cesura nei destini della popolazione piccolo russa e bielorussa ―al di qua‖ del Bug. Ci concentremo in particolare sulla trasformazione della percezione di questi territori nel pensiero di alcuni tra i più rappresentativi intellettuali russi che prestarono attenzione alla ―questione russa‖ tra Province occidentali e Regno di Polonia. Analizzeremo quindi il punto di vista di alcuni esponenti dell‘autorità zarista nei governatorati occidentali sui rapporti russo-polacchi e quindi i primi segnali dell‘intenzione di voler trovare una soluzione al problema del predominio polacco, a favore di quello russo.
2.1. Da Pietro I ad Alessandro I: il vincolo dinastico come presupposto all’espansione territoriale
Nel discorso imperiale di carattere ―dinastico‖, ―legittimista‖, la Rus‘ di Kiev (intendendo con questo termine l‘intero organismo statuale antico russo, incluse le numerose diramazioni in cui esso ebbe a frammentarsi tra XI e XIII sec.), ricopriva un ruolo centrale nel processo di definizione dell‘essenza dell‘Impero russo.
Il vincolo dinastico quale presupposto necessario nel definire e legittimare la dimensione geografica dell‘Impero russo interessò l‘epoca imperiale nel suo complesso, dagli inizi dello stato petrino fino alla caduta dell‘Impero. Nella prassi politica imperiale, tuttavia, esso rimase esclusivo fino ad almeno il primo quarto del XIX sec., quando gradualmente iniziò ad
4 Questa ipotesi veniva espressa, ad esempio, da Ju.F. Samarin. Cfr. Ju.F. SAMARIN, Sovremennyj ob‖em pol‘skogo voprosa, ―Den‘‖, n. 38, 21 sentjabra 1863 (ripubblicato in Sočinenija Ju.F. Samarina, t. 1: Stat‘i raznorodnogo soderţanija i po pol‘skomu voprosu, pp. 325-350, qui pp. 349-350).
33 aggiungersi ad esso un ulteriore criterio, quello etnico e in parte confessionale, della comunanza di sangue e fede tra tutti i ―russi‖.
Vasilij Nikitič Tatińčev, diplomatico al servizio di Pietro, nonché storiografo e geografo, nel suo lavoro Russia ili kak nyne zovut Rossia, introdusse nella coscienza geografica russa l‘elemento asiatico dello Stato russo. L‘Impero venne da allora in poi concepito nell‘ottica di un centro, europeo, e di una sua dimensione coloniale (o semi-coloniale), asiatica5. Nel 1709, Feofan Prokopovič delimitava geograficamente lo stato russo all‘interno dei grandi bacini acquatici del Mar Baltico, Mar Caspio, Mare Artico, Oceano Pacifico e del fiume Dnepr. Nelle loro odi e panegirici, Sumarokov e Lomonosov, accanto ad un‘enfatizzazione della vastità dello Stato russo, trasmettevano l‘immagine di un impero i cui confini sfumavano in terre lontane e ignote.
Mentre per tutto il Settecento la coscienza della dimensione spaziale (soprattutto nella sua parte asiatica) dello Stato russo rimase piuttosto indefinita, la legittimazione dinastica delle conquiste territoriali trovò invece solidi capisaldi fin dall‘inizio dell‘epoca imperiale. Secondo la storiografia ufficiale petrina, la conquista delle Province Baltiche, ad esempio, non costituiva un semplice episodio di espansione militare o commerciale, benché anche questo motivo ricoprisse un ruolo non secondario, bensì rientrava nel processo di raccolta di quelle terre russe che ―fin dai tempi antichi erano appartenute all‘Impero russo‖ (iz drevle ko
vserossijskomu imperiju [sic] prinadleţali), come argomentò nel 1716 Petr Pavlovič Ńafirov,
in un celebre trattato politico-giuridico sanzionato personalmente da Pietro6.
