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La cittadinanza europea come competenza degli Stati membri

di Tanja Cerruti

2.5. La cittadinanza europea come competenza degli Stati membri

La possibilità di considerare rilevanti per il diritto dell’Unione e, in particolare, per i diritti di cittadinanza europea, determinate situazioni indipendentemente dall’attra-versamento di confini, introduce al secondo quesito richiamato in apertura e cioè se sia opportuno che gli Stati membri dell’Unione, nell’esercizio del potere sovrano (Kunoy 2006, p. 187) di determinare le modalità per l’acquisto e la perdita della loro cittadinan-za nazionale, debbano rispettare delle regole o dei principi comuni, alla luce del fatto che al possesso della cittadinanza nazionale consegue quello della cittadinanza europea28. In riferimento a questo aspetto, la giurisprudenza comunitaria mostra sin dall’inizio una certa apertura.

27 Dato l’esito della prima questione, la seconda non viene presa in esame. In senso analogo v. anche Dereci e altri contro Bundesministerium für Inneres, C-256/11, del 15 novembre 2011, in cui la Corte ribadisce che il diritto dell’Unione, per quanto in particolare concerne le disposizioni sulla cittadinanza, non osta al diniego, opposto da uno Stato membro dell’UE, del permesso di soggiorno ad un cittadino di uno Stato terzo, quando tale cittadino sia intenzionato a risiedere con un suo familiare, cittadino dell’Unione e dello Stato membro in questione, il quale non ha mai fatto uso del suo diritto alla libera circolazione, purché tale diniego non com-porti, per il cittadino dell’Unione interessato, la privazione del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino UE, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Mentre in McCarthy la stessa Corte aveva appurato che non sussisteva una violazione dei diritti di cittadinanza, in Dereci la valutazione è rimessa al giudice nazionale.

Nel 1992 (prima che il Trattato di Maastricht entrasse in vigore) la Corte si trova davanti al caso di un odontoiatra di nazionalità italo-argentina che chiede di ottenere la tessera di residente comunitario per poter esercitare la sua professione in Spagna29. Le autorità iberiche gli negano il permesso sulla base del fatto che la legislazione del loro Paese, nei casi di doppia cittadinanza diversi da quella spagnola, prevede la prevalenza della cittadinanza corrispondente alla residenza abituale dell’interessato prima del suo arrivo in Spagna quindi, nel caso di specie, di quella argentina. Il giudice del rinvio chiede alla Corte di valutare se le disposizioni comunitarie sulla libertà di stabilimento ostano a che uno Stato membro neghi ad un cittadino di un altro Stato membro, che abbia anche la cittadinanza di uno Stato terzo, il diritto di avvalersi di tale libertà in quanto la sua legislazione lo considera come cittadino dello Stato terzo.

Il Giudice di Lussemburgo, ribadendo che la determinazione dei modi di acquisto e perdita della cittadinanza è competenza degli Stati membri, afferma che questi la devono esercitare nel rispetto del diritto comunitario, precisando altresì che uno Stato membro non può limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendendo un requisito ulteriore – in questo caso, la residenza abituale – per riconoscere le libertà previste dal Trattato.

Adottata nel 1992, la pronuncia in esame risulta particolarmente significativa in quanto, benché gli Stati membri, nella fase di preparazione del Trattato di Maastricht, stessero ponendo dei baluardi molto netti alla propria competenza in materia di cittadinanza (v. supra, § 2), essa afferma che questa dev’essere esercitata “nel rispetto del diritto comunitario”.

Alcuni anni dopo la Corte deve accertare se dalla normativa europea si può ricavare il diritto di soggiorno, per un periodo indeterminato, nel territorio di uno Stato mem-bro diverso da quello di cui ha la cittadinanza per un cittadino europeo in tenera età e per il genitore che se ne occupa ma che è cittadino di uno Stato terzo, posto che i due soddisfino i requisiti economici previsti dalla normativa comunitaria30.

Nel caso specifico, la signora Chen, cinese ma da tempo residente nel Regno Unito, sceglie di partorire la propria secondogenita in Irlanda, sapendo che la bambina acqui-sterà così la cittadinanza di quel Paese. Tornata nel Regno Unito, Chen vi richiede un permesso di soggiorno di lunga durata, che le viene negato sulla base del fatto che la bambina è stata fatta nascere in Irlanda con il preciso fine di aggirare fraudolentemente la legislazione inglese, che non consente l’ottenimento della cittadinanza ius soli.

Come nel 1992, la Corte ribadisce che la determinazione delle modalità di acquisto e perdita della cittadinanza è una prerogativa statale, da esercitare nel rispetto del diritto comunitario e che uno Stato membro non può limitare gli effetti della cittadinanza concessa da un altro Stato membro richiedendo condizioni ulteriori.

28 L’autore citato nel testo ricorda che alcuni ritengono non opportuno che gli Stati membri decidano autonomamente chi possa beneficiare dei diritti comunitari, ma afferma che non potrebbe essere altrimenti, dal momento che la cittadinanza europea discende solo da quella nazionale, la cui determinazione rimane una delle prerogative della sovranità.

29 Mario Vicente Micheletti e altri contro Delegacion del Gobierno en Cantabria, C-369/90, del 7 luglio 1992.

30 Kunqian Catherine Zhu e Man Lavette Chen vs Secretary of State for the Home Department, C-200/02, del 19 ottobre 2004.

