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Province occidentali e Polonia nel pensiero russo dopo Karamzin: il contributo ideologico di M.P Pogodin alla nazionalizzazione del discorso imperiale

Nella quarta decade dell‘Ottocento, quando l‘opera di Karamzin assurgeva a pietra miliare della storiografia imperiale, un giovane, emergente storico moscovita, Michail Petrovič Pogodin, percorreva le terre slave, in particolare la Galizia, estendendo la dimensione territoriale del discorso nazionale russo ai supposti ―fratelli‖ russi sotto dominazione straniera, ma soprattutto innovando il concetto di patriottismo (nazionalismo) russo.

Pogodin va annoverato tra i più influenti intellettuali che ispirarono e prepararono le fondamenta per il passaggio del nazionalismo russo da un piano elitario ad un piano popolare. Anche se non assurse mai al rango di storiografo ufficiale della corte dei Romanov, la sua opera, sia scientifica che pubblicistica, unita all‘indiscusso carisma e all‘autorità di cui godette in ampi strati della società colta russa, ebbero profonde ripercussioni sia sugli ambienti ufficiali (corte, ministri e notabili), sia non ufficiali, ovvero sulla emergente intellettualità influenzata dai postulati del nazionalismo romantico (popolare) e del panslavismo, in parte erede del pensiero slavofilo36.

Pogodin, figlio di un servo della gleba affrancato, nacque e crebbe a Mosca, e fin da giovane subì l‘influsso delle idee del romanticismo tedesco che trovarono nell‘Università e in alcuni circoli letterari dell‘antica capitale russa terreno fertile per la loro diffusione. Pogodin frequentò negli anni ‘20 il circolo dei ljubomudrye (―amanti della saggezza‖), di cui facevano parte i futuri slavofili Ivan Kireevskij e Aleksej Chomjakov, e da cui assorbì lo spirito schellingiano che avrebbe pervaso le sue lezioni universitarie (dal 1825 insegnò storia universale all‘Università di Mosca). Nella sua successiva evoluzione il pensiero di Pogodin si discostò sensibilmente dai postulati degli slavofili. Pogodin fu ben lontano dall‘idealizzare la comune contadina (la sua critica del liberalismo occidentale, come ha notato A. Walicki, partiva da una posizione di apologia dell‘autocrazia e non di critica anticapitalistica nello

35 N.M. KARAMZIN, O drevnej i novoj Rossii v ee političeskom i graţdanskom otnošenijach; cfr. anche V. TOLZ, Inventing the Nation: Russia, pp. 74-76.

36 Su Pogodin e la questione polacca si veda J.L. BLACK, Interpretations of Poland in Nineteenth Century Russian Nationalist-Conservative Historiography, pp. 28-34; IDEM, M.P. Pogodin: A Russian Nationalist Historian and the ―Problem‖ of Poland, ―Canadian Review of Studies in Nationalism‖, 1973, vol. 1, n. 1, pp. 60-69.

43 spirito della slavofila utopia conservatrice37) e dall‘isolamento verso l‘occidente proprio della filosofia slavofila. Lo storico moscovita, che insegnò storia della Russia all‘Università di Mosca dal 1835, fu al contrario un acceso sostenitore delle riforme petrine e della nazionalità ufficiale di Nicola I. Egli considerava la Russia come civiltà nettamente distinta dall‘Occidente, e ad esso superiore, dotata di una sua pecualire evoluzione, dovuta alle particolari circostanze storico-culturali in cui era venuta a trovarsi – ed in questo specifico aspetto è da ritenere un precursore del pensiero slavofilo –, ma al contempo vedeva la Russia come parte dell‘Europa, Europa come culla del progresso, a cui inesorabilmente era chiamata anche la Russia, e ne auspicava una partecipazione attiva nell‘arena politica internazionale, volta a confermarne la superiorità rispetto agli Stati occidentali38. Pogodin era inoltre convinto fautore della teoria normannista, che contemplava l‘introduzione su base volontaria nella società slava antica del sistema di governo monarchico e centralistico di derivazione variaga. Questa teoria, accettata ufficialmente da Nicola I nel 1848, si contrapponeva alle idee federalistiche della società slava come fonte di autogoverno fatte proprie dai decabristi, ma anche all‘esaltazione del popolo e della sua capacità di iniziativa politica autonoma da parte degli slavofili. Almeno nella prima parte della sua attività scientifica e pubblicistica, Pogodin si schierò decisamente, con una veemenza ancora maggior di quanto aveva fatto Karamzin, a favore del mito dinastico dello Stato russo, piuttosto che popolare (il popolo, per Pogodin, era un ―materiale‖ per gli scopi dell‘autocrazia, una risorsa potenziale, piuttosto che reale). Col tempo, la sua posizione sarebbe tuttavia visibilmente slittata verso una predilezione del mito popolare, e questo è evidente, ad esempio, nelle riflessioni dello storico sulle Province occidentali dell‘Impero, la Polonia e il loro ruolo all‘interno dell‘Impero

