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5. L’ingresso in una nuova cultura di Eide Spedicato Iengo e Giusi Laselva

5.2. Il piano delle relazion

Nel percorso di adattamento al nuovo contesto un ruolo importante è giocato dal piano dei rapporti che gli immigrati intrattengono con i conna- zionali, gli autoctoni e gli altri gruppi di immigrati, ossia le reti di relazioni personali e sociali di cui dispongono. È insomma il capitale sociale19 dei singoli che può dar luogo a forme di lubrificazione sociale, promuovere espressioni di fiducia interpersonale, facilitare la coesione, tradursi in mo- dalità relazionali inclusive.

Diciamo subito che le reti relazionali delle testimoni non hanno allarga- to nel tempo le loro maglie: paiono essere rimaste tali anche nel processo d’inserimento nel paese d’arrivo. Ovvero, e per dirla con Mark Granovet- ter20, sembrano poggiare su legami auto-diretti ed esclusivi che privilegian- do l’area del proprio endogruppo etnico, si aprono con difficoltà a sistemi relazionali “altri”. A svolgere il ruolo di primazia nel piano delle loro rela- zioni continua, infatti, ad essere la rete etnica (nelle versioni micro e meso, ossia familiare e amicale) che – come sponda espressiva, comunicativa e di

18 Su questo tema Sayad A. (2002), La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano.

19 Sul concetto di capitale sociale e sulle sue interpretazioni si rinvia, per esempio, alla

lettura di Coleman (2005), Fondamenti di teoria sociale, il Mulino, Bologna, pp. 385-412; Portes A., (1998), Social capital: its origins and applications in modern sociology, in «An- nal Reviewof Sociology», 24, pp. 1-24; Putnam R. (2004), Capitale sociale e individuali-

smo. Crisi e rinascita della cultura civica in America, il Mulino, Bologna, pp. 345-355. 20 Granovetter M.(1998), La forza dei legami deboli e altri saggi, Liguori, Napoli, pp.

115-146.Questo autore sostiene che il capitale sociale può assumere due forme: quella che si traduce in legami forti, esclusivi, autodiretti e quella che, per contrappunto, dà luogo a le- gami deboli, etero-diretti e inclusivi. I secondi, secondo la sua interpretazione, consentono agli immigrati maggiori opportunità per il conseguimento di obiettivi economici e lavorativi, perché fluidificano il piano delle relazioni e non incapsulano nella collettività di origine.

sostegno pratico e solidale – si mostra in veste di trama forte e compatta a fronte di altre espressioni relazionali. A provarlo sono i brani seguenti, dai quali emerge la sottolineatura di una comune appartenenza tanto compatta quanto incline a rinforzare il “Noi” di origine, indispensabile per sostenere emotivamente, aiutare nell’adattamento al nuovo ambiente, levigare le asprezze nelle quali si può incorrere, far assaporare il suono della propria lingua.

I veri amici, quelli ai quali chiedo favori sono bulgari. Se siamo senza lavoro e senza soldi ci aiutiamo a vicenda. (Tania, Bulgaria)

Gli amici più cari li ho conosciuti per caso. Se mi accorgevo che qualcuno era romeno chiedevo di dove e cominciavamo a parlare. Qua ti senti solo e gli amici italiani non ti capiscono al cento per cento, un romeno invece capisce subito cosa vuoi dire e ti aiuta. Quando siamo in difficoltà ci ascoltiamo a vicenda e ci aiutia- mo. (Doina, Romania)

Frequento qualche amica ucraina. Se hai bisogno, appena parli hai subito pron- to tutto. Sono amicizie profonde. Se un’amica ha bisogno di soldi glieli do e non chiedo cosa ci deve fare […]. (Agnesa, Ucraina)

Le mie amicizie sono con i venezuelani. C’è più fiducia, sai cosa possono fare e cosa non possono fare. (Blanca, Venezuela)

Il rilievo attribuito al ruolo della rete etnica non esime, tuttavia, dal se- gnalarne la presenza di rivisitazioni e nel tempo di distanziamenti, determi- nati vuoi dalla circostanza che alcune testimoni – imboccando percorsi la- vorativi ed esistenziali più fortunati – attivano risentimenti e gelosie in chi continua, invece, a sostare in forme di integrazione subalterna; vuoi dal fat- to che i connazionali «possono anche rivelarsi attori di controllo sociale, concorrenti e veicolo di dicerie fastidiose»21; vuoi dalla volontà di prendere le distanze dalla identità del proprio gruppo di appartenenza perché vinco- lato ad un immaginario collettivo di svantaggio e di illegalità:

Con le altre amiche ucraine non abbiamo cose in comune perché fanno le ba- danti, anche tra di noi c’invidiamo perché mi dicono: “Tu hai casa e marito” ed an- che per la scelta mia mi sono allontanata. (Olga, Ucraina22)

