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Il difficile equilibrio tra l’autorità zarista e la Chiesa greco-cattolica di Cholm (1831-1863)

3.1.2. La Chiesa cattolica

Il decreto petrino sulla tolleranza religiosa del 1702 fu seguito tre anni più tardi da un altro decreto sulla libertà, concessa ai cattolici, di insediamento e costruzione di luoghi di culto sul suolo dell‘Impero russo. Il provvedimento rappresentava una delle conseguenze dell‘alleanza tra Pietro e il re polacco, Augusto II, contro gli svedesi. Esso permise ai gesuiti di penetrare in territorio russo e dare inizio ad un‘intensa attività nel campo dell‘istruzione. Nel 1719 essi furono sostituiti dai cappuccini, a causa dell‘eccessiva influenza delle scuole da loro rette e in ragione del crescente peso a corte di Feofan Prokopovič e della sua visione del sistema scolastico secondo modelli organizzativi protestanti e non cattolici.

Dopo le aperture di Pietro alle confessioni non ortodosse, il periodo favorevole per i protestanti, soprattutto, ma anche per i cattolici continuò con i successori di Pietro, grazie in particolare al clima favorevole alle confessioni occidentali sotto Anna Ioannovna. Durante il

15 Ufficialmente il divieto entrò in vigore col primo Codice penale russo del 1845. La pena per la conversione ad un‘altra confessione cristiana prevedeva, tra gli altri, oltre alla privazione dei diritti civili, anche pene corporali, uno o due anni di rieducazione forzata e perfino l‘esilio nei governatorati di Tobol‘sk o Tomsk. Cfr. O.A. LICENBERGER, Rimsko-katoličeskaja Cerkov‘ v Rossii. Istorija i pravovoe poloţenie, Saratov, Povolņskaja Akademija gosudarstvennoj sluņby, 2001, p. 91.

85 suo regno, fu istituito, nel 1734 il Collegio di Giustizia per gli Affari di Livonia, Estonia e Finlandia (Justic-kollegija Lifljandskich, Èstljandskich i Finljandskich del), sotto la cui giurisdizione rientravano le questioni relative alle Chiese cattolica e protestante. Il periodo favorevole per i cattolici continuò con l‘ascesa al trono di Caterina II, la quale stabilì per prima rapporti diplomatici ufficiali con la Santa Sede e regolò formalmente, attraverso la creazione di un Regolamento, la presenza dei cattolici in Russia.

Pur essendo presenti, quindi, già da secoli comunità stabili di cattolici all‘interno dei confini dello Stato russo, numericamente ridotte e localizzate in ben determinati luoghi (ad es. i cattolici della nemeckaja sloboda di Mosca), entro cui godevano di libertà di culto17, fu solo dalla seconda metà del XVIII sec., cioè dagli anni delle spartizioni della Repubblica polacco- lituana, che all‘interno dell‘Impero iniziò a porsi la questione cattolica, e quindi il problema della politica da adottare nei confronti delle numerose comunità di cattolici localizzate sui territori orientali della vecchia Rzeczpospolita, ora ―Province occidentali‖ dell‘Impero. La presenza di cattolici, peraltro, aumentò sensibilmente nel 1815, in seguito all‘annessione del Regno di Polonia allo Stato russo.

La Chiesa cattolica presente su questi territori fu oggetto di una serie di restrizioni, prima nelle Province occidentali, poi nel Regno di Polonia, che la sottrassero gradualmente al controllo diretto della Chiesa di Roma.

Già dopo la prima spartizione, Caterina II, senza ricorrere all‘approvazione del pontefice, introdusse delle variazioni nell‘organizzazione territoriale cattolica, creando, nelle regioni annesse all‘Impero, un‘unica, nuova arcidiocesi che riuniva le preesistenti; ingerì inoltre nella struttura gerarchica, conferendo, nel 1773-1774, la dignità vescovile, unitamente alla sede arcivescovile di Mogilev, a Stanisław Siestrzeńcewicz-Bohusz, prelato polacco, docile strumento nelle mani della zarina. La Santa Sede si vide in seguito costretta ad accettare la nomina18.

