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4.1. Premessa

Negli ultimi decenni, a partire, a livello europeo, dal Libro bianco Crescita.

Competitività. Occupazione di Jacques Delors del 1993 e, nell’ordinamento naziona-le, dalle riforme amministrative della pubblica amministrazione degli anni Novanta, è divenuta sempre più evidente alle istituzioni pubbliche la necessità di inserire tra le proprie priorità l’emergenza economica e sociale dell’Unione Europea e degli Stati membri che ad essa appartengono.

In questo contesto ha assunto significativa rilevanza l’esigenza di cambiare la fun-zione dell’istrufun-zione, intesa tanto come educafun-zione scolastica che come formafun-zione professionale. Un sistema di istruzione, che integri in sé entrambi i settori formativi, e che sappia dunque unire il momento pedagogico con quello professionalizzante e addestrativo, è infatti ritenuto capace, in primo luogo, di coadiuvare la formazione della personalità degli individui e, in secondo luogo, di rispondere alle esigenze occu-pazionali, economiche e finanche sociali dell’epoca contemporanea.

Il diritto ad una formazione professionale, in quanto diritto sociale, e le conse-guenti politiche in materia di istruzione e formazione professionale, hanno dunque assunto, in particolare in ambito europeo, un rinnovato ruolo: sono divenuti “veicoli”

di inclusione, di protezione, di non discriminazione. Sono stati giustamente ritenuti, così, strumenti di elevazione, prima di tutto morale, ma poi anche professionale, eco-nomica e, soprattutto, sociale, della persona in quanto tale.

La formazione, nella duplice natura di diritto soggettivo dell’individuo e di stru-mento per la sua realizzazione sociale (Torretta, 2003, p. 1023), è quindi divenuta viep-più settore prioritario di intervento dei pubblici poteri, in quanto idonea a consentire lo sviluppo della coesione economica e sociale europea (Cocconi, 2006, p. 375 ss.) e, non ultimo, a dare nuovo contenuto al diritto di cittadinanza europea.

Il presente contributo si propone dunque principalmente di analizzare l’esistenza di un diritto alla formazione nell’ordinamento europeo e lo sviluppo di politiche europee indirizzate alla riqualificazione professionale e all’integrazione dei sistemi di istruzione e formazione professionale. Si avrà così modo di evidenziare come, pur non poten-do attualmente dirsi esistente uno Stato sociale europeo, l’utilizzo di un metopoten-do di

coordinamento aperto tra Istituzioni europee e Stati membri abbia contribuito all’accrescimento di un processo di armonizzazione delle politiche nazionali in materia di formazione, secondo obiettivi condivisi e concordati tra l’Unione e gli Stati membri.

Si intende poi esaminare se, ed in che modo, tali politiche abbiano influito rispetto al nostro sistema nazionale di istruzione e formazione professionale. L’affermazione in Costituzione del diritto sociale alla formazione professionale è infatti rimasta a lungo disattesa sul piano della attuazione legislativa. Le politiche europee hanno tuttavia co-stituito una “spinta” (Poggi, 2007, p. 26) per un rinnovamento del sistema nazionale dell’istruzione e della formazione professionale, contribuendo, da un lato, a dare nuovo contenuto al diritto soggettivo alla formazione professionale e, dall’altro, a riformare la ripartizione costituzionale delle competenze legislative e amministrative di Stato, Regioni e Istituzioni scolastiche, nonché a rinnovati interventi normativi statali e regionali.

La cooperazione sviluppatasi in ambito europeo potrebbe inoltre costituire, a livello nazionale, un valido modello di rapporti che dovrebbero instaurarsi tra i diversi soggetti che intervengono nel settore della formazione professionale (Cocconi, 2004), favorendo l’affermarsi unitario del diritto alla formazione e, al tempo stesso, l’integrazione tra sistema dell’istruzione e quello della formazione professionale.

4.2. La Formazione Professionale nell’ordinamento europeo

La Formazione Professionale costituisce, sin dal Trattato di Roma del 1957, uno degli ambiti privilegiati di riflessione e di azione delle politiche comunitarie volte alla creazione di un’Europa sociale. Sebbene infatti, in origine, l’Unione Europea abbia per-seguito finalità prettamente politiche ed economiche, essa ha comunque riconosciuto sin da principio anche il settore della formazione professionale quale utile strumento di politica attiva del mercato del lavoro, capace di favorire l’adattamento alle trasforma-zioni socio-economiche, la promozione delle pari opportunità e la libertà di circolazio-ne non solo dei lavoratori, ma, più in gecircolazio-nerale, delle persocircolazio-ne.

