di Gaia Di Gioacchino e Antonio Sanguinett
10.1. Per introdurre al tema
Fino alla metà degli anni ‘70 l’Italia era considerata un paese esclusiva- mente di emigrazioni, nel quale si incrociavano due differenti flussi, uno in direzione dei paesi dell’Europa centrale e l’altro all’interno dei confini stes- si della nazione verso le regioni del nord-ovest. Nei trent’anni che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale alle crisi petrolifere di metà anni ‘70, per lo più sono state le aree industriali1 con il crescente bisogno di ma- nodopera a determinare i movimenti di migranti in cerca di lavoro. L’anno storico che segna per la prima volta l’inversione di tendenza è il 19732, an- no in cui il numero degli arrivi supera quello delle partenze, un dato in- fluenzato da due fattori principali: da una parte la drastica riduzione dei flussi in uscita, dall’altra l’aumento del numero di ritorni. Un cambiamento provocato in buona parte dalle trasformazioni sociali allora ancora agli al- bori: le ristrutturazioni delle imprese industriali hanno causato la contrazio- ne del numero di addetti nel settore e la contemporanea affermazione del terziario nel numero di occupati. Un cambiamento di questa portata provo- cò ripercussioni anche nei flussi migratori. Per la prima volta anche i paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo sono diventati luoghi di destina- zione. Tuttavia, tale nuova ondata migratoria si afferma compiutamente molti anni dopo. Tale problematica è infatti entrata pienamente nel dibattito
1 In una prima fase, leggermente precedente allo sviluppo industriale, la quota maggiore
di italiani emigrati trovava occupazione nelle miniere e in generale nelle industrie estrattive. Un’epoca migratoria iniziata a seguito degli accordi bilaterali stipulati dall’Italia e che con- venzionalmente finisce con la tragedia di Marcinelle (8 agosto 1956) nella quale morirono 274 persone, la quasi totalità di origine italiana.
2 È la differenza annuale tra il numero di immigrati a cui si sottraggono il numero di
emigrati. Il saldo in Italia è positivo dal 1973, ciò vuol dire che in quell’anno per la prima volta è stato maggiore il numero degli ingressi (tra immigrazioni e ritorni) rispetto ai flussi in uscita. Pugliese E. (2002), L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, il Mulino, Bologna, p. 60.
politico e legislativo solo a partire dalla fine degli anni ‘80 e dai primi del decennio successivo.
Il fenomeno delle migrazioni verso l’Italia, dunque, si inserisce in un pe- riodo fortemente influenzato dai cambiamenti sociali provocati dal postfor- dismo3, non solo come impatto sui sistemi sociali di arrivo, ma anche come modello di ingresso e di insediamento. L’industria non è più il principale settore di impiego dei migranti, che sempre più spesso si inseriscono nel terziario e nel lavoro autonomo. Il mercato del lavoro seguendo questa traiettoria si “segmenta”4, per cui i migranti e i nativi tendono a collocarsi in settori distinti, ai cittadini stranieri sono lasciati i lavori di grado inferiore nei quali è richiesta una minore qualifica, e che usualmente vengono defini- ti delle cinque P (pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzati so- cialmente)5. Si viene a creare di conseguenza una sostanziale separazione del mercato del lavoro che spiega la coesistenza in alcune aree di alta di- soccupazione con cospicui flussi di ingresso. Ne consegue che la posizione svantaggiata degli occupati di origine straniera non sia solo elemento da ri- condurre al primo periodo di insediamento nel nuovo paese, come poteva accadere nella fase economica fordista, quanto piuttosto diventa la fascia di occupazione nel quale rimangono bloccati per il resto della vita lavorativa, con poche possibilità di miglioramento 6.