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Nel caso specifico la Corte, data la disponibilità, da parte delle richiedenti, di “risor-se sufficienti affinché il cittadino minore non diventi un onere per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante”31, dichiara che al minore stesso spetta il diritto di soggiorno a durata indeterminata, non potendo questo essere limitato dallo Stato membro interessato per il solo fatto che serve a procurare un diritto di soggiorno anche a un cittadino di uno Stato terzo, cioè la madre. Lo stesso diritto di soggiorno deve poi essere riconosciuto anche alla madre in quanto genitore affidatario. Se la madre dovesse infatti lasciare il Regno Unito, la bambina, affidata alle sue cure, sarebbe costretta a seguirla e verrebbe così privata dei suoi diritti di cittadinanza europea.

Il caso in esame risulta tuttavia significativo non solo in quanto ribadisce il principio di conformità al diritto comunitario della legislazione nazionale sulla cittadinanza ma an-che perché sembra estendere l’ambito di applicabilità dei diritti di cittadinanza europea ratione personae, includendovi, pur solo in particolari condizioni, cittadini di Stati terzi.

Un ulteriore tassello in materia di cittadinanza è posto dalla Corte nel 2010, in occasione del caso Rottmann. Cittadino austriaco accusato in patria di un reato, Rott-mann chiede la naturalizzazione in Germania, ove già si era trasferito, senza dichiarare però i suoi precedenti penali. Ottenuta la cittadinanza tedesca, Rottmann perde quella della madrepatria, la cui legislazione non consente il possesso della doppia cittadinan-za. Poco tempo dopo le autorità tedesche, informate da quelle austriache, revocano la naturalizzazione, in quanto era stata ottenuta con la frode. L’interessato ricorre allora contro la revoca e il giudice tedesco sottopone la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, chiedendole, in particolare, se il diritto comunitario osta alla conseguenza giuridica della perdita della cittadinanza dell’Unione derivante dal fatto che la revoca (legittima ai sensi del diritto nazionale tedesco) di una naturalizzazione ottenuta con la frode, in combinazione con la normativa nazionale sulla cittadinanza di un altro Stato membro, produce l’effetto di rendere apolide l’interessato.

Di fronte all’obiezione che la questione riguarda esclusivamente il diritto interno di uno Stato membro, la Corte risponde invece che essa rientra nel diritto dell’Unione, dal momento che concerne la perdita dello status di cittadinanza europea, “destinata ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri”32 ed i diritti ad esso correlati.

Nel merito, pur dando atto che la revoca della naturalizzazione a motivo di atti fraudolenti risponde ad un’esigenza di pubblico interesse, il giudice del rinvio è tenuto a valutare se tale revoca rispetti il principio di proporzionalità quanto alle conseguenze che determina, per l’interessato, rispetto al diritto dell’Unione. Il diritto dell’Unione, conclude la Corte, non osta quindi al provvedimento, purché esso sia adottato nel rispetto del principio di proporzionalità. In questo caso, il giudice europeo non incide direttamente sulla posizione giuridica soggettiva che è all’origine del processo a quo, ma indica al giudice nazionale il principio secondo cui procedere.

La pronuncia Rottmann è importante in quanto, come anticipato sopra, ribadisce l’importanza del principio di proporzionalità nel rapporto fra cittadinanza europea e cittadinanza nazionale.

31 Tale requisito era previsto dalla normativa comunitaria secondaria.

32 V. Grzelczyk, § 4.

Secondo alcuni, essa dimostra che esiste un livello di protezione dei cittadini dell’Unione che non può essere toccato neanche dalla legislazione nazionale (Safjan 2012, p. 447) e che alcune delle anomalie della cittadinanza europea possono trovare soluzione grazie al principio di proporzionalità (Morris 2011, p. 435). Risulta però poco convincente l’affidamento del test della proporzionalità al giudice nazionale, il quale sarà più incline a considerare le esigenze del suo stato di appartenenza che i diritti derivanti dall’art. 20 TFUE (Morris 2011, p. 432). Secondo altre opinioni, pur favore-voli ad una maggiore “emancipazione” della cittadinanza europea, la sentenza in esame avrebbe ribaltato il rapporto fra cittadinanza nazionale e cittadinanza europea, facendo divenire la prima dipendente dalla seconda e non viceversa. Essa risulterebbe inoltre contraddittoria in quanto da un lato afferma che la cittadinanza è dominio riservato di uno Stato membro33, dall’altro garantisce al diritto UE un’influenza più o meno diretta su tale dominio (D’Oliveira 2011, p. 147).

In risposta all’interrogativo posto in apertura di paragrafo si può quindi affermare che nell’ordinamento europeo sono presenti dei principi comuni che devono guidare le decisioni degli Stati membri sulla cittadinanza nazionale in quanto questa è condizione essenziale per il godimento di quella europea e dei relativi diritti. Questi principi, enunciati sin dal 1992 nella formula, piuttosto vaga, di “rispetto del diritto comu-nitario”, sono stati declinati, nel caso Rottmann, nel principio di proporzionalità. Si potrebbe infine affermare che la competenza statale in oggetto incontra degli ulteriori limiti o, meglio, delle linee guida nei principi generali del diritto dell’UE, come la leale collaborazione, il rispetto dei diritti fondamentali e il legittimo affidamento (Cambien 2012, p. 14, s) e che tali limiti potrebbero forse trovare ulteriore esplicitazione in futuro non solo attraverso l’attività ermeneutica della Corte.