Sulla stessa linea ideologica veniva interpretata l‘espansione territoriale verso ovest realizzatasi in seguito alle spartizioni della Rzeczpospolita polacco-lituana tra il 1772 e il 1795. Caterina II, affermò non tanto di aver ―spartito‖ la Polonia, quanto di aver ―restituito‖ allo Stato russo dei territori che già gli erano appartenuti legittimamente, per diritto dinastico. Al fine di perpetuare la memoria della riannessione, l‘imperatrice fece coniare una medaglia con il motto in slavo ecclesiastico ―ottorţennye vozvratich‖, ad indicare la ―restituzione‖ allo Stato russo dei territori ucraini-lituano-bielorussi già ad esso sottratti. Va al contempo sottolineato che durante il regno di Caterina, accanto alla legittimazione ―dinastica‖
5 Cfr. M. BASSIN, Russia between Europe and Asia: The Ideological Construction of Geographic Space, ―Slavic Review‖, 50, 1991, pp. 1-17. Su Tatińčev e la sua opera principale Istorija Rossijskaja, si veda A.T. TOLOČKO, «Istorija Rossijskaja» Vasilija Tatiščeva: istočniki i izvestija, Moskva-Kiev, Novoe Literaturnoe Obozrenie-Kritiki, 2005. L‘opera, riconosciuta da una parte della storiografia odierna come un artefatto sapientemente creato dall‘autore sulla base di fonti inesistenti, nacque in seguito alla necessità di fornire ai diplomatici russi una visione esatta della storia russa L‘idea nacque da Ja.V. Brus, diplomatico russo, che a sua volta la trasmise a Tatińčev, uno dei suoi più prossimi collaboratori. Questi iniziò il suo lavoro con ogni probabilità dopo il 1727. Durante il regno di Elisabetta, durante il quale si consolidò nelle élites e nell‘opinione pubblica russa l‘immagine di Pietro I, l‘autore retrodatò la data di inizio dell‘opera al periodo petrino, attribuendo peraltro il merito dell‘iniziativa ad un‘idea dell‘imperatore stesso. Secondo Toločko, Tatińčev non andrebbe considerato come un McPherson russo, bensì sarebbe preferibile vedere in lui un abile diplomatico che proiettò tra l‘altro la propria Weltanschauung di chiara matrice occidentale-razionalista sulla storia russa, esaltando l‘individualismo dei prìncipi della Rus‘, piuttosto che le loro presunte inclinazioni democratico- repubblicane.
6 Rassuţdenie, kakie zakonnye pričiny Petr I, car‘ i povelitel‘ vserossijskij, k načatiju vojny protiv Karla XII, korolja švedskogo, v 1700 godu imel, pubblicato nel 1716. Cfr. V. TOLZ, Inventing the Nation: Russia, London, Arnold, 2001, p. 160; J. BURDOWICZ-NOWICKI, Piotr I, August II i Rzeczpospolita. 1697-1706, Kraków, Arcana, 2010, pp. 26-27. L‘annessione delle Province baltiche rappresentò inoltre per Pietro la possibilità di mutuare per l‘amministrazione russa il modello di organizzazione statale svedese. Consapevole di questo, Pietro avrebbe peraltro impiegato burocrati svedesi e tedeschi del Baltico negli uffici dell‘amministrazione imperiale. Su questo aspetto della conquista delle province baltiche si veda V. PETRONIS, Constructing Lithuania. Ethnic Mapping in Tsarist Russia, ca. 1800-1914, Stockholm 2007, p. 43. Per un commento russo di epoca tardo- imperiale all‘annessione delle Province Baltiche si veda I.I. VYSOCKIJ, Očerki po istorii ob‖edinenija Pribaltiki s Rossiej (1710-1910 g.g.), vypusk pervyj. Russkaja Gosudarstvennost‘; Vypusk vtoroj. Pravoslavie. Čast‘ pervaja; Vypusk tretij. Pravoslavie. Čast‘ vtoraja; Vypusk četvertyj. Pravoslavie. Čast‘ tret‘ja, Riga 1910.
