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5. L’ingresso in una nuova cultura di Eide Spedicato Iengo e Giusi Laselva

5.3. Tra due mondi: nostalgia e nuovi percorsi di sé

Fin dai tempi di Odisseo, migrante per antonomasia, il sentimento della dimora, del luogo in cui si riconosce la propria storia, ha costituito una co- stante della condizione umana. Anche quando questo luogo veniva distrut- to, o lo si doveva forzosamente abbandonare, o non si riusciva più a rag- giungerlo (i compagni dell’eroe omerico, non per caso, volevano mangiare il loto per dimenticare la patria lontana) lo spirito della casa, il senso delle proprie radici veniva, comunque, portato con sé. L’importanza del luogo, fosse esso mobile o fisso, metafisico o empirico non veniva sottoposta ad oblio. Anche le testimoni intervistate non hanno messo in canto il sentimen-

to della dimora, ma, diversamente dai compagni di Odisseo, mangiare il

loto della dimenticanza è un suggerimento che non sembrano voler con- templare. Tutt’altro. La terapia per non sentirsi perennemente in esilio può servirsi di più farmaci. Per esempio, coltivando i segni dell’appartenenza ad un ceppo di gesti, suoni, gusti, profumi a conferma della propria pelle iden- titaria, pur nella consapevolezza di muoversi in uno spazio sospeso, in cui è impossibile restare come prima e altrettanto impossibile diventare radical- mente altro. Talora, il rimpianto per il mondo lasciato si coltiva nello spa- zio dei comportamenti alimentari che, come è noto, sono strettamente legati al simbolismo identitario di ogni comunità.

Continuo a seguire le tradizioni del mio paese, la musica, il mangiare. A tavola prima di mangiare benediciamo Dio, anche prima di bere un bicchiere d’acqua di- ciamo grazie a Dio. Diciamo la preghiera anche prima di andare a dormire e i figli vengono a chiedere la benedizione. […] Mi manca molto l’odore delle piantagioni di caffè , spaccare un frutto di mango per sentirne il profumo. (Noruena, Ecuador)

Io quando posso preparo un cibo tipico e se non trovo gli ingredienti, me li fac- cio arrivare dalla Spagna per continuare le nostre tradizioni. (Blanca, Venezuela)

Oppure tornando, periodicamente, nei luoghi d’origine per una “boccata di ossigeno”, essenziale per temperare la nostalgia29 della lontananza; per riflettere la propria immagine in specchi noti, che consentono di dimostrare a sé, prima che agli altri, la solidità dell’appartenenza al proprio mondo; per tenere a bada quel doppio di sé che rischierebbe di appannare i luoghi da cui proviene, se non fosse alimentato costantemente con ciò che è familiare. Perciò l’idealizzazione dello spazio perduto e il rimpianto del luogo origi- nario orientano a replicare almeno un segmento di ciò che si è lasciato. Molte ricreano l’atmosfera della casa lontana con oggetti, suppellettili, det- tagli che possano ricordarla: la “Casa Uno”, quella che appartiene al passa-

29 Sul tema della nostalgia si rinvia, per esempio, a Bettini M. (1992) (a cura di), Lo straniero. Ovvero l’identità culturale a confronto, Laterza, Roma-Bari.

to, rinasce così in una copia, la “Casa Due” del presente, quale spazio iden- tificativo, richiamo materiale delle origini, elemento valorizzante della pro- pria storia. Si ricostruisce, in tal modo, un territorio simbolico, indispensa- bile a mantenere saldo il senso di sé almeno nello spazio privato e domesti- co.

Ho bisogno, ogni tanto, di andare un po’ su, mi manca la vita di su. Dopo un mese che sto lì, torno su più tranquilla e più carica di speranze, perché trovo qual- cosa di bello a casa. (Doina, Romania)

Anche se sto bene qua, la terra di origine è molto importante per noi. […] Sai, se non vado un anno in estate non riesco a stare bene, mi sembra che la vita crolla sotto i piedi. Mentre quando vado ogni anno a casa mi dà forza. (Agnesa, Ucraina)

Molti oggetti e mobili che erano lì, li ho portati in Italia per sentirmi più vicina al mio paese. (Olga, Ucraina)

Tuttavia la nostalgia, se per un verso segnala il senso di perdita della propria unità, per un altro verso orienta a cambiare, a costruire un altro pro- filo di sé; se da un lato provoca separazioni, da un altro lato produce inevi- tabili ricomposizioni, anche se talora difficili da allestire e da gestire. In particolare, del vecchio mondo – almeno a quanto rilevano le storie raccolte – l’aspetto più difficile da riprodurre è quello della cerimonialità, della qua- le si affievoliscono, fino a perdersi, quelle ritualità che poggiano su un con- testo non riproponibile in quello di approdo.

