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Intolleranza democratica ed esacerbazione della diversità culturale

di Lia Giancristofaro

9.3. Intolleranza democratica ed esacerbazione della diversità culturale

In Italia, grazie anche all’inadeguatezza degli interventi legislativi, si è consolidata l’interpretazione degli immigrati come “nemici simbolici”18, e con essa il processo di etnicizzazione delle collettività straniere e la loro conseguente reificazione in “comunità”. Beck, analizzando la costruzione politica dello straniero, in particolare del “vicino” che diventa “straniero” attraverso tutta una serie di pratiche sociali e norme legali, ha evidenziato i processi attraverso i quali il nostro prossimo può essere tramutato in stra-

niero e ha enfatizzato il modo in cui questa categoria di “straniero” forzi

dall’interno i concetti su cui si fonda l’ordine nel mondo degli autoctoni in- carnando, secondo gli stereotipi dell’ordine sociale, ciò che deve essere escluso19. Ma, come è noto, i processi de-individualizzanti oggi ostacolano e ledono il diritto soggettivo ad autodefinirsi e non fluidificano i processi di mediazione interculturale. Rifacendoci al pensiero di Foucault relativo alla connessione fra disuguaglianze moderne e tecniche del potere, non è azzar- dato sostenere che la matrice delle politiche migratorie europee sia profon- damente razzista20. Tra le varie prospettive degli studi post-coloniali, spicca quella di Mezzadra, che colloca al centro della sua analisi la nozione di

confine o, meglio, quel principio di confinamento spaziale e temporale che

era al tempo stesso «codice e limite interno fondamentale del progetto co- loniale». Era proprio questa proliferazione di confini a produrre nelle socie- tà coloniali ciò che Fanon definiva spazio proteiforme: uno spazio socio- culturale eterogeneo, caratterizzato dalla coesistenza nello stesso territorio di diversi modi di produzione, diversi regimi di lavoro e diversi contesti culturali21. È esattamente quello che si è realizzato in Italia promuovendo una inclusione selettiva e differenziale dei migranti e del lavoro, accompa- gnando le recinzioni materiali con recinzioni immateriali e diseguali pro- cessi di accumulazione del sapere. Attualmente, infatti, le immigrate ap- paiono incapaci di elaborare e mettere in campo strategie lavorative effica- ci. Nella mia osservazione ho registrato un notevole spaesamento, una ge- nerale difficoltà di capire come le relazioni culturali realizzano le quattro principali cornici del flusso culturale22. In compenso, le immigrate sono as- sai abili nel riorganizzare le loro appartenenze per area geografica e cultu- rale: espletando una serie di giochi di ruolo, mi è risultato evidente che gruppi di “simili” si calamitano tra di loro per ricostituire il falso mito

18 Dal Lago A. (1999), Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale,

Feltrinelli, Milano.

19 Beck, U. (2000), I rischi della libertà, il Mulino, Bologna, p. 171 ss.

20 Mezzadra S. (2008), La condizione postcoloniale. Storia e politica nel presente globa- le, Ombre Corte, Verona.

21 Cfr. Fanon F. (2000), I dannati della terra, Einaudi, Torino. 22 Cfr. Hannerz U. (2001), La diversità culturale, il Mulino, Bologna.

dell’etnicità nel quale la cultura italiana sembra essersi definitivamente im- pantanata. Rispecchiando il pensiero del paese d’accoglienza, le sudameri- cane e le sudafricane; le nordafricane e le mediorientali islamiche; le donne dei paesi dell’est e le orientali realizzano e impersonano disinvoltamente il mito italiano delle identità protocollari e persino la falsa questione dell’etnicità.

Quella dell’etnicità, infatti, è una disuguaglianza culturale che appare solida, ma a rigor di logica è del tutto inconsistente. La frequente domanda

esistono i gruppi etnici o non esistono? o la ancora più ricorrente domanda esiste l’etnicità? sono una conseguenza della diffusione nel senso comune

