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La narrazione non mira, come l’informazione, a co- municare il puro in-sé dell’accaduto, ma lo cala nella vita del relatore, per farne dono agli ascoltatori come esperienza, così vi resta il segno del narratore come quello della mano del vasaio sulla coppa d’argilla.

Walter Benjamin

2.1. Gli obiettivi dell’indagine e il criterio di rilevazione

Come accennato nella Introduzione, obiettivo di questa ricerca è sia im- plementare e aggiornare notizie e dati sulla realtà e sui progetti migratori in chiave femminile; sia soffermarsi sulla identità delle straniere avvicinate, sul loro profilo di “persone”1 e non di ruoli frammentati, inseriti all’interno di contenitori che riducono il tutto alla parte («la badante che serve alle fa- miglie, la studentessa, la “ricongiunta”, la prostituta o la soubrette che emerge dai media»2); sia cogliere la trama di intrecci individuali, familiari, motivazionali, culturali che entrano in gioco nel progetto di migrare; sia de- scrivere il loro percorso migratorio con particolare riguardo ai passaggi de- cisivi e ai principali nodi problematici che le intervistate hanno affrontato per raggiungere l’Italia; sia tracciare, per quanto possibile, l’aspetto simbo- lico e i significati profondi emergenti dalle loro biografie3; sia mettere in crisi il peso del senso comune, ossia l’interpretazione addomesticata, de- problematizzata della realtà secondo le categorie dell’ovvietà, della familia-

1 Ferrarotti F. (1974), Vite di baraccati, Liguori Editore, Napoli, p.11.

2 Hoxha D., “Premessa”, in Spedicato Iengo E., Lannutti V. (a cura di) (2011), Migrare al femminile in una provincia del Centro-sud. Aree critiche, traiettorie lavorative, strategie d’inserimento, FrancoAngeli, Milano, p. 13. Nell’immaginario collettivo le migranti vengo-

no inscritte in cliché riduttivi, oltre che in segmenti lavorativi, che oscillano fra la marginali- tà, l’irregolarità, l’invisibilità, trascurando pesantemente anche le situazioni di vantaggio sociale ed economico che molte straniere raggiungono. Si pensi, per esempio, al ruolo che queste svolgono nell’area dell’associazionismo etnico; nell’organizzazione dei servizi alla comunità; nei progetti utili a favorire l’integrazione e l’inclusione sociale; nell’impegno po- litico, nel sindacato, nelle associazioni datoriali, nel volontariato. Per quel che attiene la real- tà lavorativa delle immigrate nella provincia di Chieti si rinvia in particolare a Lannutti V.,

L’inserimento nel mercato del lavoro, ivi, pp. 149-174.

3 La migrazione, infatti, è un’esperienza individuale e, in quanto tale, sempre diversa; e,

in quanto sempre diversa, mai completamente riconducibile alle categorie di studio impiega- te per comprenderla perché le variabili soggettive implicate difficilmente possono essere racchiuse in griglie oggettive.

rità, dell’ambiente sociale cui si appartiene4; sia dar luogo ad una con- ricerca in cui «non è scontato da prima chi debba apprendere da chi»5. Il che non è esercizio marginale in tema di rapporti tra culture, tenuto conto che la motivazione di ciascuno a considerare in termini positivi la propria identità sociale concorre (per qualcuno, addirittura legittima) a svalutare ogni differenza da sé.

A questo punto del discorso, non è secondario sottolineare che, nel per- corso di inserimento nella società-ospite, la qualità delle relazioni, che si instaurano con l’ambiente di approdo, svolge un ruolo di primo piano: os- sia, gli esiti dell’incontro fra culture e paesi diversi poggiano sulle caratteri- stiche biografiche, sociali e culturali dei migranti, ma, parallelamente, sull’atteggiamento della società ricevente che può facilitare l’incontro op- pure contrastarlo. Se, dunque, «il comportamento dei migranti condiziona i giudizi e i pregiudizi della popolazione autoctona, allo stesso modo l’atteggiamento di quest’ultima – insieme allo stesso trattamento giuridico degli stranieri – condiziona gli immigrati, incidendo sulla riformulazione dei [loro] progetti migratori [...] e sui [loro] modi di agire [...]»6.