L‘ampiezza temporale degli scritti di Pogodin relativi alla questione polacca, che abbracciano un arco di tempo di oltre trent‘anni, comprendente le due insurrezioni polacche del 1830 e del 1863, ci permette di cogliere l‘evoluzione nell‘atteggiamento di Pogodin, e, riteniamo, in una misura significativa, anche di una parte importante dell‘opinione pubblica russa sulla questione polacca.

Soprattutto nei suoi scritti più tardi, in cui si riscontra l‘aspetto di maggior interesse per il nostro studio, è ravvisabile un elemento ideologico assente nella storiografia e, in generale, nel pensiero russo precedente: lo storico introduce un nuovo modo di considerare le categorie del nazionalismo, precisamente nel loro aspetto etno-confessionale. Pogodin associò al legame dinastico, quale legittimazione dell‘unione delle terre russe, i vincoli di sangue, lingua e fede, come elementi che univano i russi, non solo élite ma anche, e forse soprattutto, popolo,

narod, della Russia centrale ai russi delle Province occidentali, i russi ―grandi‖ ai russi

―piccoli‖ e ―bianchi‖. La nobiltà polacca presente sui territori bielorussi, lituani e ucraini costituiva in quel momento storico un inciampo e un corpo estraneo nel processo di ricomposizione dell‘unità della ―Grande nazione russa‖; mentre il popolo era autoctono, formato da contadini tout court ―russi‖ (iskonnye tuzemcy, staroţily, aborigeny), i polacchi erano da considerare alla stregua di invasori e mercenari39.

Già in un articolo apparso nel 1831 sul Teleskop, all‘indomani dell‘insurrezione di novembre, Pogodin inaugurava una lunga battaglia con la stampa occidentale, che si sarebbe protratta

37 A. WALICKI, W kręgu konserwatywnej utopii. Struktura i przemiany rosyjskiego słowianofilstwa, Warszawa, PWN, 2002, p. 45 (cfr. l‘edizione italiana A. WALICKI, Una utopia conservatrice. Storia degli slavofili, a cura di Vittorio Strada, traduzione di Michele Colucci, Torino 1973).

38

Cfr. E.C. THADEN, The Rise of Historicism in Russia, pp. 90-101. A. WALICKI, W kręgu konserwatywnej utopii, pp. 35-46.

39 M.P. POGODIN, Pol‘skij vopros, in IDEM, Pol‘skij vopros. Sobranie rassuţdenij, zapisok i zamečanij. 1831- 1867, Moskva 1868, p. 80 (d‘ora in poi le citazioni dagli scritti di Pogodin, provenendo tutte dalla stessa raccolta, verranno indicate soltanto con il titolo dell‘articolo di riferimento).