Preferisco non vedere gli albanesi perché mandano per strada le loro donne. Io mi sono salvata per un pelo, e ho sentito di altre. […] A volte mi sono vergognata di essere albanese. Nei primi anni siamo arrivati col gommone, sono venute anche

21 Ambrosini M., op. cit. p. 146.

22 Questa testimonianza, nel certificare fastidio per i propri connazionali a causa di pras-

si e atteggiamenti in cui non ci si riconosce più, segnala come l’ingresso in un’altra classe sociale possa divaricare in stili di vita differenti un’identica realtà d’origine.

persone che venivano dalle prigioni, i primi clandestini erano criminali, ladri e drogati. […] Ogni sera al telegiornale si sentivano notizie di delitti commessi da albanesi. (Amisa, Albania)

Molte romene sono venute qua per lavorare poi si sono vendute. I mariti italiani hanno approfittato perché le ragazze romene si sono offerte e loro hanno approfit- tato. Sono di quindici, sedici anni, si sono vendute per soldi. Mi vergogno di dire che sono di Romania. (Suzana, Romania)

Ovviamente l’energia dell’in-group non impedisce la disposizione ad entrare nelle dinamiche del paese-ospite, che alcune valutano con entusia- smo assimilando gli elementi del nuovo ambiente; altre avvicinano con qualche diffidenza, legata alle situazioni di criticità che hanno accompagna- to (e accompagnano) il loro processo d’inserimento; e altre ancora accosta- no con modi studiati e “accorti” a non creare malintesi, dissidenze e incom- prensioni con gli italiani:

In Italia ho conosciuto tutte brave persone. […] La figlia di una signora da cui ho lavorato per quattro anni mi chiede sempre come sto. Un vicino della famiglia dove ho lavorato, mi ha regalato tanti vestiti. (Halina, Polonia)

C’erano persone accoglienti ed altre no. Mi facevano sentire straniera, succede in ogni comunità. (Ai-ling, Cina)

Un’italiana una volta mi ha detto che non vuole parlare con una domestica stra- niera.[…] Io qui mi sento trattata come diversa, ma so che non sono diversa. (Rosi- ta, Bulgaria)

Con straniere posso essere me stessa, posso aprirmi e dire tutto della mia vita personale, […] ma con le italiane devo mettere la maschera. (Magdalena, Polonia)

Con le italiane devo stare attenta a quello che dico, non puoi perdere mai il con- trollo. Non posso rilassarmi e dire quello che voglio. Per esempio, se racconto un fatto banale su mio marito che mi ha dato fastidio (per esempio ha fatto cadere il caffè per terra e non lo ha pulito), una straniera mi capisce, ma se lo racconto ad un’italiana ci mette altri discorsi. (Olga, Ucraina)

Al piano delle relazioni fornito dalla rete etnica e ai rapporti con gli ita- liani si allacciano anche quelle, peraltro scarse e, all’apparenza, fragili, con gli esponenti di altre nazionalità, quasi si volesse esibire una sorta di blaso- ne nazionalistico che non apparenta automaticamente ad altre etnie, quan- tunque con queste si sia condiviso un destino comune. Solo due testimoni, la bulgara Maria e la romena Ozana, dichiarano di essere indifferenti alla “nazionalità” nella scelta degli amici. Le loro amicizie sono transnazionali. La prima dichiara:

I miei amici sono romeni, russi, ucraini, albanesi, polacchi, boliviani. Parlo con tutti. Mi piace avere amici di tante nazionalità diverse.

La seconda precisa:

Non faccio differenze, se sei una brava persona, perché non ti devo parlare? […]Perciò i miei amici sono italiani, romeni, albanesi, africani.

Una sola testimone afferma di non essere andata alla deriva per l’intervento della Chiesa, da cui ha ricevuto solidarietà e assistenza nei momenti più critici del suo percorso migratorio. L’apprezzamento per quanto ricevuto, viene ripagato con la disponibilità a sbrigare piccole fac- cende in parrocchia.

Ho passato periodi molto duri, ma sono stata molto aiutata dalla Chiesa e dalla Caritas che mi ha guidato e accolta. Anche oggi che sto meglio, frequento la Chie- sa e mi do da fare in parrocchia. (Maryan, Nigeria).

Sulla Chiesa e sulle strutture di accoglienza di matrice cattolica a favore dei migranti, anche in questa rilevazione emergono distanza e indifferenza, confermando peraltro quanto nella precedente indagine era già emerso: ov- vero che, nella percezione della maggioranza dei migranti che risiedono in questa zona, la Chiesa sembra occupare un ruolo opaco e marginale, tempe- rato solo da alcune voci 23.