34 dell‘avanzata territoriale, si manifestarono i primi segnali di un ―protonazionalismo‖ di carattere etnico, per cui dei territori sottratti alla vecchia Rzeczpospolita veniva messo in evidenza anche il carattere etnicamente ―russo‖. Un esempio di questa prospettiva si ritrova nell‘opera dello storico Ivan Nikitič Boltin, protegé di Potemkin e vicino all‘imperatrice, ―uno degli storici più intelligenti e dotati del secolo scorso‖, secondo la definizione di Pavel Miljukov7. Boltin descrisse l‘espansione territoriale russa come una naturale e, soprattutto, pacifica annessione di territori contigui, che si poneva in contrasto con i processi di conquista territoriale che avevano caratterizzato l‘Europa occidentale, avvenuti violentemente e manu
armata; per di più, secondo lo storico, bielorussi e piccoli russi, membri della stessa famiglia
russa, si erano spontaneamente votati alla dominazione grande russa8. Questo elemento del pensiero dello storico russo, unito alla presunta idealizzazione della Russia prepetrina e alla contrapposizione Russia/Europa occidentale, indusse alcuni esponenti dello slavofilismo tardo a considerarlo come il padre dell‘ideologia slavofila. Al di là della legittimità o meno di tali rivendicazioni, non v‘è dubbio che Boltin fissò dei principî che avrebbero fortemente influenzato la successiva evoluzione della storiografia e del pensiero politico e filosofico russo. Alcuni degli elementi che solitamente si attribuiscono al pensiero slavofilo furono in realtà patrimonio comune di un‘ampia frazione dell‘opinione pubblica e del mondo intellettuale russo prerivoluzionario.
In seguito alla ridefinizione degli equilibri europei avvenuta durante il Congresso di Vienna del 1815, nel dibattito storico russo del primo quarto del sec. XIX l‘attenzione si focalizzò intorno alla frontiera occidentale dell‘Impero russo, ora costituita dal Regno di Polonia, organismo politico dotato di notevole autonomia politica e finanziaria rispetto al centro dell‘Impero, quasi uno stato ―cuscinetto‖ tra Russia ―propriamente detta‖, Prussia e Austria9
. La definizione degli equilibri europei avvenuta a Vienna va compresa nell‘ambito di una concezione improntata al classico legittimismo dinastico dei rapporti internazionali e non in un‘ottica nazionalistica. Nel 1815, evidentemente, il fatto della presenza di ―russi‖ entro i confini del neocostituito Regno di Polonia, oppure oltre i confini dell‘Impero, in Galizia, ad esempio, non poteva destare quell‘interesse che si sarebbe manifestato soltanto alcuni decenni più tardi. Pochi anni prima, invero, nel 1809, la regione di Tarnopol‘ in Volinia, parte storica del medioevale Principato di Galizia, era stata annessa all‘Impero russo in seguito al trattato di Schoenbrunn. Secondo quanto riferisce lo storico del pensiero politico polacco W. Feldman, l‘interesse della diplomazia russa per quest‘area, entrata a far parte dell‘Impero
7 «Умнейшего и талантливейшего из русских историков прошлого века», P. MILJUKOV, Ivan Nikitič Boltin, in S.A. VENGEROV, Kritiko-biografičeskij slovar‘ russkich pisatelej i učenych (ot načala russkoj obrazovannosti do našich dnej), t. V, S.-Peterburg 1897, pp. 130-147, qui p. 134. Su Boltin si vedano anche: V. IKONNIKOV, Ivan Nikitič Boltin, in Russkij Biografičeskij Slovar‘, t. 3, S.-Peterburg 1908, pp. 186-204; V.O. KLJUČEVSKIJ, I.N. Boltin, ―Russkaja mysl‘‖, 1892, 11, pp. 107-130. Gli storici S.M. Solov‘ev e P.N. Miljukov, pur non condividendo la visione di Boltin come progenitore dell‘ideologia slavofila, non ne negavano tuttavia il contributo allo sviluppo dell‘autocoscienza nazionale russa. Affermava Miljukov: «[…] не написав ничего цельного, он был тем не менее единственным представителем цельного взгляда на русскую историю и в значительно большей степени заслуживает названия историка России, чем Татищев и Щербатов, гораздо более его ученые», «В основу исторического изучения Болтин кладет изучение этнографическое и историко-географическое», P. MILJUKOV, Ivan Nikitič Boltin, pp. 139-140; di Boltin lo storico Solov‘ev sottolineava lo «общий взгляд на целый ход истории, первую попытку смотреть на историю, как на науку народного самомознания, отыскать живую связь между прошедшим и настоящим, в которой указано значение России в ряду европейских государств, не отрицая ее особенности», cit. in V. IKONNIKOV, Ivan Nikitič Boltin, p. 203.