44 con intensità crescente nei decenni successivi40, confutando il luogo comune, che, secondo lo storico moscovita, dominava nei giornali europei in relazione alla legittimità delle spartizioni e al dubbio sull‘atavica presenza dell‘elemento russo nelle Province occidentali. Pogodin sottolineava già allora la presenza dell‘elemento etnico russo su quei territori:

Nel 1773, 1793 e 1795, al contrario di quanto affermano i nostri nemici, la Russia non ha compiuto alcun misfatto. Al contrario di quanto sostengono i nostri alleati, la Russia non ha sottomesso nessuno, ma ha semplicemente restituito a se stessa quei territori che da sempre, per diritto di prima conquista, alla pari dei suoi possessi originari, le erano appartenuti, secondo gli stessi principî in base ai quali la Francia o l‘Austria possiedono rispettivamente Parigi o Vienna. La Russia, peraltro, possedeva un tempo anche altre regioni, più ad occidente e a meridione, ovvero la Galizia e parte della Moldavia. Percorrete una via qualsiasi di Leopoli (Lemberg) e Galič, e sentirete ovunque il dialetto piccolo russo; date uno sguardo alle chiese, e noterete gli epitaffi di celebri principi russi; consultate le cronache, e vi troverete in ogni pagina le prove che qui fioriva uno dei più potenti principati russi del XIII sec., che fu protagonista di tutti gli i grandi avvenimenti della storia patria: nel decadimento generale, durante il regno del glorioso re Daniil, accarezzò l‘idea di rovesciare il giogo tataro dalla Russia, e soltanto più tardi fu conquistato da polacchi e ungheresi. Volinia, invece, Podolia e Bielorussia appartengono da tempi immemori ai dominî russi. Fin dagli albori della nostra storia sono state abitate da tribù slave, e prima di molte altre, prima ancora di Rjazan‘ e Suzdal‘, esse entrarono a far parte dello Stato russo. E ancora: in queste regioni si trovava il nucleo originario, lo scenario, per così dire, in cui si è sviluppata la nostra storia da Vladimir fino al giogo tataro41.

Oltre ai territori che rientravano nel dominio dei principi kieviani, Pogodin si soffermava sulle terre etnicamente lituane, le quali, localizzate soltanto su parte dei governatorati di Vil‘na e Grodno, e in eguale misura sia a polacchi che russi etnicamente estranee (čuţdoe plemja), da tempo immemorabile pagavano il tributo ai principi russi alla pari dei gruppi etnici slavi e ugro-finnici che facevano parte dello stato russo.

Nonostante la conquista lituana e, successivamente, l‘inserimento dei principati russi nella

Rzeczpospolita polacco-lituana,

40 In merito scriveva Puńkin a Benkendorff all‘indomani dell‘insurrezione del 1830: ―Если Государю угодно будет употребить перо мое для политических статей, то постараюсь с точностью и с усердием исполнить волю его величества. В России периодические издания не суть представители различных политических партий (которых у нас и не существует), и правителсьтву нет надобности иметь свой оффициальный журнал. Но тем не менее общее мнение имеет нужду быть управляемо. Ныне, когда справедливое негодование и старая народная вражда, долго растравляемая завистью, соединила всех нас против Польских мятежников, озлобленная Европа нападает покамест не оружием, но ежедневной бешеной клеветою. Конституционные правительства хотят мира, а молодые поколения, волнуемые жураналами, требуют войны. Пускай позволят нам, Русским писателям, отражать бесстыдные и невежественные нападения иностранных газет», N. BARSUKOV, Ţizn‘ i trudy M.P. Pogodina, kn. 3, S.-Peterburg 1890, p. 275. Si vedano anche di M.P. POGODIN, Pis‘mo k Gizo o pol‘skom voprose (1863), Po povodu novych sluchov e Otpoved‘ Francuzskomu ţurnalistu, pp. 104-110, 111-115, 124-144.

41 «И в 1773, и в 1793, и в 1795 г. Россия не сделала никаких похищений, как обвиняют наши враги, не сделала никаких завоеваний, как говорят наши союзники, а только возвратила себе те страны, которые принадлежали ей искони по праву первого занятия, наравне с коренными ее владениями, по такому праву, по какому Франция владеет Парижем, а Австрия Веною. Еще более — России принадлежали некогда и другие страны, которые находятся гораздо далее на запад и юг, то-есть, Галиция и часть Молдавии. Пройдите по любой улице во Львове (Лемберг) и Галиче — вы услышите везде чистое малороссийское наречие; загляните в соборы — и вы увидите надгробные надписи знаменитых Князей Русских; разверните летописи — и вы найдете на всякой странице доказательства, что здесь процветало одно из сильнейших княжеств Русских в XIII столетии, которое принимало деятельное участие во всех отечественных происшествиях, думало среди всеобщего упадка, при славном короле Данииле, о свержении с России ига Монголов, и уже после было отторгнуто Поляками и Венграми. […]Волынь же, Подолия, Белоруссия издревле принадлежали к Русским владениям; в самые первые времена нашей истории здесь обитали славянские племена, которые прежде многих других, например, живших в Рязанских и Суздальских пределах, вошли в состав Русского государства. Еще более — здесь было средоточие, на этой сцене происходила, так сказать, наша история от времен Владимира и до Монголов», M.P. POGODIN, Istoričeskie razmyšlenija ob otnošenii Pol‘ši k Rossii, pp. 2-3.