Tuttavia, i rivolgimenti insiti nella nuova fase storica non sono esaustivi per descrivere il modello migratorio italiano, in quanto, sebbene anche altre na- zioni europee attraversino la stessa fase, in Italia e negli altri paesi del medi- terraneo si manifesta con forme differenti, o per lo meno con una diversa in- tensità. Per questo è stato elaborato un modello migratorio “mediterraneo”7, definito in questo modo per le profonde analogie tra i paesi del sud Europa, le cui caratteristiche distintive sono essenzialmente quattro. La prima è la compresenza di emigrazioni e di immigrazioni. Come si è notato a partire dagli anni ‘70 , anche se va progressivamente diminuendo il peso delle par-
3 Per postfordismo si intende il periodo successivo alla fine del modello capitalista fordi-
sta. Quest’ultimo prende il suo nome dalla fabbrica di automobili Ford che per la prima vol- ta lo implementò come modello produttivo. Il suo simbolo è la catena di montaggio lungo la quale si assembla il prodotto. La produzione è altamente standardizzata basata sulla ripetiti- vità delle mansioni. La maggiore utilità è stata nel consentire una produzione di massa a co- sti ridotti sfruttando le economie di scala. La svolta è stata epocale tanto che il modello è stato adottato da quasi tutte le aziende manifatturiere. Il periodo del suo splendore è conciso con un impetuoso sviluppo industriale e con il diffondersi di grandi poli industriali. Verso la metà degli anni ‘70 vari fattori hanno influito sul suo declino, da allora progressivamente è stato abbandonato con l’adozione di altri modelli produttivi.
4 Castles, Miller (2012), L’era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo con- temporaneo, Odoya, Bologna.
5 Ambrosini M. (2005), Sociologia delle migrazioni, il Mulino, Bologna, p. 59. 6 Macioti M. I., Pugliese E. (2003), L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Ita- lia, Laterza, Roma-Bari.
tenze8 il flusso di persone che si trasferisce in un altro paese non tocca mai lo zero. Il secondo fattore riguarda l’inserimento dei lavoratori stranieri nel lavoro agricolo e stagionale, un fenomeno diffuso in Spagna e Grecia e che in Italia si riscontra con particolare rilevanza nelle regioni meridionali. Nei periodi di raccolta, infatti, sono migliaia i migranti che si spostano verso le aree rurali di Puglia, Calabria e Campania alla ricerca di un impiego tempo- raneo come bracciante. Terza caratteristica è la particolare concentrazione nel terziario. Sebbene tale dato può essere riscontrato anche nei paesi del nord Europa e in tutti quelli attraversati dai processi di post-fordismo, tutta- via negli stati del sud l’impiego nel terziario svolge una funzione peculiare di supplenza alle carenze dei sistemi di welfare nelle attività di “servizio alla persona”. In particolare l’assistenza agli anziani e la cura dei bambini, biso- gni altrove soddisfatti dall’intervento dei servizi pubblici, trovano soluzione nell’impiego di lavoratori migranti alle dirette dipendenze delle famiglie. Infine, il quarto punto è la legislazione sulla migrazione, passata in poco tempo da una situazione iniziale di assenza di normativa ad una progressiva restrizione degli ingressi che ha seguito gli orientamenti in materia assunti dall’Unione Europea. Nella fase iniziale durata fino alla fine degli anni ‘80, tutti gli stranieri che arrivavano in questi paesi godevano di una sostanziale regolarità permessa dall’assenza di leggi, quindi la loro presenza non era ri- conducibile al binomio legalità o illegalità piuttosto fino a quel periodo si trattava di una condizione di alegalità9, in quanto non vi era un sistema nor- mativo che lo regolava10. In definitiva, rifacendosi alle parole di Reyneri e Fullin, si può affermare come l’immigrazione «ha costituito un importante tassello per conservare gli equilibri che caratterizzano l’Italia, rendendo pos- sibile al sistema delle imprese una strada alternativa a quella centrata su in- novazione e qualità e al sistema di welfare una via d’uscita dal corto circuito tra una domanda crescente di lavoro di cura e la scarsità dei servizi pubblici diretti a soddisfarla»11.
La posizione dei migranti sul territorio nazionale dipende, come si è
8 La crisi economica, iniziata nel 2008 e non ancora conclusasi, sta incidendo notevol-
mente sui fattori di spinta verso l’estero. Il numero delle persone, che decidono di lasciare l’Italia, sta nuovamente crescendo in controtendenza rispetto ai decenni precedenti. Nel 2012 il saldo migratorio (ossia, il coefficiente che misura la differenza tra coloro che sposta- no la residenza in Italia e chi invece decide di cancellarsi) ha registrato un segno negativo, un fenomeno che non si registrava da molti anni e segna il ritorno dell’Italia tra i paesi di emigrazione.
9 Macioti M. I. Pugliese E., op. cit., p. 98.
10 Fino alla legge Foschi del 1986 la materia dell’immigrazione era regolata dal Testo
Unico delle Leggi sulla Pubblica Sicurezza (TULPS) del 1931 che aveva come unica finalità la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale. Tale norma, però, non era mai stata applicata in quanto in contrasto con l’art.10 comma 2 della Costituzione che protegge lo straniero da possibili discriminazioni subite dal potere esecutivo.