Durante il regno dell‘imperatore Paolo, i cattolici di Russia furono posti, nel 1800, sotto la giurisdizione di uno speciale Dipartimento, afferente al Collegio di Giustizia, alla cui guida fu nominato lo stesso Siestrzeńcewicz. L‘anno successivo il Dipartimento fu trasformato nel

Collegio per il culto romano cattolico a Pietroburgo (Rimsko-katoličeskaja Duchovnaja Kollegija v Sankt-Peterburge). Se, da un lato, queste misure iniziavano un processo di

parificazione, almeno apparente, dei cattolici russi agli altri cittadini russi, liberi al contempo di coltivare le proprie peculiarità culturali e nazionali, dall‘altro lato, esse costituivano un ulteriore passo nel processo di distacco dalla Santa Sede. Siestrzeńcewicz dimostrava di approvare l‘intenzione di Paolo, e condivisa più tardi dagli zar suoi successori, di creare in Russia una Chiesa cattolica nazionale, secondo il modello francese o giuseppino di Chiesa secolarizzata. Nel 1799, all‘apice del dissenso con la Chiesa romana, Paolo espulse il nunzio e nominò Siestrzeńcewicz capo della Chiesa cattolica in Russia, lasciando alla supremazia del pontefice soltanto l‘aspetto prettamente spirituale della vita cattolica entro i confini dell‘Impero. Il nuovo pontefice, Pio VII, eletto durante il conclave di Venezia, riuscì a risollevare la Chiesa dalla crisi con la Francia e a ricucire lo strappo con l‘imperatore russo. Siestrzeńcewicz fu esautorato dalla carica di guida dei cattolici russi; la situazione si corresse a tal punto che Paolo, noto per la volubilità del suo carattere, si dichiarò addirittura a favore di una unione tra il Cattolicesimo e l‘Ortodossia, eventualità che fu vanificata dall‘assassinio dell‘imperatore il 7 marzo 1801.

17

La prima chiesa cattolica a Mosca fu costruita nel 1686, in seguito al permesso di soggiorno in Russia offerto ai gesuiti dalla zarina Sofia. Una trattazione piuttosto dettagliata della presenza cattolica nello Stato russo si trova in O.A. LICENBERGER, Rimsko-katoličeskaja Cerkov‘ v Rossii.

18

Cfr. A.M. AMMANN S.J., Storia della Chiesa russa e dei Paesi limitrofi. Con tre carte geografiche, Torino, UTET, 1948, p. 382 sgg.

86 Il figlio di Paolo, Alessandro, educato dalla nonna Caterina nello spirito illuministico che ella stessa aveva esemplarmente incarnato, continuò i rapporti con la Chiesa cattolica secondo un‘idea cristiana sovraconfessionale. Sotto l‘influsso del procuratore del Santo Sinodo, il principe N.S. Golicyn, l‘imperatore stesso, più che dalla tradizione ortodossa, fu interessato da uno spiritualismo di impronta vagamente protestante (o ―pancristiana‖), lontano dalla tradizionale disciplina ortodossa (di cui è testimone l‘apertura della ―ecumenica‖ Società Biblica russa, sul modello di quella inglese). Soltanto negli ultimi anni di regno Alessandro percepì la necessità di rivolgersi all‘Ortodossia e alla sua gerarchia ufficiale.

Nei rapporti con le altre chiese cristiane, Alessandro operò inizialmente mettendo sullo stesso piano della Chiesa ortodossa sia la Chiesa cattolica che le comunità protestanti. Più tardi, tuttavia, l‘equilibrio si stabilizzò nuovamente a favore della Chiesa ortodossa. Nelle relazioni con i cattolici russi l‘interlocutore diretto dello zar continuò ad essere l‘arcivescovo Siestrzeńcewicz; un‘analoga figura fu presente tra i greco-cattolici, nella persona del metropolita Iraklij Lissovskij, anch‘egli incline ad un compromesso con l‘autorità imperiale a prescindere da Roma. I due prelati cattolici consideravano entrambi la possibilità di un‘intesa col governo zarista sulla base del memoriale che Pietro il Grande aveva ricevuto alla Sorbona di Parigi, durante la sua seconda visita in occidente, da parte di alcuni esponenti giansenisti. Il documento tracciava le linee di una possibile forma di cesarismo per la Chiesa, ovvero di Chiesa nazionale autonoma rispetto a Roma, sul modello protestante tedesco19.