L’art. 128 dell’originario Trattato di Roma, invero, affidava al Consiglio europeo il potere di stabilire “principi generali per l’attuazione di una politica comune di forma-zione professionale” volta a “contribuire allo sviluppo armonioso sia delle economie nazionali, sia del mercato comune”. Tale disposizione aveva peraltro suscitato alcu-ni dubbi interpretativi circa il riparto di competenze tra Stati membri e Comualcu-nità europea (Della Morte, 1996) e la Corte di Giustizia34, adita sul punto in più occasioni, aveva sostenuto un’interpretazione estensiva della norma, consentendo alle Istitu-zioni comunitarie, la facoltà – finalizzata a conferire maggiore effettività al principio della libera circolazione delle persone – di emanare atti vincolanti per gli Stati membri nell’ambito della formazione professionale e, dunque, conseguenti obblighi di coope-razione in capo a questi.

34 Cfr. C. Giustizia Ce, 30 maggio 1989, causa 242/87, Commissione c. Consiglio; C. Giustizia Ce, 30 maggio 1989, causa 56/88, Regno Unito c. Consiglio; C. Giustizia Ce, 11 giugno 1991, cause riunite 51/89, 90/89 e 94/89, Regno Unito c. Consiglio, Francia c. Consiglio e Germania c. Consiglio.

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I “principi generali” di cui all’art. 128 furono in particolare definiti nella Decisione n. 63 del 1963 del Consiglio europeo35, il quale, fondandosi sulla premessa che la formazione costituisce diritto fondamentale di ogni persona, stabilì che gli Stati membri dovessero tendere a realizzare anzitutto le condizioni per rendere effettivo tale diritto per tutti.

Con il successivo Trattato di Maastricht si intese definire più opportunamente la questione del riparto di competenze in materia di formazione professionale, adottando quella che, anche in seguito al Trattato di Lisbona, risulta essere l’attuale formulazione dell’art. 166 (ex art. 150 TCE). Alle Istituzioni europee è riconosciuta la facoltà di attuare “una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi per quanto riguarda il contenuto e l’organizzazione della formazione professionale”. L’ordinamento europeo assume così in quest’ambito materiale – inscindibilmente connesso a quello dell’istruzione e della cultura36 – un ruolo meramente “complementare” (Faro, Ferraro, 2007, p. 1115) rispetto agli Stati membri. All’Unione spetta infatti individuare obiettivi37 ritenuti prioritari per le politiche europee, mentre sono salvaguardate le prerogative nazionali in forza della esplicita esclusione di “qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”.

È pur vero che l’ambito della formazione professionale, a differenza di quello dell’istruzione, potrebbe prestarsi più facilmente ad una politica europea vincolan-te e coercitiva: essa contribuirebbe infatti a diminuire il divario di sviluppo tra Stati membri e non necessariamente implicherebbe una dispersione di patrimoni culturali, linguistici ed etnici (Poggi, 2002, p. 795). Peraltro si ritiene che sarebbe del tutto irra-gionevole un’azione europea volta ad una piena uniformità e omologazione dei sistemi formativi, in quanto la formazione professionale deve oramai essere intesa, non solo in ambito europeo ma – come si avrà modo di esaminare – finanche nell’ordinamento interno, come settore materiale che si integra pienamente con quello dell’istruzione e che dunque, non potendo nettamente distinguersi da questa, porta imprescindibil-mente con sé differenze tra Stati membri che debbono essere preservate.

Si noti come l’art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione38 riconosca il diritto “all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua”.

35 Decisione Consiglio europeo del 2 aprile 1963 n. 63/266/CEE, in GU C del 20.04.1963, p. 1338/63.

36 L’art. 166 TFUE risulta infatti inserito in un apposito Capo del Trattato dedicato alla «Istruzione, formazione professionale, gioventù e sport».