11 Fullin G., Reyneri E. (2013), Gli immigrati in un mercato del lavoro in crisi: il caso italiano in una prospettiva comparata, in «Mondi Migranti», 1, p. 30.
precedente affermato, dalle leggi che regolamentano le migrazioni, in parti- colare dalle politiche di ingresso e di accesso al soggiorno legale. Tali nor- mative determinano la posizione dei migranti stabilendo la regolarità o l’irregolarità della loro permanenza sul territorio nazionale ed europeo12. Le politiche migratorie intraprese dai governi italiani negli ultimi venti anni, sebbene spesso realizzate su impulso delle direttive europee13 non hanno seguito un’unica direttrice, imprimendo ai testi legislativi sempre maggiori restrizioni bilanciate a loro volta da ricorrenti misure di regolarizzazione14, provvedimenti eccezionali varati al fine di sanare un numero eccessivo di persone che si trovava sul territorio sprovvisto di un regolare permesso di soggiorno. Nonostante il tratto comune di tali normative sia stato la parzia- lità e l’emergenzialità15 dei provvedimenti adottati, si può affermare come il complesso equilibrio tra le politiche di controllo delle frontiere interne ed esterne e le politiche destinate a favorire l’inclusione non ha mai perseguito una visione di lungo periodo, ignorando grossomodo il ruolo italiano nel sistema delle migrazioni. La conseguenza principale di tali interventi è stata di creare un quadro odierno molto ambiguo e disseminato di zone d’ombra, nel quale coesistono elevate diseguaglianze16 e marginalità con una cre- scente rilevanza economica e lavorativa17 dei migranti.
L’architrave sul quale si poggiano le leggi sull’immigrazione è la rela- zione biunivoca tra ingresso o soggiorno legale e il possesso di un regolare rapporto di lavoro (subordinato, autonomo o stagionale)18. Tale principio si fonda sul presupposto per cui le migrazioni sono quasi esclusivamente di carattere economico e prende soprattutto come riferimento una concezione del mercato del lavoro ormai superata che assegna un ruolo centrale all’impiego stabile e regolare. Questo modello di governo delle migrazioni
12 Macioti M. I., Pugliese E., op. cit., pp. 91-92
13 La legge Turco-Napolitano aveva tra gli altri scopi anche quello di ottemperare agli
impegni sottoscritti dall’Italia nella ratifica degli accordi di Schengen, in particolare nel con- trollo alla frontiera e al contrasto dell’immigrazione clandestina.
14 Le sanatorie realizzate dai governi italiani sono state sette la prima nel 1986 e le se-
guenti nel 1990, 1995, 1998, 2002, 2009 e infine l’ultima nel 2012.
15 Ambrosini M. (2001), La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia, il Mulino,
Bologna.
16 Diseguaglianze che si possono leggere in molti ambiti sociali: istruzione, sanità, case,
lavoro. Per una rassegna sul tema si rinvia a Saraceno C., Sartor N., Sciortino G. (a cura di) (2013), Stranieri e disuguali. Le disuguaglianze nei diritti e nelle condizioni di vita degli
immigrati, il Mulino, Bologna.
17 Secondo i dati presentati dalla Fondazione Leone Moressa (2012) i cittadini di origine
straniera rappresentano il 9,8% del totale della forza lavoro e circa 412 mila risultano coloro che sono soci o titolari di un'attività. Secondo una stima effettuata dalla stessa Fondazione, i migranti creano il 5,5% dell'intera ricchezza nazionale.
18 Vi sono altri motivi, seppur limitati, che consentono il rilascio del permesso di sog-
giorno come: di studio, per ricongiungimento familiare, per motivi di salute, per motivi reli- giosi, e il riconoscimento della protezione internazionale, umanitaria o sussidiaria.