La posizione giuridica della Chiesa cattolica fu ulteriormente regolata dall‘istituzione, il 25 luglio 1810, della Amministrazione centrale dei Culti stranieri (Glavnoe Upravlenie

Duchovnych Del inostrannych ispovedanij). Essa consisteva in un dicastero che aveva per

compito il controllo sul clero straniero, sulle sue proprietà, nonché sulle comunità di fedeli. Nel 1824 essa fu rinominata in Dipartimento per i Culti stranieri (Departament Duchovnych

Del inostrannych ispovedanij), che faceva capo direttamente al ministro dell‘Istruzione. La

prima delle sue tre sezioni riguardava le questioni inerenti alle Chiese cattoliche romane, sia di rito latino che orientale. All‘interno di questo Dipartimento si trovava il Collegio per il

culto cattolico romano di Pietroburgo.

Nel 1832 il Dipartimento fu inserito sotto la giurisdizione del Ministero degli Affari Esteri20. Con la codificazione legislativa realizzata da M.M. Speranskij (Svod zakonov) la posizione della Chiesa cattolica romana in Russia fu ulteriormente precisata sotto il profilo giuridico, iniziativa che rifletteva un programma di restrizione dei margini di autonomia polacchi in seguito all‘insurrezione del novembre 1830. Il clero cattolico, ad esempio, avrebbe potuto mantenere i contatti con la Santa Sede, ma solo per il tramite del Ministero degli Interni, e non aveva diritto di applicare alcun decreto papale (bolle, encicliche, istruzioni ecc.) senza il consenso del governo russo. Lo Svod zakonov confermò l‘inserimento definitivo del

Dipartimento per i Culti stranieri sotto la giurisdizione del Ministero degli Interni, sotto il cui

controllo rientrava pure il Concistoro generale della Chiesa cattolica romana, presieduto dal metropolita cattolico in Russia (Polonia esclusa), che al contempo rivestiva la carica di arcivescovo di Mogilev. Alla Chiesa cattolica era garantita la libertà di culto (che poteva manifestarsi anche attraverso le processioni all‘esterno delle chiese), di insegnamento religioso nelle scuole statali e private, e di finanziamento degli istituti per la formazione del clero. Erano al contempo categoricamente vietate la missione e il proselitismo. La regolamentazione imposta da Nicola andava in parte a restringere la posizione ottenuta dai cattolici sotto Caterina.

19 Cfr. AMMANN S.J., Storia della Chiesa russa e dei Paesi limitrofi, pp. 329, 405-406. Cfr. anche J.T. FLYNN, Iraklii Lisovskii, Metropolitan of the Uniate Church (1806-09) and Reform in the Russian Empire, ―The Slavonic and East European Review‖, 1999, vol. 77, 1, pp. 93-116.

87 Nel Regno di Polonia sussisteva uno status diverso per la Chiesa cattolica. La Costituzione del 1815 garantiva il mantenimento dei precedenti privilegi. Lo Statuto organico del 1832, che ridisegnò parzialmente la posizione del Regno all‘interno dell‘Impero, come conseguenza dell‘insurrezione di novembre, confermò nel complesso la situazione preesistente, che subì una profonda trasformazione soltanto dopo l‘insurrezione del 1863.

La Chiesa cattolica nel Regno di Polonia manteneva un maggior grado di indipendenza da Pietroburgo rispetto ai cattolici delle altre regioni dell‘Impero, questo in virtù della posizione di autonomia di cui godeva il Regno. Nonostante ciò il livello di ingerenza zarista nella politica confessionale del Regno registrò una tendenza all‘aumento.

La Costituzione del Regno di Polonia, ad esempio, tra le altre cose assegnava allo zar-re di Polonia la prerogativa di nominare arcivescovi e vescovi delle varie confessioni presenti sul territorio del Regno, nonché vicari e canonici. La riduzione dell‘autonomia si concretizzò nell‘interruzione dei contatti diretti tra Varsavia e la Santa Sede: la corrispondenza avrebbe dovuto, infatti, passare attraverso la Commissione governativa per i Culti e l‘Istruzione (Komisja Rządowa Wyznań Religijnych i Oświecenia Publicznego) con sede a Varsavia, dopodiché venire sottoposta al controllo diretto del sovrano, quindi del Ministero degli Esteri e, infine, della rappresentanza russa presso la Santa Sede21.

Nonostante la profonda riorganizzazione che, in un certo senso, portò a compimento il processo di inserimento nell‘apparato amministrativo dello Stato russo (ricordiamo anche la soppressione di monasteri cattolici nelle Province occidentali dopo il 1830-31 e nel Regno di Polonia dopo il 1863-64), la Chiesa cattolica fu tuttavia oggetto di trattative tra Pietroburgo e Roma, condotte allo scopo di definire la posizione dei cattolici all‘interno dell‘Impero, di cui è testimonianza, ad esempio, il Concordato stipulato nel 1847 tra Nicola I e il pontefice Pio IX.