45

Anche oggi la maggior parte della popolazione è costituita da russi. Il russo, fino a tempi recenti, è stata la lingua ufficiale dell‘amministrazione. Chi oserebbe dire che la Russia vanta meno diritti sulla Lituania, di quanti ne avanzi l‘Inghilterra sul Galles, o la Francia sulla Bretagna? Senza parlare poi dei diritti degli inglesi sull‘Irlanda, o dell‘Austria sulla Lombardia ecc. ecc., nel qual caso il paragone con la Russia non regge42.

Ancora molti anni più tardi, nel pensiero di un Pogodin sempre più influenzato da istanze nazionalistiche etno-confessionali continuavano a perdurare elementi della visione imperiale- dinastica di tipo tradizionale. Accanto alla legittimazione dell‘unità tra russi grandi, piccoli e bianchi, per i quali Pogodin indicava in prima istanza vincoli di sangue, lingua e religione, anche la Lituania etnica doveva rimanere sotto il dominio russo in virtù della secolare sottomissione dei sovrani lituani ai principi russi. Il modello era dato dalle potenze europee: come Nizza e l‘Alsazia rientravano nei confini francesi, o Malta e Gibilterra in quelli inglesi, così le terre lituane rientravano legittimamente nei confini dell‘Impero russo43

.

La sovranità russa sul Regno di Polonia, infine, veniva giustificata da Pogodin, che in questo proiettava il modello normannista anche sulla periferia polacca, tracciando un parallelo con il periodo elettivo della storia polacca (dal 1572 al 1795), che aveva visto la presenza di sovrani stranieri sul trono polacco44.

Sulla stessa linea si trovano gli altri scritti di Pogodin fino alla Guerra di Crimea. In Pis‘mo o

Pol‘še, del 1854, Pogodin inseriva a pieno titolo la Polonia in quell‘Alleanza slava

(Slavjanskij Sojuz) che egli teorizzava; al contempo, tuttavia, come elemento organico dell‘Impero, essa rappresentava né più né meno che una malattia (èto bolezn‘ na našem tele), nonché uno dei motivi dell‘avversione dell‘Europa verso la Russia. Secondo Pogodin nessun russo desiderava l‘annessione del Regno di Polonia, né tantomeno nessun politico russo l‘aveva voluta: lo storico lamentava la leggerezza con cui i diplomatici russi ―privi, quasi per principio, di nozioni di storia russa‖45

, avevano permesso l‘inserimento del Regno di Polonia, offerto ad Alessandro come ricompensa per aver liberato l‘Europa da Napoleone, nei confini dell‘Impero. Allo stesso tempo, però, era stata dimenticata la Galizia, ―terra autenticamente russa, popolata da russi di lingua e fede russa‖46. Se confrontiamo queste dichiarazioni di Pogodin con quanto affermato nel 1831, tra gli elementi di definizione dell‘identità nazionale russa fa già la sua comparsa il fattore confessionale – il cui ruolo sarà comunque subordinato a quello linguistico –, che sarà regolarmente ribadito anche nei successivi interventi sulla questione polacca. Nel commentare il celebre Mnenie di Karamzin, in cui, secondo Pogodin, il padre della storiografia russa aveva peccato di eccessiva leggerezza verso la Galizia, considerandola territorio di legittimo dominio austriaco, lo storico moscovita arrivava ad ipotizzare un possibile scambio tra Galizia e Regno di Polonia, annettendo la prima all‘Impero russo e concedendo l‘indipendenza al secondo, pur riconoscendo la ―ben nota incapacità di autogovernarsi dei polacchi‖47

. Pogodin, rispetto a Karamzin, non si limitava a 42 «И теперь большую часть народонаселения составляют там Русские, а язык до позднейших времен был даже господствующим, гражданским, письменным. Кто же может сказать, что Россия имеет на Литву меньшее право, чем Англия на Валлисе, или Франция на Бретань? Не говорю уже о правах Англии на Ирландию, или Австрии на Ломбардию и проч. и проч., с которыми нечего и сравнивать Россию в этом отношении», ibidem, p. 4.