Eppure al tema delle migrazioni la Chiesa e le sue istituzioni hanno de- dicato attenzione da lungo tempo. Si pensi, per esempio, alla Exsul Familia 24 del 1952 di Pio XII. Considerata la Magna Charta della Chiesa sulle mi- grazioni rappresenta un testo fondamentale di apertura verso gli stranieri, in cui veniva sottolineata l’importanza del pluralismo e del dialogo intercultu- rale. Negli anni Sessanta, il Concilio Ecumenico Vaticano II in più docu- menti prende a cuore il problema dei migranti. Nel 1969 la Congregazione per i Vescovi emanò l’Istruzione De Pastorali Migratorum cura, uno dei documenti più completi sulla dottrina e sulla prassi della Chiesa verso le migrazioni. Paolo VI inserì la questione migratoria nei temi del progresso sociale ed economico e dello sviluppo solidale tra i popoli25; e con Giovan- ni Paolo II l’attenzione verso questo tema si irrobustì. E non poteva essere altrimenti. Durante il suo pontificato cominciava, infatti, a precisarsi il pas- saggio dalle migrazioni cosiddette di “lavoro” a quelle di popolamento. Di

23 Cfr. Spedicato Iengo E., Lannutti V., Migrare al femminile, op. cit., p. 139.

24 Prencipe L. (2010), “I Papi e le migrazioni”, in Battistella G. (a cura di), Migrazioni. Dizionario socio-pastorale”, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI), pp. 746-786.

25 Cfr. Seghetto A. (1990), Paolo VI e le migrazioni, La Piroga Editrice, Casalvelino

Scala; Terragni G. (1979), Magistero Pontificio da Leone XIII a Paolo VI, in «Studi Emi- grazione» CSER, 55, pp. 413.440.

qui una serie ininterrotta di messaggi, in particolare per la Giornata mon-

diale delle migrazioni, che dal 1986 fino al 2005, ha affrontato annualmen-

te un argomento specifico sul tema. Ma si pensi anche all’Istruzione Erga

Migrantes Caritas Christi del 200426 ad opera del Pontificio Consiglio della

Pastorale per i Migranti. In questo documento veniva sottolineato il contri- buto che le migrazioni hanno dato e possono dare per la costruzione di so- cietà e di popoli nuovi e rinnovati, pur non tacendo dei problemi e delle dif- ficoltà che queste comportano. Anche Benedetto XVI27 ha annoverato, tra i moderni “segni dei tempi”, il fenomeno delle migrazioni (specialmente nel- le sue componenti femminili, familiari e giovanili), che ha assunto una vera e propria dimensione strutturale nelle società odierne, diventando una carat- teristica importante del mercato del lavoro e dell’assetto sociale 28.

Il rapporto nevralgico con la Chiesa, che queste testimonianze rilevano, induce, dunque, a pensare che non le si riconosce un ruolo rilevante nella funzione di facilitazione dei processi d’inserimento dei migranti nel territo- rio d’approdo; oppure potrebbe segnalare che il profilo di chi vi opera non dispone di quella duttilità e di quella capacità utili a rispondere con effica- cia alle istanze e alle esigenze dei soggetti immigrati. Non va dimenticato, infatti, che l’incontro fra etnie, nazionalità e culture non avviene mai in astratto, ma sempre fra persone.

Per concludere, nel collettivo esaminato l’inserimento nel nuovo am- biente segue sostanzialmente due direzioni: quella offerta dalla propria rete etnica; e, quella che progressivamente ciascuno si è impegnato (e si impe- gna) a costruire nel tessuto sociale di approdo. Di qui l’orientamento delle testimoni sia ad incapsulare le proprie relazioni nell’area della propria cul- tura di origine; sia a piegare verso prassi e atteggiamenti orientati a cercare punti di equilibrio tra i propri schemi di giudizio e di rappresentazione con quelli della società di residenza, nonché con quelli degli altri stranieri pre- senti sul territorio.

26 Negrini A. (2010), “Erga Migrantes Charitas Christi”, in Migrazioni. Dizionario so- cio-pastorale, op. cit., pp. 451-460.

27 Prencipe L., op. cit., pp. 776-779.

28 Gli interventi più significativi del suo magistero sul tema delle migrazioni, seguendo

la tradizione del suo predecessore, risultano i messaggi per la “Giornata mondiale delle mi- grazioni12. Nel suo messaggio per la novantaduesima giornata mondiale (Migrazioni: segno dei tempi) sottolinea la “femminilizzazione” del fenomeno migratorio. In questo contesto,

Benedetto XVI precisa che il fenomeno delle migrazioni, coinvolgendo masse di persone e sollevando problematiche epocali di carattere sociale, economico, politico, culturale e reli- gioso, esige una politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato e coinvolgere i Paesi di provenienza ed i Paesi di arrivo. Solo così l’emigrato non sarà con- siderato solamente “merce o una mera forza lavoro”, ma persona umana, «che in quanto tale, possiede diritti fondamentali, inalienabili, che vanno rispettati da tutti ed in ogni situazione». Cfr. Prencipe L., op. cit.

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