8 V. TOLZ, Inventing the Nation: Russia, pp. 161-162.
9 Cfr. M. DOLBILOV, A. MILLER (a cura di), Zapadnye okrainy Rossijskoj Imperii, Moskva, Novoe Literaturnoe Obozrenie, 2006, soprattutto il capitolo 4: Ot Konstitucionnoj chartii k reţimu Paskeviča, pp. 81- 122.
35 austriaco con la prima spartizione, era dovuto alla composizione etnica – piccolo russa – della regione. Con la sua acquisizione la Russia avrebbe iniziato a concepire la Galizia orientale come suo naturale possesso, avanzando rivendicazioni e ampliando il suo influsso sui restanti territori galiziani sotto il controllo austriaco, in quanto considerati appartenenti all‘―antica terra russa‖10
. Con il Congresso di Vienna, tuttavia, la regione fu nuovamente inserita nell‘Impero absburgico. Se anche ci fosse stato un reale interesse di carattere ―etnico‖ da parte di Alessandro, esso comunque fu, a nostro parere, un caso isolato, e non fu affatto parte di un programma di rivendicazione di territori abitati da ―russi‖ e magari di confessione ortodossa. Come dimostra la polemica tra l‘imperatore e l‘opposizione conservatrice che illustreremo in questo capitolo, è difficile parlare di reali ―ambizioni territoriali‖ da parte di Alessandro, per il quale il mantenimento stesso dei governatorati occidentali, già periferie orientali della Repubblica polacco-lituana, appariva tutt‘altro che scontato.
È nell‘ottica pertanto di un malinteso approccio verso le periferie occidentali dell‘Impero che una parte dell‘opinione pubblica russa dopo il 1863 considerò il mancato inserimento dei russi piccoli e bianchi del Regno di Polonia nella giurisdizione amministrativa di uno dei governatorati occidentali dell‘Impero. Al Congresso di Vienna la linea di demarcazione tra territori russi (Province occidentali) e Regno di Polonia fu tracciata lungo il confine naturale del fiume Bug e, più a nord, lungo il Neman/Niemen, riproponendo la frontiera che già era stata del napoleonico Ducato di Varsavia (Księstwo Warszawskie) e, ancor prima, del territorio occupato dalla Prussia in seguito alla terza spartizione. Bisogna inoltre ricordare che la regione di Cholm, dopo l‘Unione polacco-lituana del 1569, entrò a far parte delle terre della Corona polacca. Nella definizione dei confini, pertanto, non erano state considerate istanze di natura etnica o confessionale del nuovo Regno, bensì era stato deciso di preservare la frontiera tradizionale tra Granducato di Lituania e Corona Polacca, ovvero, secondo l‘interpretazione russa del tempo, tra Russia e Polonia. Il fatto che nella definizione dei confini tra unità amministrative non entrassero in gioco motivazioni etniche fu del resto patrimonio comune dell‘intera area di cui ci occupiamo, sia nell‘ambito della statualità polacco-lituana prima, russa poi, almeno fino alla prima metà dell‘Ottocento11.
