicitamente, la nascita delle nicchie etniche nell’attività di cura. Nel nostro Paese questa situazione ha alimentato l’arrivo di donne primomigranti/breadwinner (fe- nomeno comune nel contesto delle migrazioni internazionali), che costitui- scono la maggioranza (51,8%) dei cittadini nati all’estero16.

È doveroso rilevare che la maggior parte delle immigrate breadwinner, svolgendo un importante ruolo nel settore di cura sono produttrici ed eroga- trici del welfare. Il lavoro delle assistenti familiari, per come si è configura- to, contiene diverse ambivalenze, fra le quali la più evidente riguarda le ore notturne, considerate lavorative dalle lavoratrici e di riposo dai datori di la- voro, per cui ciò può dare adito a conflitti. L’assistente familiare è nella maggioranza dei casi ricattabile, per cui difficilmente riesce a pretendere ed

15 Cfr. Brandolini A., Saraceno C., Schizzerotto A. (2009), Dimensioni della disugua- glianza in Italia: povertà, salute, abitazione, il Mulino, Bologna.

ottenere il contratto di lavoro, soprattutto se è irregolare. Questo accentua una situazione di asimmetricità e di verticalizzazione del rapporto di lavoro. 2. Relazionale:

a. Le difficoltà coniugali dovute alla gelosia del marito italiano, che non permette alla donna di lavorare, fenomeno dovuto alla persistenza di antichi e maschilisti retaggi culturali, propri del meridione italiano.

Ho avuto successo nei lavori che ho trovato, quando ho cercato. Anche se non è stato facile per me. Ma il mio compagno non mi ha lasciata sempre andare a fare i lavori che ho trovato. Ho avuto tante difficoltà, ho perso lavori per colpa sua. Quando trovavo una cosa che era migliore, non mi lasciava andare, perché dovevo stare a casa. Ma mi servivano i soldi, avevo trovato lavoro come commessa all’ipermercato, un’altra volta pulizie in azienda, poi in un bar, ma lui non mi ha lasciata andare. (48, romena, diplomata, occupata)

b. problemi relazionali in generale con i maschi italiani

Sono separata, il mio matrimonio era con alti e bassi, erano più le volte che liti- gavamo; lui è pugliese, geloso, non posso uscire con la minigonna, i pantaloncini, non da sola. Siamo stati sposati per quattro anni e mezzo. (32, albanese, terza me- dia, disoccupata)

Come sono tornata dalla Svizzera, quando ero in Italia avevo successo ma han- no rovinato tutto gli uomini che ho conosciuto. (36, slovacca, diplomata, occupata)

Un’attenzione particolare merita la percezione della differenza di trat- tamento tra lavoratori italiani e stranieri.

Penso che ci sono meno garanzie che per gli italiani. Io sono caduta e mi sono rotta un ginocchio, stavo sotto contratto e mi hanno dato dieci giorni di infortunio ma non mi sono stati pagati, mi hanno detto che avrei dovuto trascorrerli sul posto di lavoro. (32, albanese, terza media, disoccupata)

Per gli stranieri è più difficile trovare lavoro, se c’è un contratto le garanzie so- no uguali, se ho un contratto vado al mio paese. (21, nigeriana, analfabeta, disoc- cupata)

Gli italiani sono più tutelati, perché la maggior parte degli italiani hanno un contratto e poi nelle agenzie di lavoro quando hanno delle offerte fanno lavorare prima gli italiani e poi gli stranieri. (20, marocchina, terza media, disoccupata)

Per altre invece non vi sono parzialità di trattamento fra autoctoni e stranieri:

Beh! gli stranieri sono abbastanza tutelati perché hanno un patronato per gli stranieri. (51, moldava, diplomata, occupata)

Il ‘mito’ che gli stranieri siano privi di diritti, nonostante la legge in vi- gore, la 189/2002, è destinato a svaporare, perché se da un lato questi non hanno diritto alla cittadinanza, non possono accedere ai concorsi pubblici, ecc., dall’altro hanno diritto di usufruire dei servizi sanitari, educativi, pen- sionistici, ecc. grazie anche al lavoro dei patronati, che in molti casi riesco- no a far valere i diritti di questi.

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