Ciò chiarisce che, per promuovere l’inserimento e poi l’integrazione di chi raggiunge l’Italia, non bastano le politiche nazionali e le misure giuridi- che e istituzionali: vanno aggiunti altri ingredienti e, in particolare, la inde- rogabilità di armonizzare il ritmo dei nuovi ingressi con gli equilibri e le risorse della società di accoglienza7. Diversamente e come, per esempio, a ragione sostiene Umberto Melotti, si potrebbe incorrere nel rischio di pro- durre «drammatici scenari di darwinismo sociale»8 se dovesse affermarsi,

4 Paolo Jedlowsky precisa, a ragione che la realtà «può essere interpretata in modi diver-

si. Il più diffuso è quello di adattarsi al modo di intendere la realtà che riteniamo sia ovvio entro le cerchie sociali a cui apparteniamo, cioè al ‘senso comune’. La maggior parte dei racconti che facciamo usualmente nella quotidianità sono di questo tipo. Si affiancano alle attività di ogni giorno, ma ne fanno anche parte e contribuiscono a riprodurle. Le cose che raccontiamo su di noi e su chi ci circonda confermano in gran parte identità quotidiane e re- gole che condividiamo con altri. È vero che, se raccontiamo qualcosa, è di solito perché vi è qualcosa di nuovo, o quanto meno di ignorato dall’interlocutore. Ma in gran parte i racconti che ci facciamo quotidianamente sono il modo con cui ogni novità è ricondotta nell’alveo della familiarità». Cfr. Il racconto come dimora (2009), Bollati Boringhieri, Torino, p. 28.

5 Guidicini P. (1993), Nuovo manuale della ricerca sociologica, FrancoAngeli, Milano,

p. 363.

6 Bichi R., Valtolina G.G. (2005), Nodi e snodi. Progetti e percorsi di integrazione degli stranieri immigrati, Fondazione ISMU, FrancoAngeli, Milano, p. 8.

7 Gli ingressi nel nostro paese, che si fanno sempre più consistenti, rischiano di determi-

nare la non sostenibilità del fenomeno. Se nel 2008 gli stranieri presenti in Italia ammonta- vano a 3.432.651, nel 2009 raggiungevano il numero di 3.891.295, nel 2010 irrobustivano ulteriormente la loro consistenza (4.235.059);nel 2011 arrivavano a 4.570.317; e sebbene nel 2012 abbiano registrato una flessione (4.052.081), nel 2013 si è registrato un nuovo au- mento (4.387.721). Cfr. Istat. Demografia in cifre.

8 Melotti U.(2004), Migrazioni internazionali. Globalizzazione e culture politiche, Bru-

in nome di un superficiale “cosmopolitismo” ideologico, il diritto di acces- so su ogni altro e un’assoluta libertà di movimento dei migranti.9

È sul piano di queste premesse che si giustifica la scelta della dimensio- ne comunicativa che l’approccio qualitativo offre. Infatti, nel caso della emigrazione – esperienza radicale che comporta profondi mutamenti di sé e della propria lettura del mondo – le auto-rappresentazioni dei protagonisti consentono la ricostruzione della storia dall’interno, e, dunque, il senso, il profilo, l’orizzonte mentale, gli aspetti materiali e quelli immateriali che accompagnano l’esperienza di chi migra. Indagare sulla dimensione sogget- tiva diventa, perciò, una tessera conoscitiva indispensabile per elaborare le strategie d’intervento più pertinenti a facilitare l’incontro fra diversi, perché questa aggiunge all’analisi degli elementi esterni quella dei fattori cognitivi e della personalità che influenzano l’esperienza di chi decide di lasciare il proprio paese per raggiungere un altro luogo.

Tuttavia, prima di dare la parole alle straniere avvicinate corre l’obbligo di informare intorno ai criteri che hanno guidato la raccolta delle testimo- nianze e precisare l’area d’indagine. Poiché la natura dello studio richiede- va che si cogliesse dal vivo il vissuto delle testimoni, che non si umiliasse la fonte orale rendendola un verbale di interrogatorio, che si fosse anche in grado, all’occorrenza, di restituire il suono del parlato, il metodo delle sto- rie di vita è sembrato il più pertinente. Di qui la sua adozione.