43 M.P. POGODIN, Pol‘skij vopros, pp. 85-86.

44 M.P. POGODIN, Istoričeskie razmyšlenija ob otnošenii Pol‘ši k Rossii, pp. 4-5. In merito alla recezione degli scritti di Pogodin sugli eventi polacchi del 1830-31 cfr. N. BARSUKOV, Ţizn‘ i trudy M.P. Pogodina, kn. 3, pp. 271-277.

45

«[…] не имевшие, как бы по уставу, понятия о Русской истории», M.P. POGODIN, Pis‘mo o Pol‘še (V načale Krymskoj vojny) (1854), p. 36.

46 «[…] чисто русскую землю, населенную русским племенем, говорящую русским языком и исповедующую русскую веру», ibidem, pp. 36-37.

46 definire la questione in termini dinastici, bensì compiva il passo successivo considerando le Province occidentali dell‘Impero non solo un territorio appartenente all‘Impero per diritto dinastico, ma ne teorizzava l‘appartenenza per vincolo di sangue; in altri termini, Pogodin non considerava soltanto la sua élite di possidenti, la nobiltà polacca, o polonizzata, ma vi scorgeva il popolo (narod) russo-ortodosso. Parafrasando e criticando l‘approccio di Karamzin, Pogodin affermava:

Lituania e Volinia, dice Karamzin, potrebbero desiderare il Regno di Polonia. Noi dobbiamo osservare che non il popolo potrebbe desiderare il Regno di Polonia, bensì i proprietari terrieri, i quali stanno al popolo nella proporzione di uno a mille‖48.

Pogodin si dichiarò per la possibilità di una Polonia indipendente nei suoi confini ―linguistici‖, secondo la terminologia usata dallo storico. Il nuovo stato polacco sarebbe dovuto coincidere con il territorio della Polonia ―propriamente detta‖ (sobstvennaja), indicando nella sua geografia, fattore ancor più eloquente della sua storia, la chiave per la comprensione del ruolo politico che doveva spettare alla nuova Polonia. Pogodin considerava la Polonia come uno stato ―cerniera‖, ―spazio intermedio‖, di confine, inadeguato a coltivare una propria autonomia (strana dopolnitel‘naja, pograničnaja, i otnjud‘ ne samobytnaja)49. Secondo Pogodin i confini dell‘Impero russo dovevano attestarsi lungo i fiumi Neman e Bug, strategicamente più favorevoli di quelli attuali, coincidenti con la frontiera occidentale del Regno di Polonia. A sostegno della tesi che contemplava la netta separazione tra Russia e Regno di Polonia nella comprensione dell‘opinione pubblica russa ottocentesca, notiamo che per ―Impero russo‖ Pogodin intendeva la Russia centrale e le Periferie occidentali, mentre il Regno di Polonia, pur essendo ufficialmente parte dell‘Impero, veniva concepito in ultima analisi come un corpo estraneo. Nell‘ambito di quell‘―Alleanza slava‖, teorizzata da Pogodin, che contemplava una Polonia pienamente autonoma rispetto all‘Impero, ma, ben inteso, nella sfera d‘influenza russa, la Russia si sarebbe trovata separata dall‘Occidente da un cordone di piccoli stati cuscinetto, formalmente indipendenti, in realtà rientranti sotto l‘egida dell‘Impero50