Le misure che accelerarono l‘inserimento della Chiesa cattolica nel sistema amministrativo dello Stato russo, soprattutto dopo il 1863-64, e che contribuirono al processo di secolarizzazione delle istituzioni cattoliche, sono state paragonate alle politiche di regolamentazione che la Chiesa ortodossa aveva subito in particolare durante i regni di Pietro I e Caterina II (senza tralasciare l‘assenza, nella secolarizzazione settecentesca, del fattore nazionalistico)22. Può essere vista, pertanto, una certa continuità nella politica adottata dall‘autorità zarista, fin da Pietro il Grande, verso le istituzioni ecclesiastiche presenti sul territorio imperiale. Essa trovò nondimeno un notevole impulso nelle sollevazioni polacche del XIX sec. che permisero di accelerare significativamente il processo. Va inoltre segnalato un ulteriore termine di paragone con le misure di secolarizzazione adottate durante il XVIII sec., ovvero il modello di riferimento individuato in precedenti esperienze di secolarizzazione delle istituzioni ecclesiastiche in Europa, ad esempio le riforme protestanti, realizzate a partire dal XVI sec., ma anche l‘asservimento della Chiesa cattolica alla Ragion di Stato absburgica nel XVIII o ancora altri esempi di questo tipo nel XIX sec., ad esempio nella stessa Polonia del Congresso.

21 Cfr. K. LEWALSKI, Kościół rzymskokatolicki a władze carskie w Królestwie Polskim na przełomie XIX i XX wieku, Gdańsk, Wydawnictwo Uniwersytetu Gdańskiego, 2008, pp. 34-35. Sui rapporti tra Pietroburgo e il Vaticano tra 1815 e 1830 si veda l‘imponente monografia di A. BARAŃSKA, Między Warszawą, Petersburgiem i Rzymem. Kościół a państwo w dobie Królestwa Polskiego (1815-1830), Lublin, Towarzystwo Naukowe Katolickiego Uniwersytetu Lubelskiego Jana Pawła II, 2008.

22 M. DOLBILOV, A. MILLER (a cura di), Zapadnye Okrainy Rossijskoj Imperii, Moskva, Novoe Literaturnoe Obozrenie, 2006, pp. 230-233;M. DOLBILOV, The Russifying Bureaucrats‘ Vision of Catholicism: The Case o Nortwestern krai after 1863, in A. NOWAK (a cura di), Rosja i Europa Wschodnia: „imperiologia stosowana‖/Russia and Eastern Europe: applied ―imperiology‖, Kraków, Arcana, 2006, pp. 197-221; IDEM, Meţdu konfessional‘noj i nacional‘noj identičnost‘ju: proval rusifikacii katoličeskogo bogosluţenija v belorusskich gubernijach (1860-e–1880-e gg.), pro manuscripto, S.-Peterburg 2008, pp. 1-42, sopr. pp. 1-2.

88 Un altro elemento da considerare nel panorama generale della politica confessionale zarista nella parte occidentale dell‘Impero e, nello specifico, nelle misure rivolte verso i cattolici, riguarda l‘atteggiamento missionario verso le confessioni cristiane non ortodosse23

. Eccetto i casi di conversioni all‘Ortodossia di luterani delle Province baltiche durante gli anni ‘40 del XIX sec., che interessarono circa 100mila fedeli24, quindi dei greco-cattolici, e infine di cattolici negli anni ‘60 del XIX sec., legate, quest‘ultime, quasi esclusivamente alla breve, quanto drastica attività russificatrice del governatore delle Province nord-occidentali Konstantin P. Kaufman (1867-1868)25, nel complesso i tentativi di conversione all‘Ortodossia furono piuttosto limitati. Per quanto concerne i fedeli cattolici, gli esperimenti di conversione furono rivolti ai contadini bielorussi che, secondo i postulati del nazionalismo russo, in quanto ―ramo‖ della ―grande nazione russa‖, in origine ortodossi, avrebbero dovuto ―far ritorno‖ alla ―fede dei padri‖ (ovvero, come la gerarchia ortodossa si esprimeva: dolţenstvujuščie