del pensiero oggettivante con pretese di scientificità nelle scienze sociali. Il termine etnicità, come sottolinea Palmisano, è comparso solo settant’anni fa nel mondo occidentale ma ha avuto un successo straordinario quanto immeritato, in quanto non è una categoria auto-evidente, ma è una categoria costruita. L’etnicità si realizza in una performance, è una sorta di giustap- posizione, contrapposizione o antagonismo, e in quanto performance inte- rattiva essa deve essere socialmente rappresentata con il mito, il rito, l’arte o il gioco che, in quanto rappresentazione dell’etnicità, oggi sono una og- gettivazione delle categorie costruite, ovvero è una oggettivazione del comportamento sociale atteso, delle aspettative, delle relazioni intercultura- li. Il pensiero occidentale partecipa attivamente al processo di oggettivizza- zione e di costruzione della etnicità, anziché decostruire questo falso mito per neutralizzarne la pericolosità e per fluidificare le relazioni socio- culturali all’interno del suo terreno23. Così accade che le immigrate finisca- no per frequentarsi tra di loro, ripetendo antichi stereotipi; e accade pure che tra i gruppi sociali confinanti le diversità, le etnicità e le intolleranze si costruiscano in modo funzionale alla reciproca esistenza, interagendo in uno stesso contesto e riproponendo le stesse disuguaglianze. Le strategie economiche delle immigrate da un lato accrescono le potenzialità e le risor- se individuali di alcune di loro, dall’altro non sembrano arricchire le solida- rietà e le appartenenze dentro allo stesso genere. Nuove disuguaglianze, in- fatti, compaiono e tagliano trasversalmente le donne appartenenti alla stessa comunità etnica. Tra chi parte e chi resta si creano catene attraverso cui transitano non soltanto risorse e legami di solidarietà e di fiducia, ma anche altri tipi di risorse, che si distribuiscono asimmetricamente dentro a nuovi rapporti di potere e di dominio al femminile sempre più rivolti verso l’agire economico e la competizione transnazionale per le risorse.

In tal senso, vale la pena ricordare che il corpo delle donne ha la caratte- ristica di riprodurre non solo la cultura, ma anche i corpi. Questo potere si incardina nel grande e contraddittorio fenomeno storico che si manifesta

23 Palmisano A. (2010), “Alcune riflessioni sul concetto di etnicità”, in Dabbeni G.,

Palmisano A., Economie e culture nella prospettiva filosofica ed antropologica dell’Europa

regolarmente come flusso di donne e di bambini che partono dalle famiglie dei gruppi sconfitti per riversarsi in quelle dei vincitori. Pensiamo al feno- meno ambiguo delle giovani straniere che oggi, in nome delle mitografie del benessere, vengono a relazionarsi con uomini più anziani in Italia, i quali sono desiderosi di una seconda gioventù e di una paternità seppur tar- diva24. Pensiamo al fatto che queste donne conducono in Italia i figli avuti da precedenti unioni, e che questi vengono praticamente adottati dal nuovo partner della madre. Pensiamo pure al fenomeno ambiguo del mercato delle adozioni, che nel nostro tempo non coinvolge solo i piccoli orfani, ma an- che i bambini i cui genitori sono ritenuti incapaci economicamente o so- cialmente. Il mercato transnazionale dei corpi si manifesta dunque come un grande e fluido interscambio: ci sono popolazioni che, per mantenere la lo- ro egemonia sul resto del mondo, favoriscono il decadimento di altre trami- te la propria organizzazione socio-economica liberista e infine sono costret- te a cercare figli adottivi tra i segmenti meno favoriti della propria società o tra le società che a causa del liberismo sono cadute in decadenza. Questo meccanismo ormai oliato e sdoganato come solidale in realtà nasconde una totale ambiguità di significati solo perché viene ideologicamente costruito sull’interesse del bambino, e non sull’interesse dell’adulto25. D’altronde, anche Foucault individua le tappe fondamentali attraverso le quali si attua questo passaggio alla biopolitica nell’affermazione del binomio normale- patologico (o deviato) nella scienza medica e giuridica, nell’imposizione di sistemi previdenziali o assicurativi nella sfera economica, e infine, nell’avvento dell’igienismo e dell’eugenetica come garanzie di ottimizza- zione della specie e della sua distribuzione nel Pianeta.

Anche in Italia, la riproduzione e l’esacerbazione della diversità cultura- le, congiuntamente alle attuali biopolitiche, potrebbero rappresentare un grosso limite allo sviluppo culturale.