ha conosciuto nel tempo diverse modifiche, mantenendo, però, inalterato il principio fondamentale, anzi rafforzando progressivamente le misure re- strittive. Le prime leggi in materia di immigrazioni sono la “Foschi” (l.n. 943/1986)19 e la “Martelli” (l.n. 39/1990), in questi due provvedimenti sia- mo ancora all’inizio del processo di regolamentazione, entrambi sono ri- cordati per aver apportato alcuni miglioramenti: la prima per aver introdot- to la parità di trattamento tra lavoratori stranieri e nativi; la seconda per aver riformato le politiche di accoglienza dei rifugiati estendendo il diritto di asilo anche alle persone provenienti dai paesi non europei. Tuttavia, per un’analisi puntuale del processo legislativo è opportuno partire dalla legge “Turco-Napolitano” (Legge n. 40/1998, poi Testo Unico sull’Immigrazione D.lgs. 286/1998) che accorpa in un solo testo tutti i temi delle politiche mi- gratorie creando per la prima volta una normativa organica sul tema. Tra gli obiettivi perseguiti dal legislatore vi erano quelli di programmare gli in- gressi legali attraverso il lavoro. Mediante una legge annuale chiamata “de- creto flussi” si stabilivano le “quote” totali di persone ripartite per naziona- lità che potevano entrare regolarmente in Italia. Questo meccanismo era do- tato di contrappesi che limitavano l’effetto di un eventuale sottodimensio- namento del fabbisogno di manodopera straniera, e prefigurava la possibili- tà di entrare in Italia anche per inserimento nel mercato del lavoro, previa garanzia di alloggio e sostentamento da parte di “sponsor” privato o pubbli- co (art. 21)20. Nel 2002 il governo Berlusconi ha promulgato la legge “Bos- si-Fini” (Legge n. 189/2002) che ha corretto il precedente impianto in senso restrittivo. In tale direzione i principali interventi sono stati da una parte eliminare i pochi elementi di flessibilità previsti che permettevano l’ingresso e il soggiorno sul territorio senza il possesso di un contratto di lavoro; dall’altra ripristinare la verifica preventiva dell’indisponibilità di altri lavoratori, italiani o comunitari, per il posto di lavoro richiesto (art. 20). Intento principale degli estensori era diminuire la presenza di irregolari e clandestini attraverso due dispositivi: l’introduzione del contratto di sog- giorno (art. 5 bis) e l’immissione nel dispositivo legislativo di una maggio- re severità nei processi di espulsione dei migranti (art. 12). La restrizione
19 Le legge applicava una norma delle Convenzione Oil (Organizzazione Internazionale
del Lavoro). Il primo articolo della legge riprendendo la convenzione garantiva “a tutti i la- voratori extracomunitari legalmente residenti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”. La convenzione era già stata ratificata nel 1981 dall’Italia, sebbene sia stata attuata solo cinque anni dopo.
20 Lo “sponsor” era un istituto introdotto dalla legge Turco-Napolitano che prevedeva
all’articolo la possibilità di entrare in Italia per la ricerca di un lavoro attraverso una “dichia- razione di garanzia” da parte di: regioni; enti locali; associazioni professionali e sindacali; enti e associazioni del volontariato operanti nel settore dell’immigrazione da almeno tre an- ni. Il permesso di soggiorno concesso per ricerca di lavoro durava fino a un massimo di 12 mesi, se in questo arco di tempo lo straniero non avesse trovato un’occupazione era obbliga- to a tornare nel proprio paese di origine.
delle possibilità di ingresso non ha generato gli effetti sperati, o almeno quelli proclamati a mezzo stampa, infatti restringendo la possibilità di in- gresso alla sola occupazione, per di più stabile, non si è avuto l’effetto di diminuire né gli ingressi illegali (meglio conosciuti con un’espressione giornalistica “clandestini”) né la permanenza oltre la scadenza del permesso di soggiorno (cosiddetti overstayers21). Anzi, soprattutto nel secondo caso, la crisi economica ha drasticamente peggiorato la situazione. La perdita del posto di lavoro ha infatti costretto molti migranti a diventare irregolari, o almeno a vivere sotto il rischio effettivo di diventarlo, tanto che il governo Monti nel 2012 è intervenuto ampliando ad un anno la durata minima del permesso di soggiorno per attesa occupazione 22. A partire dalla legge “Bossi-Fini” e dai successivi provvedimenti dei governi di centro-destra (“pacchetto sicurezza”, l.n 94/2009; “accordo di integrazione”; l.n. 179/2011) si è creato il paradosso per cui l’inasprimento delle pene nei con- fronti dell’immigrazione irregolare, attuato restringendo i requisiti per l’ingresso e la permanenza regolare, ne ha agevolato la riproduzione a di- spetto delle intenzioni dichiarate e delle retoriche dei partiti di governo.
10.2. Il decreto flussi: da pianificazione degli ingressi a nuovo strumen-