prinadleţat‘ k pravoslaviju26

). Si trattava, quindi, di una sorta di allargamento delle precedenti conversioni di greco-cattolici e, conseguentemente, erano di fatto esclusi dalla possibile conversione i cattolici lituani e polacchi etnici27. Condividiamo pertanto, alla luce degli studi di M.D. Dolbilov, l‘affermazione di Smolitsch, per cui ―la Chiesa ortodossa non condusse mai una vera e propria attività missionaria tra i cattolici residenti in Russia‖. È da segnalare, tra l‘altro, che i pochi, isolati casi di sollecitudine missionaria di cui si resero protagonisti alcuni religiosi ortodossi diedero risultati piuttosto trascurabili. Per questo motivo le autorità optarono, nella quasi totalità dei casi, per consegnare l‘opera di conversione nelle mani dei funzionari civili locali, ―entusiasti‖, spesso animati da fanatismo nella loro lotta al Cattolicesimo. Le conversioni assumevano in tal modo un carattere secolare, poiché attraverso di esse veniva promosso un passaggio non tanto alla fede ortodossa, quanto alla ―fede (o alla Chiesa) dello zar‖. Appare ampiamente diffusa nella mentalità burocratica russa della periferia nord-occidentale dell‘Impero, la necessità, e la convenienza, di limitare la procedura della conversione ad una registrazione civile, che avrebbe sanzionato, anche senza ricorrere alla pratica sacramentale ecclesiastica, il passaggio (o, più precisamente, il ―ritorno‖) alla

23

Sulle missioni ortodosse si veda, ad esempio: I.K. SMOLIČ, Istorija Russkoj Cerkvi. 1700-1917, č. 2, pp. 200- 283 (sulle missioni verso religioni non cristiane); V.A. FEDOROV, Russkaja Pravoslavnaja Cerkov‘ i gosudarstvo. Sinodal‘nyj period (1700-1917), Moskva, Russkaja Panorama, 2003 (il cap. 5: Missionerskaja dejatel‘nost‘ Russkoj Pravoslavnoj Cerkvi, pp. 130-149); A. MAINARDI (a cura di), Le missioni della Chiesa ortodossa russa, Bose, Edizioni Qiqajon, 2007.

24

Cfr. A.M. AMMANN, Storia della Chiesa russa e dei Paesi limitrofi, pp. 428-429. Cfr. I.K. SMOLIČ, Istorija Russkoj Cerkvi. 1700-1917, č. 2, p. 307. Sulla base dei dati ufficiali registrati dal Santo Sinodo, dal 1836 al 1891 ci furono circa 75mila conversioni di cattolici all‘Ortodossia. Secondo Smolitsch il dato è testimonianza della fermezza dei cattolici nella loro fede. Va peraltro sottolineato che nella maggioranza dei casi i convertiti d‘ufficio all‘Ortodossia continuavano a praticare clandestinamente i riti cattolici. Questi falsi convertiti furono definiti ―uporstvujuščie‖. Il fenomeno si presentò specularmente anche nel Regno di Polonia in seguito alla forzata conversione degli uniati all‘Ortodossia nel 1875.

25

M.D. DOLBILOV, „Carskaja vera‖: massovye obraščenija katolikov v pravoslavie v Severo-zapadnom krae Rossijskoj Imperii (1860-e gg.), ―Ab Imperio‖, 2006, 4, pp. 225-270 (http://abimperio.net/cgi-

bin/aishow.pl?state=showa&idart=1749&idlang=2&Code=o0vbws2hHJn1tFQJlQMTPCMWe;

http://abimperio.net/cgi-

bin/aishow.pl?state=showa&idart=1750&idlang=2&Code=o0vbws2hHJn1tFQJlQMTPCMWe); cfr. anche

IDEM, Konfessional‘naja identičnost‘ i argumenty pamjati: Katoličeskij otvet na rusifikaciju v Zapadnom krae imperii posle Janvarskogo vosstanija, in M.D. DOLBILOV, P.G. ROGOZNYJ (a cura di), Pravoslavie: konfessija, instituty, religioznost‘ XVII-XX vv. Sbornik naučnych rabot, S.-Peterburg, Izdatel‘stvo Evropejskogo universiteta v Sankt-Peterburge, 2009, pp. 72-104.

26

M.D. DOLBILOV, ―Carskaja vera‖…, cit. dalla versione on-line della rivista Ab Imperio:

http://abimperio.net/cgi-

bin/aishow.pl?state=showa&idart=1749&page=2&idlang=2&Code=9GpArfR5TYXX7loTAY811EEch.

27

Cfr. D. STALIŪNAS, Making Russians. Meaning and Practic of Russifications in Lithuania and Belarus after 1863, Amsterdam, Rodopi, 2007, pp. 131-159.

