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di Vittorio Lannutt

6.2. Le attività lavorative

La donna migrante continua ad avere nel mercato del lavoro una posi- zione svantaggiata, in un contesto generale nel quale la donna, anche quella autoctona, non gode degli stessi diritti sostanziali dell’uomo. Nel mondo del lavoro è, infatti, ancora forte e radicata l’idea secondo cui la donna sia

3 Fonti Inps, (2012) e Caritas (2012).

4 Ponzini G., Pugliese E. (2008) (a cura di), Un sistema di welfare mediterraneo, Rap-

porto IRPPS-CNR sullo stato sociale in Italia 2007-2008, Donzelli, Roma.

una lavoratrice temporanea o che possa essere impiegata a tempo parziale. Di conseguenza le immigrate sono maggiormente svantaggiate, perché ri- cevono stipendi mediamente più bassi e svolgono lavori precari, nonostante siano fondamentali per certi settori, nel caso italiano quello della cura e domestico. Per queste lavoratrici, nel medio termine, questo tipo di impiego rischia di diventare una trappola, da cui è sempre più difficoltoso uscire, soprattutto per quelle che provengono da Paesi non comunitari. Il fatto che le immigrate occupino prevalentemente precise nicchie lavorative, secondo alcuni analisti sociali (Browne, Misra, Schrover), è dovuto anche a forme di razzismo, perché determinate mansioni di cura e di gestione domestica vengono affidate quasi esclusivamente a donne di alcune etnie. In maniera più o meno implicita vengono reiterate gerarchie che si riproducono per mezzo di prassi formali, che implicano la quasi totale impossibilità per le donne di carnagione scura di accedere a questo settore. Con il prolungarsi dell’esperienza migratoria i lavoratori stranieri non vedono diminuire gli atteggiamenti discriminatori nei loro confronti, almeno in ambito lavorati- vo, dato che a loro vengono riservati lavori mal pagati e di bassa qualità. In molti casi, infatti, gli immigrati sono assunti regolarmente all’interno delle aziende italiane, ma nel momento in cui c’è un corso di formazione questi non vi partecipano, perché il datore di lavoro offre tale opportunità soltanto agli italiani. I lavoratori immigrati continuano così a non avere la possibili- tà di migliorare la propria condizione lavorativa6. Queste dinamiche ri- schiano di determinare una situazione autopoietica, perché gli immigrati si sentono ulteriormente scoraggiati dal tentare percorsi di mobilità ascenden- te economica e sociale7.

Le donne immigrate coinvolte in questa ricerca sono quaranta e ventiquat- tro di loro svolgevano un lavoro al momento dell’intervista. Quasi tutte han- no avuto diverse esperienze lavorative sia in Italia che nel Paese di origine o in altri Paesi prima di stabilirsi a Chieti. Questo dato rileva che, anche in que- sta città, sono sempre più numerose le immigrate che autonomamente tentano di entrare nel mercato del lavoro, ma anche che i loro impieghi fanno parte della cosiddetta categoria dei dirty jobs8 e, in particolare, di quelli della cura e delle pulizie, con retribuzioni sempre molto basse, a parte qualche eccezione. Si può ben dire, pertanto, che queste, quando trovano un lavoro, vanno ad occupare gli interstizi occupazionali a prescindere dal titolo di studio di cui sono in possesso, quasi sempre conseguito nel Paese di origine.

6 Pattarin E., Lannutti V., G. Milzi (2012), Diffidenza e ostilità in un’isola felice, Catte-

drale, Ancona, pp. 34-40.

7 Dell’Aringa C., Pagani L., (2010) Labour Market Assimilation and Over Education: The Case of Immigrant Workers in Italy, in «Quaderni dell’Istituto di Economia

dell’impresa e del lavoro», Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, working paper, http://www.unicatt.it/istituti/ EconomiaImpresaLavoro

8 Questi vengono anche definiti da Maurizio Ambrosini “i lavori della 5 P: precari, pe-

In albergo 400 o 500 €, non ricordo è stato nove anni fa, per le pulizie 400 al mese, come badante: 8-900 € per tre settimane a Pistoia, 600 da una famiglia dove sono stata tre anni e mezzo, 700 da una signora per due anni e anche con altre due signore ho preso 700. (59, polacca, diplomata, disoccupata).

Ad un bar per 700 € al mese, badante per 500 € mese, commessa 800 € mese, nelle imprese di pulizie per 400 € al mese, poi ho lavorato anche in campagna per 50 € al giorno. (31, polacca, diplomata, occupata)

Non li ricordo tutti, ho lavorato in albergo, quasi dodici anni fa, mi davano un milione al mese; ho lavorato in un bar; per la Chiesa, ho restaurato il Calvario, ci sarebbero stati anche altri lavori da fare ma poi sono finiti i soldi; ho fatto pulizie; ho lavorato in un forno. (36, slovacca, diplomata, occupata)

Ho il negozio con mio marito all’incirca 6.000 € al mese. (30, cinese, licenza media, occupata)

A prescindere dalla situazione dell’intervistata cinese, nessuna delle al- tre ha trovato una stabilità occupazionale. La precarietà è la principale ca- ratteristica della loro situazione professionale quasi sempre sull’orlo della sopravvivenza, che evidentemente le porta anche a cercare in modo attivo ed efficace un’occupazione. Da queste interviste si evince un quadro carat- terizzato dalla segregazione occupazionale e dalla difficoltà di inserimento in settori diversi da quello dei servizi. Tuttavia, anche quando si riesce a svolgere un’occupazione più qualificata e gratificante, tale circostanza ri- guarda un periodo limitato, che non dà luogo ad alcuna stabilità. Le migra- zioni internazionali continuano, infatti, ad essere legate a motivazioni eco- nomiche, in un contesto globalizzato nel quale il mercato del lavoro si è ri- strutturato modificando la divisione del lavoro. Se prima queste erano ca- ratterizzate dalla separazione di genere, oggi la dicotomia è tra gli insiders, cui appartengono i lavoratori tutelati, e gli outsiders, ossia l’arcipelago del precariato con tutte le insicurezze che comporta. A questa seconda catego- ria appartiene, almeno in Italia, la maggior parte dei lavoratori immigrati. Tra questi è la donna che vive in maniera più amplificata le difficoltà della precarietà lavorativa.

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