Una parte del nazionalismo russo, dopo il 1863, mosso da istanze etno-confessionali, proiettando la propria visione nazionalistica sul Congresso di Vienna interpretò le decisioni dei congressisti come la volontà di tracciare una linea di demarcazione etnica tra polacchi e russi. Facendo riferimento ai confini storici della Rus‘ di Galič, questa parte dell‘opinione pubblica russa negava, conseguentemente, che il fiume Bug avesse mai costituito una frontiera tra terre polacche e russe. Ad esempio, un anonimo pubblicista russo della Società di beneficenza russo-galiziana scriveva:
Fino al 1815 il Bug non era un confine né etnografico, né confessionale, né politico. La definizione operata dal Congresso di Vienna del Bug quale frontiera orientale del neo-ricostituito Regno di Polonia per un notevole tratto del suo corso (superiore e inferiore) ha separato russi da altri russi, ha sottratto la Rus‘ di Cholm dallo sguardo dei suoi fratelli orientali e nel corso di mezzo secolo (1815-1864) è servita da avamposto per la propaganda polacca e cattolica, tutt‘altro che ―cavalleresca‖, nei territori nuovamente riconsegnati alla Polonia, Cholm e Podlachia, da allora ancor più martirizzati‖12.
10
W. FELDMAN, Dzieje polskiej myśli politycznej w okresie porozbiorowym, t. 1: Do r. 1863: próba zarysu, Kraków 1913, p. 85.
11 Cfr. il caso, ad esempio, del progetto di riforma in senso federale dell‘Impero russo proposta ad Alessandro I da M.M. Speranskij, la quale prevedeva una riorganizzazione della divisione amministrativa dell‘Impero in oblasti e gubernii non su base etnica, bensì sulla base della distribuzione del potere della nobiltà locale. Cfr. V. PETRONIS, Constructing Lithuania, pp. 78-80.
12 Cfr. K voprosu o vydelenii Cholmskoj Rusi, S.-Peterburg, Izdanie Galicko-Russkogo Bl. Obńčestva v S.- Peterburge, 1906, pp. 1-2: «До 1815 года Западный Буг не был границей ни этнографической, ни вероисповедной, ни политической», «Назначенный на Венском конгрессе восточной границей «воскрешенного» Царства Польского Буг на значительном своем протяжении (верхнем и среднем)
36 Il vescovo ortodosso di Cholm, Evlogij, affermò a sua volta che
La terra di Cholm è stata vittima di un fatale equivoco storico allorché il confine con il Regno di Polonia venne tracciato nel 1815 lungo il fiume Bug. Con ciò la Transbugia russa occidentale si trovò artificiosamente separata dalla patria, come un‘aggiunta posticcia al Regno di Polonia, e iniziò gradualmente a trasformarsi in Cisbugia polacca13.
Secondo questo punto di vista, quindi, si sarebbe trattato del primo caso in cui l‘autorità zarista avrebbe dimenticato i ―russi‖ del Regno di Polonia, lasciandoli sotto il dominio amministrativo e culturale, e, in una certa misura, politico polacco. Poco più tardi, in occasione del processo di conversione dei greco-cattolici lituani e bielorussi, culminato con la riannessione alla Chiesa ortodossa del 1839, il governo russo avrebbe tralasciato di estendere la misura anche gli uniati del Regno di Polonia, contribuendo in tal modo a perpetuare la situazione preesistente in cui piccoli russi e russi bianchi continuavano a trovarsi al di là della giurisdizione propriamente russa. Tra le altre personalità russe che nei decenni successivi al 1863 levarono il proprio j‘accuse al Congresso di Vienna e all‘amministrazione russa va segnalato il procuratore del Santo Sinodo K.P. Pobedonoscev, secondo il quale nel 1815 ci fu un malinteso alla base della mancata separazione dal regno di Polonia dei piccoli russi, la cui lingua, tradizioni, cultura erano le stesse delle vicine Volina, Podolia e Galizia, dalla Polonia14. Nell‘elaborazione teorica di questa visione, promossa nel primo Novecento, con crescente ossessione, da esponenti dell‘intellettualità russa promotrice di una russificazione integrale della regione di Cholm, la questione veniva inquadrata nei termini di una negligenza del fratello maggiore (i grandi russi) nei confronti del fratello minore (i piccoli russi)15. Un anonimo cronista di Okrainy Rossii, giornale reazionario pubblicato a Pietroburgo, affermava nel 1909 che l‘aver ―scordato‖ Cholm e Tarnopol‘ in Polonia e Galizia, e cioè l‘aver dato ascolto, da parte di Alessandro, alla volontà del nobile polacco Adam Czartoryski di far rivivere il Regno di Polonia, con ciò sacrificando ―sangue russo‖ che sarebbe presto diventato oggetto di polonizzazione e cattolicizzazione, nonché di dipendenza economica, era stato una grave colpa della politica russa (grech russkoj politiki)16.