Da quando sono Italia non posso più seguire le tradizioni del mio paese, soprat- tutto quelle legate al “Venerdì del musulmano”, il giorno della settimana in cui la famiglia si riunisce e le donne usano vestirsi di bianco. In quel giorno si cucina il cous-cous e lo mangiamo tutti insieme con le mani da un unico piatto. Mi mancano i sapori di quel giorno e anche il richiamo del mullah che annuncia il momento del- la preghiera. Nessuno della mia famiglia in Italia riesce più a seguire queste tradi- zioni. (Malika, Marocco)

Se, quindi, risponde a verità il fatto che non si fa mai “terra bruciata” con ciò che si è stati e con i luoghi da cui si proviene, sembra essere, in qualche caso, altrettanto vero il contrario: ovvero, si può soffrire di nostal- gia per il paese di approdo quando, temporaneamente, ce se ne allontana. Ne fa fede questa testimone ucraina, che pare aver chiuso la porta sul suo passato, preso le distanze dalla comunità di origine e abbracciato, senza ri- serve, la cultura della nuova “patria”. In questo caso, non riconoscendosi più nella dimensione della vita quotidiana di prima, è il luogo di adozione che si accarezza col pensiero e premurosamente si porta con sé anche quando si torna nei luoghi d’origine, in cui ci si sente un po’ stranieri per- ché ormai non si è più la stessa persona di prima.

Mi sono sempre trovata bene, nessuno mi ha mai trattato male, ho sempre fatto il mio lavoro bene, mi hanno pagato quello che si paga alle persone che fanno il mio lavoro. Ho sistemato i documenti. Che ti posso dire? Certo che è difficile abi- tuarsi a un altro paese, però la vita cambia. Io non mi riconosco più nell’Ucraina, quando ci vado sento che mi manca qualcosa […] Io mi sono abituata all’Italia. Mi trovo bene e non posso lamentarmi di niente. C’è un clima migliore. In Ucraina fa sempre freddo e poi qui a Chieti ho trovato il posto migliore dove vivere. […] Quando torno in Ucraina mi porto sempre il caffè, solo l’odore del caffè mi fa tor- nare alla mente il profumo dell’Italia. (Agnesa, Ucraina)

5.4. Quali adattamenti e quali scambi?

I rapporti con nuove realtà, che queste testimonianze documentano, spiegano, pur con sfumature diverse, la dimensione di un disagio che per- mane anche in chi riesce a realizzare il controllo degli spazi di residenza e ad entrare nelle dinamiche culturali del paese di approdo. E non potrebbe essere altrimenti. I conflitti di lealtà nei confronti del proprio passato si vin- cono con fatica, esattamente come è difficile riformulare gli schemi inter- pretativi del quotidiano quando si cambia paesaggio sociale. Ciascuno, in- fatti, dispone di una sorta di cartina mentale che aiuta a entrare in relazione con l’ambiente, a individuare linee di condotta significative, a collocarsi nello spazio sociale. Com’è intuitivo, le migrazioni erodono e scompagina- no tale strumento di orientamento, compromettono il significato di prassi e spazi consuetudinari, fissano in ruoli in cui molto spesso non ci si ricono- sce, rendono critica la definizione di sé e vacillanti il senso della propria continuità e coerenza interiori.

Per questo, rielaborare i propri codici simbolici e i propri modelli di comportamento adeguandoli agli schemi di un nuovo ambiente si configu- ra, in linea di massima, come un’infrazione destabilizzante il proprio edifi- cio normativo. La cultura, per dirla con Gian Enrico Rusconi, non è “un prodotto scambiabile sul mercato delle informazioni”, ma un abito radica- to30 che non è agevole riprogrammare senza incorrere in disorientamenti e disagi. Disagi e disorientamenti che, tuttavia, le testimoni del collettivo sembrano aver governato con correttezza: nessuna di loro vive nel nuovo ambiente come in una bara. La nostalgia che porta a guardare indietro, por- ta inevitabilmente anche a guardare avanti, a rinascere, a trovare nuovi adattamenti che, tuttavia, possono seguire più tracciati.

Ovviamente l’adattamento al nuovo ambiente segue percorsi e strategie tra loro non omologabili che possono, alternativamente, essere parziali o totali, oppure pragmatici, strumentali, negoziali, di compromesso.

30 Rusconi G.E. (2000), “Retorica del multiculturalismo, religione e laicità”, in Melotti

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