Come è noto, lo studio del “singolo caso” rappresenta uno specifico tipo di analisi qualitativa che offre un complesso sistema di elementi e dati deri- vanti dalle esperienze personali del soggetto, che tuttavia – va sottolineato – non è un Io monadico. Ossia ogni narrazione biografica, essendo il porta- to di azioni e di forme di comunicazione che legano l’attore al proprio oriz- zonte socio-culturale10, «racconta la forma sociale di una prassi umana »11. Il metodo biografico, dunque, nel far luce su sistemi di informazioni signi- ficative senza esiti scontati che i metodi quantitativi non rileverebbero, dà luogo ad un enunciato narrativo che, pur convivendo con il compromesso delle leggi del racconto, è comunque capace di allestire il copione di una storia in cui l’esperienza del singolo si allaccia a codici collettivi, e ciascun caso diventa indizio di tipologie generalizzabili.

La prima operazione da risolvere è stata quella di rendere edotte le te- stimoni sullo scopo della ricerca al fine di evitare disagi e di scremare a priori chi non fosse interessato a rispondere. Farsi accettare, superare il mu-

9 Ibidem

10 Cfr, per esempio,Cavallaro R. (1981), Storie senza storia. Indagine sull’emigrazione calabrese in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, p.4. Ovvero: la «biografia è

la narrazione di una prassi umana che colui che racconta ri-costruisce attraverso gli squarci dei propri ricordi. I quali si dispongono lungo gli itinerari della memoria […] che seleziona e modella il passato secondo l’immagine che l’individuo ha di sé in quanto partecipe di un

gruppo». 11 Idem, p. 3.

ro di diffidenze, non è stato facile. Talora si è dovuto ricorrere all’incontro organizzato, attraverso i buoni uffici di una persona nota alle intervistate; talaltra il colloquio non si è concretizzato a dispetto di quanto precedente- mente concordato. Alcune hanno opposto resistenza; ma in altre l’interesse è stato tale da indurle, senza chiederlo, a segnalare i nomi di amiche e co- noscenti che avrebbero potuto essere interessate all’indagine.

Il secondo nodo da sciogliere è stato quello di disporre le testimoni al ri- cordo. Elemento sostantivo della biografia è, infatti, la memoria, che come si sa, si serve di percorsi che non esibiscono i parametri della certificazione esatta e notarile di un documento, né si prestano a misurazioni e definizioni lineari e cartesiane. Nella ricostruzione di eventi e di ricordi, più che la fe- deltà ai fatti e dei fatti, i congegni della memoria danno luogo a cesure, a manipolazioni, a mediazioni che, comunque, non impediscono di rendere visibile la cifra di un’identità; o il segno dell’appartenenza ad un ceppo di pensieri, emozioni, valori, miti; o l’allestimento di architetture individuali e collettive; o la riproduzione di arsenali espressivi complicati e complessi, emotivi e cognitivi insieme. Questo tipo di analisi, dunque, quantunque non sia in grado di ricostruire compiutamente gli eventi e gli scenari di cui ogni testimone è parte integrante, può tuttavia aggirare l’area delle categorie astratte, portare alla luce esperienze e vissuti altrimenti silenti, offrire esempi vivi e palpabili di pensiero, tessere la trama di comportamenti di- versamente non descrivibili, rendere visibili i meccanismi delle azioni e de- gli atteggiamenti: insomma, recuperare ciascun vissuto dalla zona dell’ininfluente.

La raccolta delle informazioni ha richiesto una griglia di domande che non è mai stata presentata alle intervistate per non ingenerare sospetti di uf- ficialità. Era essenziale, infatti, che queste non si sentissero investigate. I colloqui sono stati tutti registrati e poi trascritti integralmente senza appor- tare alcuna variazione. Solo a seguito di richieste esplicite, non è stato usato il registratore e rinviata alla conclusione dell’incontro l’annotazione di quanto narrato.

2.2. Il modulo utilizzato

Per orientarle a ricordare è stata adottata una griglia interpretativa co- struita su due assi, diacronico e sincronico, utili vuoi a sollecitare il ricordo sui tempi biografici, vuoi ad evidenziare i nessi e le costanti fra i tempi so- ciali e i tempi esistenziali. Di qui l’allestimento di un temario-traccia sugli spazi e sui luoghi di vita del loro quotidiano pregresso e attuale; sui proces- si relazionali che hanno contribuito a definire la loro identità sociale e l’immagine di sé; sul sistema delle loro coordinate sociali, dei loro riferi- menti identificativi; sulle rappresentazioni associate all’esperienza migrato-

ria; sulle esperienze vissute e /o immaginate in rapporto agli spazi di origi- ne e di residenza. Questo il modulo utilizzato.

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