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La realtà europea come opportunità formativa

di Gabriella Boeri

11.2. La realtà europea come opportunità formativa

La dialettica fra Paesi fa emergere un panorama complesso e multiforme, caratteriz-zato da significative differenze: la realtà europea, dal punto di vista delle opportunità di istruzione, formazione e lavoro, è ancora solo virtualmente fruibile in senso globale, a causa della mancanza di trasparenza di titoli e qualifiche e della carenza di disposizioni che permettano ai cittadini di trasferire le proprie competenze da un sistema all’altro.

Per far fronte a questa situazione e con l’idea guida di realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente (lifelong learning), le linee di principio definite a Li-sbona108 sono state progressivamente tradotte in obiettivi concreti:

- incoraggiare la mobilità e l’apprendimento permanente attraverso la messa in traspa-renza di titoli, qualifiche e competenze;

- migliorare la qualità dei sistemi di Istruzione e Formazione Professionale;

- favorire l’accesso personalizzato di tutti i cittadini ai percorsi di istruzione e forma-zione superiore attraverso il riconoscimento e la validaforma-zione dell’apprendimento non formale e informale;

- facilitare il trasferimento dei risultati dell’apprendimento da un sistema all’altro;

- definire un codice di riferimento comune per i sistemi di istruzione e formazione basato sui risultati dell’apprendimento.

Posso pertanto testimoniare come un lungo percorso sia stato fatto proprio nella percezione dell’Europa anche nel mio lavoro di progettista in ambito IeFP (Istruzione e Formazione Professionale) da quella prima esperienza di “scambio culturale” ad oggi.

108 Consiglio europeo di Lisbona, 23, 24 marzo 2000 – Strategia di Lisbona.

Allora ci si affacciava su un mondo percepito molto “esterno”, elemento di confronto poco competitivo perché “altro”, troppo “diverso” per immaginare un progetto con risorse e obiettivi comuni, oggi invece prevale la consapevolezza di essere “dentro”, inseriti cioè in un “sistema Europa”, non sempre “friendly”, ma che ci consegna obiettivi importanti, condivisibili anche se non sempre condivisi e supportati dall’asset socio-economico e politico del nostro Paese.

In questa discrasia tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è la nostra realtà, che ci col-loca quasi sempre in fondo alle graduatorie degli Stati europei virtuosi, che ci restituisce numeri spesso lontani dalla “media europea”, si concentra lo sforzo, l’impegno, il lavoro per recepire le stesse Raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio, per ratificare le Convenzioni e quindi attuare riforme, introdurre nuovi dispositivi legislativi, assumere decisioni che man mano ci avvicinino agli obiettivi e soprattutto permettano di tracciare percorsi per migliorare la qualità della vita delle persone. Solo questo risultato concreto e facilmente riconoscibile può evitare di dare spazio ai facili sfoghi antieuropeisti che si sviluppano in modo esponenziale nella crisi, nel momento in cui nulla cambia o meglio tutto viene percepito come vincolo, come “riduzione” e non come opportunità e occasione di ripensamento dei modelli di sviluppo adottati, in sintesi come un pesante aggravio senza compensazioni.

Investire in Europa vuole anche dire saper comunicare l’Europa, ovvero con l’U-nione Europea, rendere più “prossimi”, più vicini i cittadini europei, formare una cit-tadinanza europea che proprio oggi in un risveglio di nazionalismi e populismi stenta a decollare o meglio rischia di naufragare prima di aver iniziato la navigazione in mare aperto.

L’importanza di raccogliere questa sfida cominciando dalle nuove generazioni, promuovere percorsi di istruzione e formazione di respiro europeo, in cui fin dal primo ciclo di istruzione venga curata la lingua straniera come veicolo di comunicazione e la pratica di una cittadinanza senza barriere per favorire un cambio culturale che faciliti l’inclusione sociale del “diverso” da noi, il riconoscimento dell’alterità nella sua dimensione di ricchezza e non di sottrazione. La possibilità di alternanza di periodi di studio e di stage, di tirocini orientativi e formativi, di apprendistato in un territorio più ampio, nell’Unione europea, non solo per le eccellenze universitarie, ma anche nelle professioni e nell’ambito delle qualifiche per rendere meno “occasionale” il viaggio/

scambio, la partecipazione a un progetto FSE può davvero permettere il consolidamento dell’esperienza formativa e l’acquisizione di nuove competenze, il potenziamento del curriculum e del bagaglio culturale del giovane attraverso l’assorbimento di modelli sociali diversi dai propri.

In particolare, per quei NEET (Not in education, employment or training), giovani che non studiano e non lavorano, in Italia risultano in questa condizione oltre il 27%

delle persone tra i 15 ei 34 anni, secondo l’ultima rilevazione Istat: si tratta di una vera e propria emergenza sociale che ci interroga come sistema di istruzione e formazione soprattutto per quanto riguarda la prevenzione degli abbandoni precoci È chiaro che non si può addossare tutta la responsabilità della dispersione solo al sistema educativo, trattandosi di un problema sociale di più vasta portata. Per rendersene conto basta dare un’occhiata alla recente ricerca dell’OCSE (2013) sulla correlazione tra abbandono scolastico, bassa scolarizzazione e condizioni sociali sfavorevoli.

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Ricordiamo che la mission della scuola per Don Milani era in sintesi dare di più a chi ha di meno, poiché “se si perdono loro (i ragazzi difficili), la scuola non è più scuola, è come un ospedale che cura i sani e respinge gli ammalati”. La formazione professionale piemontese in questi anni ha cercato di fare la sua parte anche allargando i “confini” con le risorse del FSE, partecipando attivamente ai programmi europei, come testimoniano le esperienze raccolte in questa sezione, nella convinzione di dover offrire ai propri destinatari il meglio dal punto di vista dell’innovazione metodologica nella didattica, dell’aggiornamento dei docenti-formatori e dell’innovazione tecnolo-gica nei laboratori professionalizzanti. Ridurre il numero di coloro che abbandonano precocemente gli studi significa sostenere e rinforzare lo sviluppo economico e sociale e dunque avere più vicini gli obiettivi chiave della strategia Europa 2020: crescita intel-ligente, sostenibile, inclusiva.

Per tutti credo che il riconoscimento del proprio ruolo di cittadini europei comun-que debba passare da una seria riconsiderazione del bene “comune”, parola molto abu-sata e privata del suo intrinseco valore in un Paese attraversato da una profonda crisi di quelle istituzioni politiche che avrebbero dovuto in primis occuparsi della gestione di questo “bene” e non di altri interessi. Recuperare e sviluppare strategie per fronteggiare i crescenti “individualismi”, ricostruire la comunità civile: oggi abbiamo molte com-munity, molte aggregazioni virtuali, ma poche comunità autentiche in cui la persona sia al centro. Protagonista e non oggetto, rispettata per quello che è, non per quello che vale e produce. E una comunità è fatta di cura per l’altro, solidarietà, rispetto e senso delle regole, ripristino della legalità: è dunque urgente riscoprire l’orizzonte della “po-lis” e frenare la corsa verso l’imbarbarimento delle relazioni interpersonali per ritrovare il senso di una cittadinanza attiva.

12. Profilo di allievi/e italiani e