37 Obiettivi dell’Unione rispetto al sistema della formazione professionale sono, in particolare, facilitare l’ade-guamento alle trasformazioni industriali, soprattutto attraverso la formazione e la riconversione professionale;

migliorare la formazione professionale iniziale e la formazione permanente, per agevolare l’inserimento e il reinserimento professionale sul mercato del lavoro; facilitare l’accesso alla formazione professionale e favorire la mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani; stimolare la cooperazione in materia di formazione tra istituti di insegnamento o di formazione professionale e imprese; sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di formazione degli Stati membri.

38 Le origini dell’art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, approvata a Nizza nel 2000, risalgono peraltro all’art. 15 della Carta comunitaria dei diritti fondamentali dei lavoratori del 1989 e all’art. 10 della Carta sociale europea del 1961, riveduta nel 1996.

È dunque evidente come nella Carta di Nizza si siano considerate l’istruzione e la formazione professionale “come oggetto di un diritto sostanzialmente unitario”

(Demuro, 2001, p. 121), che deve inoltre essere inteso – in quanto attribuito all’“individuo” e in quanto definito come “fondamentale” – come diritto naturale e universale, che prescinde dalla condizione di cittadino comunitario. Lo sviluppo della personalità dell’individuo avviene quindi non tanto o, meglio, non solo mediante l’istruzione, quanto soprattutto per mezzo del sistema integrato dell’istruzione e formazione professionale, il quale diviene fattore caratterizzante il modello di integra-zione sociale che si intende raggiungere in ambito europeo (Cocconi, p. 2003).

Ancor prima dell’adozione della Carta di Nizza, inoltre, la Corte di Giustizia aveva già contribuito a sostenere la tesi dell’integrazione tra il sistema educativo e quello della formazione professionale, in particolare quando, con la nota sentenza Gravier39, avevainteso ampliare la nozione di formazione professionale, intendendovi “qualsiasi forma di insegnamento che prepari ad una qualificazione per una determinata profes-sione, un determinato mestiere o una determinata attività, ovvero conferisca la parti-colare idoneità ad esercitare tale professione, mestiere o attività […] qualunque sia l’età ed il livello di preparazione degli alunni o degli studenti, e anche se il programma di insegnamento comprende una parte di educazione generale”.

Se dunque inizialmente la formazione professionale si configurava all’interno dell’ordinamento comunitario come finalizzata esclusivamente all’attuazione della libera circolazione dei lavoratori e, quindi, le politiche comunitarie apparivano perlopiù dirette a favorire il riconoscimento tra gli Stati delle qualifiche professionali, dopo Maastricht, e in seguito al riconoscimento esplicito di un diritto all’istruzione e alla formazione professionale, nonché all’utilizzo ad opera della Corte di Giustizia di una nozione ampia di formazione professionale, questa diviene a pieno titolo diritto sociale di cittadinanza, finalizzato a ridurre le diseguaglianze di opportunità all’interno della società civile europea, a favorire le opportunità di libertà e di emancipazione degli individui, ad accrescere la mobilità dei cittadini dell’Unione e, in ultima analisi, la coesione sociale.

Il percorso di ricerca di un’integrazione sociale europea nel settore dell’istruzione-formazione professionale è iniziato in particolare, e con una certa evidenza, a partire dal 1995, sotto la Presidenza Delors, con l’adozione del Libro bianco Insegnare ed apprendere – Verso la società cognitiva. Muovendo dalla constatazione che nella società moderna sono incrementate notevolmente le possibilità di ciascun individuo di accedere all’informazione ed al sapere e che, al tempo stesso, e di conseguenza, la posizione di ciascuno nella società verrà determinata dalle conoscenze che avrà acquisito, il documento pose l’ambizioso obiettivo della costruzione di una società conoscitiva.

Si intendeva, in particolare, innalzare il livello generale delle conoscenze mediante il riconoscimento a livello europeo delle competenze tecniche e professionali, una più agevole mobilità degli studenti, l’avvicinamento del sistema scolastico al mondo delle imprese e con l’inizio di una battaglia contro l’emarginazione e l’abbandono scolastico.

Questi obiettivi indussero dunque a riflettere su, e a istituire, un’effettiva integrazione

39 Cfr. C. Giustizia Ce, 13 febbraio 1985, causa 293/85, Gravier.