. Pochi anni più tardi Pogodin si esprimerà nuovamente sul ruolo della lingua nel determinare i confini tra i popoli. Secondo lo storico russo, la frontiera tra Russia e Polonia doveva essere tracciata lungo la linea di discriminazione linguistica: ―Il territorio dove si parla in polacco è Polonia; allo stesso modo, le regioni in cui si parla in russo devono essere considerate Russia‖ poiché ―la lingua è la frontiera naturale tra i popoli‖51. L‘importanza

assegnata alla lingua come fattore primario nella definizione di una nazione costituisce un ulteriore aspetto innovativo, moderno nel pensiero russo dell‘epoca. Esso andava a sostituire quello che era normalmente riconosciuto come il tradizionale fattore identitario di un popolo, ovvero l‘elemento confessionale52

. Nel caso delle Province occidentali, il fattore linguistico permetteva di considerare una notevole fetta della popolazione, ufficialmente di fede cattolica romana e parlante una lingua slava orientale, come parte della Grande nazione russa.

48 «Литва, Волынь, говорит Карамзин, могут желать королевства Польского. Мы должны заметить, что не народ желал, а помещики, которые относятся к народу, как единица к тысяче», ibidem, p. 39. 49 Ibidem, p. 37. 50 Ibidem, p. 40. 51 «Где говорят по-польски, там и Польша, точно так, как там Россия, где говорят по-русски», «Язык – вот естественная граница народов», M.P. POGODIN, Pol‘ša i Rossija (1859), p. 63. Cfr. Poslanie k Poljakam (1861), pp. 66-74, dove Pogodin ribadiva la possibilità di restaurazione della Polonia entro i suoi confini linguistici.

52 Cfr. R. VUL‘PIUS, Jazykovaja politika v Rossijskoj imperii i ukrainskij perevod Biblii (1860-1906), ―Ab

Imperio‖, 2005, 2 (http://abimperio.net/cgi-

47 Dopo la guerra di Crimea, evento tradizionalmente considerato dalla storiografia come cesura fondamentale nello sviluppo dell‘autocoscienza nazionale russa53

, la visione di Pogodin sul ruolo della Polonia mutò sensibilmente. Lo storico russo, che definiva l‘epoca iniziata con la disfatta di Crimea come il tempo della presa di coscienza (period soznanija), punto di partenza per la creazione di una consapevolezza nazionale russa, si presentava coscientemente come innovatore rispetto al pensiero ufficiale riflesso nel ―programma‖ di Karamzin, fino ad allora considerato norma inderogabile per i sovrani russi: ―Sono passati cinquant‘anni. La situazione è cambiata. È iniziata una nuova epoca, con nuove idee, nuovi modelli, nuove esigenze‖54

. Pogodin ipotizzava ora un ruolo, e di portata rilevante, per la Polonia all‘interno dell‘Impero russo, chiamando i polacchi ad una riconciliazione con la Russia e tutto il mondo slavo:

La Polonia è stata per la Russia un pericoloso tallone d‘Achille: la Polonia deve diventare il suo punto di forza. La Polonia ha allontanato da noi l‘intero mondo slavo: la Polonia deve riavvicinarlo a noi. A causa della Polonia ci siamo scontrati con i principali interlocutori europei: attraverso la Polonia dobbiamo riconciliarci con loro. […] Ferma restando l‘unità indivisibile con l‘Impero russo, sarebbe auspicabile che, sotto lo scettro dello stesso Sovrano e il governo di un viceré, venga concessa alla Polonia la possibilità di autogovernarsi, così come le conviene, secondo la sua storia, la sua religione, il suo carattere nazionale e le necessità del momento presente55.