89 religione ―dominante‖, e, quindi, avrebbe reso possibile la (ri-)nascita di fedeli sudditi dell‘imperatore. Scrive Dolbilov:

[…] la frequente sostituzione della parola ―pravoslavie‖ con espressioni, prive di connotazione confessionale, quali ―carskaja vera‖, ―vera gosudarja‖, ―russkaja vera‖, tracciava poco a poco una linea di demarcazione tra i neoconvertiti e la locale comunità ortodossa. I contadini cattolici venivano invitati ad unirsi non tanto alla massa dei credenti ortodossi, al loro clero indisponente e alle loro sgraziate chiese, quanto alla ―fede dello zar‖, una sorta di religione civile, per i cui adepti la consapevolezza della benevolenza dello zar era più importante che l‘osservanza di una ben definita ritualità ecclesiastica28.

Il carattere laico, secolare che interessò la gran parte delle conversioni in quest‘area dell‘Impero si ritrova espresso in una affermazione che sarebbe stata formulata da due funzionari della regione di Vilna, secondo i quali al cattolicesimo era preferibile un ―ateismo ortodosso‖: non era importante, quindi, la conversione dei contadini all‘Ortodossia, quale sistema di dogmi e verità di fede, quanto un‘adesione al credo civile dell‘impero o, più precisamente, alla figura dello zar osvoboditel‘, colui che avrebbe garantito una libertà e una protezione materiale (è qui evidente il richiamo all‘emancipazione dalla servitù), prima che spirituale.

Dopo il 1863-64 le autorità zariste, impegnate nelle riforme di modernizzazione dello Stato russo in senso nazionalistico da un lato, e nella repressione dell‘insurrezione polacca dall‘altro, insurrezione che favorì l‘estensione delle riforme alessandrine alla periferia ―polacca‖ dell‘Impero, operarono un nuovo tentativo di creazione di una Chiesa cattolica ―imperiale‖, isolando, ad un tempo, la Chiesa cattolica sia dagli influssi romani, sia polacchi29. Questo fatto dimostra la consapevolezza da parte dei funzionari russi dell‘impossibilità di convertire i cattolici polacchi all‘Ortodossia, questo nonostante le teorie slavofile ammettessero l‘opportunità di risvegliare anche nel contadino polacco (ovvero cattolico) l‘originaria Ortodossia (teorie che, è bene ricordare, informarono in larga misura l‘attività del Comitato per le Riforme del Regno di Polonia). La politica promossa da N.A. Miljutin e V.A. Čerkasskij teorizzava un radicale ridimensionamento della Chiesa cattolica nel Regno di Polonia attraverso l‘adozione di una serie di misure, tra le quali spiccava la soppressione della quasi totalità dei conventi, adducendo motivazioni razionali – sull‘esempio delle soppressioni giuseppine nell‘Impero austriaco –, e di ordine pubblico – una parte considerevole del clero monastico aveva partecipato attivamente all‘insurrezione di gennaio. All‘elaborazione della base teorica della politica confessionale in Polonia partecipò Jurij Samarin30, mentre nella stesura del progetto di soppressione dei monasteri ebbe un ruolo di primo piano Aleksandr Gil‘ferding, noto linguista di orientamento spiccatamente panslavo, vicino ai circoli slavofili degli anni ‘50 e ‘60. Il progetto era il frutto di una lunga ricerca sulle 28 «[…] частое замещение слова ―православие‖ выражениями, лишенными конфессиональной специфики, как-то ―царская вера‖, ―вера государя‖, ―русская вера‖, исподволь проводило черту между вновь обращенными и местным православным сообществом. Крестьян-католиков звали присоединиться не столько к массе местных православных верующих, с их несимпатичным духовенством и неказистыми храмами, сколько именно к ―царской вере‖ – некой гражданской религии, для адептов которой осознание благодеяний монарха важнее, чем соблюдение установленной церковной обрядности», M.D. DOLBILOV,

―Carskaja vera‖…, http://abimperio.net/cgi-

bin/aishow.pl?state=showa&idart=1749&page=7&idlang=2&Code=o0vbws2hHJn1tFQJlQMTPCMWe; cfr.

I.K. SMOLIČ, Istorija Russkoj Cerkvi. 1700-1917, č. 2, pp. 306-307.

29 Da segnalare anche un progetto di Unione ―inversa‖ dei cattolici russi alla Chiesa ortodossa. Cfr. M.D.

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