5. L’ingresso in una nuova cultura di Eide Spedicato Iengo e Giusi Laselva
5.4. Quali adattamenti e quali scambi?
il mio lavoro bene, mi hanno pagato quello che si paga alle persone che fanno il mio lavoro. Ho sistemato i documenti. Che ti posso dire? Certo che è difficile abi- tuarsi a un altro paese, però la vita cambia. Io non mi riconosco più nell’Ucraina, quando ci vado sento che mi manca qualcosa […] Io mi sono abituata all’Italia. Mi trovo bene e non posso lamentarmi di niente. C’è un clima migliore. In Ucraina fa sempre freddo e poi qui a Chieti ho trovato il posto migliore dove vivere. […] Quando torno in Ucraina mi porto sempre il caffè, solo l’odore del caffè mi fa tor- nare alla mente il profumo dell’Italia. (Agnesa, Ucraina)
5.4. Quali adattamenti e quali scambi?
I rapporti con nuove realtà, che queste testimonianze documentano, spiegano, pur con sfumature diverse, la dimensione di un disagio che per- mane anche in chi riesce a realizzare il controllo degli spazi di residenza e ad entrare nelle dinamiche culturali del paese di approdo. E non potrebbe essere altrimenti. I conflitti di lealtà nei confronti del proprio passato si vin- cono con fatica, esattamente come è difficile riformulare gli schemi inter- pretativi del quotidiano quando si cambia paesaggio sociale. Ciascuno, in- fatti, dispone di una sorta di cartina mentale che aiuta a entrare in relazione con l’ambiente, a individuare linee di condotta significative, a collocarsi nello spazio sociale. Com’è intuitivo, le migrazioni erodono e scompagina- no tale strumento di orientamento, compromettono il significato di prassi e spazi consuetudinari, fissano in ruoli in cui molto spesso non ci si ricono- sce, rendono critica la definizione di sé e vacillanti il senso della propria continuità e coerenza interiori.
Per questo, rielaborare i propri codici simbolici e i propri modelli di comportamento adeguandoli agli schemi di un nuovo ambiente si configu- ra, in linea di massima, come un’infrazione destabilizzante il proprio edifi- cio normativo. La cultura, per dirla con Gian Enrico Rusconi, non è “un prodotto scambiabile sul mercato delle informazioni”, ma un abito radica- to30 che non è agevole riprogrammare senza incorrere in disorientamenti e disagi. Disagi e disorientamenti che, tuttavia, le testimoni del collettivo sembrano aver governato con correttezza: nessuna di loro vive nel nuovo ambiente come in una bara. La nostalgia che porta a guardare indietro, por- ta inevitabilmente anche a guardare avanti, a rinascere, a trovare nuovi adattamenti che, tuttavia, possono seguire più tracciati.
Ovviamente l’adattamento al nuovo ambiente segue percorsi e strategie tra loro non omologabili che possono, alternativamente, essere parziali o totali, oppure pragmatici, strumentali, negoziali, di compromesso.
30 Rusconi G.E. (2000), “Retorica del multiculturalismo, religione e laicità”, in Melotti
Così, si può ricorrere a codici tradizionali in famiglia e utilizzare quelli del paese di accoglienza nel contesto sociale, eludendo ogni schema esclu- sivistico. In questo caso la pratica del compromesso, unendo il dettato della cultura di origine con quello del paese ospitante, promuovendo identità fluide capaci di abitare in mondi paralleli, si traduce in una massimizzazio- ne di vantaggi a seconda degli ambienti in cui ci si muove.
Oppure, si può optare per l’acculturazione consonante, che fa prendere le distanze dalla cultura d’origine in nome della volontà di adeguarsi alla proposta culturale offerta dalla società di arrivo, uniformandosi al linguag- gio, agli usi, ai costumi, agli atteggiamenti locali.
O, all’opposto, si possono irrobustire le espressioni della propria distin- zione etnica, sottolineandone gli elementi distintivi31 e vivere la propria et- nicità come un elemento di forza.
Oppure, ancora, si può confrontare la propria eredità culturale con quel- la del paese-ospitante, e – attraverso un costante processo di selezione, ade- guamento e armonizzazione fra le due – sviluppare un senso di doppia ap- partenenza.
Come può constatarsi, conciliare culture e codici comportamentali diffe- renti e, soprattutto, salvaguardare la propria identità sociale32 è operazione complessa che allaccia le scelte individuali ad un grappolo di fattori, fra i quali, come si è accennato anche altrove nel testo, spiccano i motivi che hanno indotto alla partenza; l’approccio iniziale all’ambiente di approdo; la situazione economica, politica e culturale della comunità di destinazione e il piano delle risorse e delle opportunità che questa può offrire; il funzio- namento del mercato del lavoro; la dimensione della legalità contro le espressioni di sfruttamento; il quadro delle politiche sociali in tema di im- migrazione; lo spazio e la qualità delle relazioni; la capacità di attivare le tattiche utili a gestire la complessità di una vita quotidiana in un nuovo con- testo nel quale si svela l’inadeguatezza delle categorie confortevoli del pro- prio originario senso comune33.
È la combinazione fra questi fattori che può tradursi in esiti negoziali e adattativi o nei loro contrari; che può orientare in direzione di ancoraggi so-
31 Spesso tale processo più che esito di una scelta, è una risposta obbligata, dipendente
vuoi dalla difficoltà di interazione con l’ambiente, vuoi dagli atteggiamenti discriminanti subiti.
32 Per identità sociale si intende «quella parte del Sé che consente di essere nel mondo
come individuo e come membro di un gruppo riconoscibile e dotato di un suo impatto». Oli- verio Ferraris A. (2002), La ricerca dell’identità, Giunti, Firenze, p.108. Sulle tipologie adattive cui ricorre chi migra, si rinvia nello stesso testo alle pp. 99-114.
33 Dalle narrazioni raccolte emerge che le testimoni, pur se in gradi diversi, sembrano
aver imparato a fronteggiare le discriminazioni e valorizzare le differenze, verosimilmente aiutate in tale percorso dal loro capitale sociale e culturale che ha favorito il distanziamento critico dalla visione reificata di culture e identità, e promosso situazioni di riconoscimento e di rispetto.
lo etnici e omologare nelle strettoie di un unico modello di vita, o indurre a ricostruire in modo critico e consapevole la dimensione della vita quotidia- na interrotta dalla migrazione; che può far sostare in situazioni limbiche, “a mezza parete” per dirla in gergo alpinistico, in cui si rimane sospesi fra due mondi di vita e di valori, o promuovere il superamento della propria dimora metafisica ed esistenziale per allestire spazi in cui ci si sente nuovamente a casa.
Va da sé che nell’allestimento di queste possibilità, un fattore decisivo risiede – come si accennava – nella modalità cognitiva che assume la socie- tà ricevente nei confronti dei processi migratori e nelle scelte che adotta nella loro gestione. Assimilazione? Acculturazione selettiva? Integrazione subalterna? Tolleranza nei confronti delle mosaicizzazioni culturali? Reci- proca apertura fra migranti e società ospitante? È anche sulla scelta fra que- sti percorsi che poggia la configurazione di paesaggi sociali che possono inclinare in direzione del pensiero lineare e dell’egoismo di gruppo, o verso svaporate e improprie concezioni comunitarie, o verso espressioni di poiesi cognitiva che incoraggiano al riconoscimento reciproco.