In realtà, le autorità zariste, in primo luogo lo zar stesso, effusero notevoli sforzi nel tentativo di allargare la conversione degli uniati di Bielorussia e Lituania ai greco-cattolici del Regno di Polonia. Le misure adottate non sortirono, tuttavia, alcun esito. Anche in questo caso, a ben vedere, quei nazionalisti russi che presentavano tali critiche al governo russo non
отделил русских от русских, закрыл Холмскую Русь от взоров восточных ее братий и в течение полувека (1815-1864 гг.) служил «опущенным забралом» для польско-католической совсем не «рыцарской», пропаганды во вновь отошедших к Польше, с того времени еще более «многострадальных» Холмщине и Подляшьи». Cfr. anche I.P. FILEVIČ, Predislovie k cholmskomu voprosu, in E.M. KRYŅANOVSKIJ, Russkoe Zabuţ‘e (Xolmščina i Podlaš‘e), S.-Peterburg 1911, pp. XXXIII-XXXVI. Secondo Filevič il fatto che in seguito al Congresso di Vienna la regione di Cholm e Podlachia si fosse ritrovata nei confini del Regno di Polonia non era stato in realtà sanzionato ufficialmente da nessun documento.
13 «Холмщина стала жертвой злосчастного исторического недоразумения, когда граница Царства Польского в 1815 г. была определена по реке Буг, и тем самым западное русское Забужье оказалось искусственно оторванным от родины, «неестественно втиснутое» в Царства Польского, оно постепенно стало превращаться в польское Прибужье», intervento del 1911 di Evlogij alla terza Duma di Stato. Gosudarstvennaja Duma 3-go sozyva. Stenografičeskie otčety. Sessija V, č. 1, col. 2656.
14 K.P. POBEDONOSCEV, Istoričeskaja zapiska o Cholmskoj Rusi i gorode Cholme. O sud‘bach unii v Cholmskom krae i sovremennom poloţenii v nem uniatskogo voprosa, S.-Peterburg, Sinodal‘naja tipografija, 1902, pp. 1-2.
15 Si veda ad es. Čestvovanie členov Gos. Dumy Cholmskim Sv.-Bogorodickim bratstvom 9 Ijunja 1910 g., in Obzor russkoj periodičeskoj pečati. Vyp. XVI: Cholmskij vopros (S 1 Janvarja 1909 g. po 1 Oktjabrja 1911 g.), S.-Peterburg 1912, p. 167.
37 comprendevano i reali motivi di questa presunta mancanza di attenzione. In realtà, le misure promosse dal governo zarista dimostrano il notevole interesse che le più alte cariche dello Stato, in primis lo zar, nutrivano verso gli uniati di Polonia. Questo interesse, tuttavia, risiedeva anzitutto nella originaria Ortodossia dei greco-cattolici. L‘operazione di conversione realizzata nel 1839 nelle Province occidentali ci sembra debba essere concepita senz‘altro come un passo decisivo nella riaffermazione dell‘egemonia russo-ortodossa in quell‘area dell‘Impero; a nostro modo di vedere, anch‘essa tuttavia si inseriva nell‘ambito della politica di conversione degli uniati iniziata da Caterina II e contribuiva a restituire pienamente, alla Russia ortodossa, nell‘ambito della concezione uvaroviana di ―Chiesa dominante‖, ciò che le spettava per diritto dinastico. Era un modo, inoltre, per ridurre la dominazione polacca (poiché la Chiesa uniate era considerata come prolungamento della Chiesa cattolica polacca) nella regione, alla pari delle altre misure adottate dopo il 1830-31.