La visione di una Polonia saldamente incorporata all‘Impero può essere messa in relazione all‘immagine proposta da Alessandro II durante la sua prima visita nel Regno di Polonia nel 1856. A Varsavia il giovane imperatore tenne un discorso, divenuto in seguito una pietra miliare nei rapporti russo-polacchi, in cui dichiarava le proprie intenzioni di governo in assoluta continuità con la politica condotta dal padre nei confronti dei sudditi polacchi. Al contempo raffreddava (―point de rêveries!‖) le aspettative di parte della nobiltà polacca, auspicando una completa ―fusione‖ (slijanie) della Polonia con gli altri popoli dell‘Impero. La storiografia non è riuscita a fornire una interpretazione chiara e univoca di cosa lo zar intendesse parlando di slijanie; appare evidente che il giovane sovrano fosse intenzionato a garantire uno status di relativa autonomia al Regno di Polonia, come dimostrerebbero le concessioni rese ai polacchi, in particolare con l‘Accademia di Medicina e Chirurgia del 1857, preludio alla Scuola Superiore sorta nel 1862; al contempo, tuttavia, sembrano esserci notevoli analogie con i concetti espressi da Pogodin, fatto che starebbe a dimostrare la vicinanza dell‘intellettuale agli ambienti ufficiali e la possibile influenza da questi esercitata sullo zar. Se si confronta quindi ciò che lo zar avrebbe detto a N.A. Miljutin durante l‘udienza in cui Alessandro II chiese all‘ideologo della riforma agraria di dedicarsi all‘opera

53

In questa direzione si conferma anche la recente storiografia polacca. Cfr. H. GŁĘBOCKI, Imperium Rosyjskie wobec kwestii narodowych a problem ewolucji rosyjskiej idei narodowej (w epoce wojny krymskiej), in J.W. BOREJSZA, G.P. BĄBIAK (a cura di), Polacy i ziemie polskie w dobie wojny krymskiej, Warszawa, Polski Instytut Spraw Międzynarodowych, 2008, pp. 28-62.

54

Cfr. M.P. POGODIN, Zapiska o Pol‘še (1856), p. 60. Cfr. anche Pol‘ša i Rossija (1859), pp. 61-64.

55 «Польша была для России самою уязвимою, опасною пяткою: Польша должна сделаться крепкою ее рукою. Польша отдаляла от нас весь славянский мир: Польша должна привлечь о нам. Польшею мы поссорились с лучшею европейскою публикою: Польшею мы должны и примириться с нею. [...] Дайте ей особое, собственное управление. Оставаясь в нераздельном владении с империей Российской, под скипетром одного с нею Государя, с его наместником, пусть управляется Польша сама собою, как ей угодно, соответственно с ее историей, религией, народным характером, настоящими обстоятельствами», Zapiska o Pol‘še (1856), p. 54. Cfr. Anche altre analoghe affermazioni di Pogodin, come ad es.: «На что нам географические границы? Лишь былоб хорошо вам и нам! Больше желать нечего: это было бы глупо. Чем просторнее, тем лучше. Русские в Польше, Поляки в России, вплоть до Восточного Океана и Гиммалайских гор! Национальность выражается в языке, истории, литературе, пожалуй, в религии, в именах, в личностях. На что границы для настоящего времени? ... Польша и Россия — это сила, необоримая в Европе! Ее-то и боятся все друзья и недруги, ваши и наши!», M.P. POGODIN, Poslanie k Poljakam, p. 69.

48 riformatrice in Polonia dopo il gennaio 1863, si riscontrano notevoli analogie con i concetti espressi da Pogodin già prima della guerra di Crimea. Si nota in particolare l‘assonanza circa l‘impossibilità, argomentata dallo zar, di concedere piena autonomia alla Polonia, vista la sua incapacità di autogovernarsi e di indurre i polacchi ad abbandonare le pretese di allargare la propria influenza sulle terre ucraino-lituano-bielorusse56. Appare evidente pertanto una certa comunanza di vedute tra lo zar e alcuni dignitari e opinionisti russi sul ruolo della Polonia nell‘Impero russo, vista la sua inadeguatezza ad un governo indipendente, che, come vedremo nel capitolo IV sarebbe stata teorizzata all‘indomani del gennaio 1863 da Samarin, ideologo delle riforme nel Regno di Polonia.

Poslanie k Poljakam di Pogodin, scritta in reazione ai disordini di Varsavia del 1861, era

rimasta inedita. L‘autore era pienamente cosciente del potenziale contenuto nell‘articolo, in cui per la prima volta non solo trattava gli elementi del discorso nazionalistico russo etno- confessionale, o, come si esprimeva lo stesso autore, ―umori e idee non ufficiali‖ (neoficial‘nych čuvstv i myslej), su un piano teorico, ma invitava apertamente all‘applicazione pratica di tali principî. Pogodin invocava quindi non solo la libertà di espressione sui temi

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