Il problema viene direttamente e indirettamente segnalato dagli antropo- logi culturali che attualmente in Italia ripropongono dunque alcuni dibattiti chiave dell’antropologia contemporanea, tra cui, innanzitutto, una diversa concezione del concetto di cultura. Nel mondo scientifico, infatti, la cultura non è più considerata come qualcosa dai confini definiti, una res extensa, bensì come un processo di produzione continua di nuovi significati fondato sugli scambi e sugli addomesticamenti culturali: la cultura, in sostanza, è un progetto. Un discorso analogo vale per il concetto di identità: con France- sco Remotti, l’antropologia culturale contemporanea tende a rifiutare l’utilizzo del concetto di identità, in quanto questo rischia di evocare una

24 Cfr. Giancristofaro L (2007), “Badanti straniere e nuove familiarità in Abruzzo”, in

Spedicato Iengo E., Mondo globale e vita quotidiana. Infanzia, adolescenza e scenari socia-

li, Tinari, Villamagna (Ch.), pp. 251-269.

25 Di Silvio R. (2008), Parentele di confine. La pratica adottiva tra desiderio locale e mondo globale, Ombre Corte, Verona.

sostanza, un nocciolo duro che si ripropone sempre uguale, mentre la ricer- ca etnografica propone risultati che vanno nella direzione contraria, ovvero propendono verso la creatività e il bricolage culturale26. Porre l’accento sul creolismo e sulla creatività interculturale, infatti, ci permette di cogliere la capacità che le diverse culture hanno di reinventarsi in forme inedite; ci al- lontana da visioni essenzialiste, de-individualizzanti e protocollari; valoriz- za la ricerca sul terreno come momento in cui l’antropologo riscopre la va- rietà culturale; e infine ci permette di vedere le società e le culture altre non come soggetti passivi della storia, bensì come attori “agenti” e creativi. I rituali e le feste vengono riplasmati nel corso del tempo; l’economia e il dono si reinventano e si ripropongono in forme nuove; la democrazia viene addomesticata; e infine la memoria viene costruita in un’operazione che non è un’opera di ripiegamento, bensì un’azione di apertura verso l’alterità e la modernità27.

Ma quando i gruppi sociali diminuiscono le aree di frizione reciproca e non dialogano, finiscono col costruire la reciproca etnicità secondo processi di oggettivazione, rappresentazione, messa in scena. Essi non sono interes- sati al dialogo, e questa è la loro etnicità: non dialogo, ma semplice serie di affermazioni sull’altro. Lo Stato italiano afferma, enuncia identità in quanto necessaria per la sua stessa sopravvivenza politica di biopotere. Ma l’aver fissato l’identità protocollare delle minoranze culturali finirà col ridurle ad un soggetto giuridico oggettuale, culturalmente poco creativo quanto riven- dicativo e pericoloso nelle richieste: i gruppi etnici che si stanno “normaliz- zando” in Italia, in quanto soggetti detentori di diritti ai sensi delle normati- ve culturali internazionali, rischiano di diventare oggetto del discorso giuri- dico e oggetti, e quindi perfino merce di scambio, nel flusso della comuni- cazione transnazionale. In tal senso, l’intolleranza più pericolosa è quella democratica28.

Indagando nei campi dove l’individuale si radica nel sociale e nel collet- tivo, rivolgendoci insomma verso i luoghi della memoria collettiva (archivi, biblioteche, musei, monumenti) e i luoghi simbolici (le commemorazioni, i gemellaggi, i viaggi istituzionali, le associazioni, i progetti), il contesto è interessante da decifrare alla luce del messaggio di Leroi-Gourhan relativo alla necessità che i gruppi umani hanno di costruirsi una tradizione: «la co- stituzione di un apparato della memoria sociale domina tutti i problemi dell’evoluzione umana»29. Se già da adesso in questo campo emergono la mistificazione, l’appiattimento delle prospettive spazio-temporali e il biso-

26 Cfr. Remotti F. (2007), Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari.

27 Cfr. Favole A. (2010), Oceania. Isole di creatività culturale, Laterza, Roma-Bari. 28 Cfr. Faso G. (2010), Lessico del razzismo democratico, Derive/Approdi, Roma. 29 Leroi-Gourhan A. (1977), Il gesto e la parola. Tecnica e linguaggio. La memoria e i ritmi (1964-65), Einaudi, Torino, p. 260.

gno retorico di costruire un passato che sia funzionale ai bisogni più attuali, proviamo ad immaginare l’Italia del 2015.

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