L’idea di cittadinanza – come education for democratic citizenship oppure active citizenship – assume oggi un significato particolarmente rilevante soprattutto sul versante educativo e valoriale (Hoskins & Ridley, 2013). Al tempo stesso, il concetto di coesione sociale ha len-tamente sostituito sul piano sociologico la più consolidata idea di integrazione sociale come anche quella di solidarietà (Dubet, 2013). Come insegna Dubet (2013), non si tratta di mera moda terminologica, ma di un “cambiamento fondamentale nel pensiero sociale e politico”
(p. 141). Mentre l’integrazione indicava l’ordine sociale e culturale che governa le pratiche dei singoli attori sociali, la coesione implicherebbe un meccanismo specularmente opposto, di aggregazione e coordinamento prodotto dalle stesse pratiche sociali. Mentre l’integrazione è imposta dall’alto, la coesione emerge dal basso come un effetto o prodotto di pratiche “vir-tuose” che generano coesione sociale (Dubet, 2013).
Negli studi comparativi, forme differenti di coesione sociale vengono attualmente descrit-ti come “regimi” (Green et al, 2009; Green & Janmaat, 2011). Secondo Green, tali regimi sono “configurazioni di attitudini sociali e comportamenti relativamente stabili (ma non immutabili) che contribuiscono a rinsaldare socialmente la società nel suo insieme e le quali sono sorrette da specifiche configurazioni istituzionali” (Green, 2009 in Han et al, 2013).
Tre regimi di coesione sociale vengono così identificati: il regime liberal, associato ai paesi di lingua inglese, il regime del mercato sociale prevalente in sei paesi dell’Unione Europea e il regime social democratico tipico dei paesi scandinavi.
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Vari studi hanno indagato il nesso tra le proprietà dei sistemi educativi, quali il curricolo, la selezione precoce, l’autonomia scolastica o il sistema di educazione professionale, e la coesione sociale. In altre parole, gli studi comparativi si stanno preoccupando delle conseguenze macro-sociali dei sistemi educativi. Mentre il nesso con le performances scolastiche è piuttosto chiaro, gli esiti degli studi finora condotti sul versante delle conseguenze per la coesione sociale sono piuttosto contradditori (Janmaat et al, 2013). Tuttavia, il filone di studi che indaga gli esiti socio-politici dei sistemi scolastici è agli inizi e quindi sarebbe del tutto prematuro concludere che i sistemi di educazione pubblica, come strutture, organizzazione e curricolo, non abbiano alcun ruolo da giocare nel rafforzare la coesione sociale (Janmaat et al, 2013).
In parole più semplici, l’innalzamento dei livelli di istruzione non produrrà di per se livelli più alti di coesione sociale, tolleranza o partecipazione politica e cittadinanza democratica. Al tempo stesso, la distribuzione delle abilità e qualificazioni (e non i livelli aggregati) riscontra un impatto negativo sulla coesione, attraverso un aumento dell’ansietà e dello stress sociali, della distanza sociale tra gruppi socio-economici.
Gli studi comparativi hanno finora chiaramente dimostrato che l’educazione incide sulla coesione in modo indiretto, attraverso i suoi legami con altri ambiti sociali, in particolare con il mercato del lavoro. Alcune notevoli eccezioni in senso positivo riguardanti il nesso educazione-coesione sociale sono rappresentate, tuttavia, dall’istru-zione e la cura prescolastica e anche l’ambito dell’educadall’istru-zione degli adulti. Tuttavia, si è dimostrato che tassi alti di rendimento dell’istruzione (rates of return) e l’iper-qualificazione riscontrano esisti negativi dal punto di vista della coesione sociale. Una possibile spiegazione del fatto che gli attuali sistemi educativi, specialmente quelli dei paesi democratici ed europei, abbiamo effetti diretti sul rendimento scolastico ma solo indiretti sulla coesione sociale e sui valori di cittadinanza deriva dal fatto che i processi di scolarizzazione non sono centrati sulla funzione socializzante. In effetti, il numero di ore allocate è del tutto limitato, dato che gli obiettivi principali sono cognitivi e non attitudinali e comportamentali. Il debole nesso riscontrato può essere spiegato con il fatto che gli obiettivi di cittadinanza attiva non sono centrali nei sistemi educativi europei ed occidentali, al contrario di quanto accade nei sistemi autoritari, molto efficaci nella trasmissione di valori di cittadinanza ai quali viene allocato ampio spazio curricolare.
3.3. Cittadinanza e identità europea
Su un versante diverso, una delle sfide più importanti per la cittadinanza europea è rappresentato dall’intensità e dalla direzione delle politiche di riconoscimento stesso – ovverossia dal modo in cui la questione migratoria viene definita e affrontata dai singoli stati – le quali incidono a loro volta sulla stessa idea di identità europea (Soysal, 2002;
Munch, 2001). Da un punto di vista sociologico, i vari processi di integrazione oggi prospettati presentano diversi orientamenti (e di conseguenza diverse concezioni alla base di una coesione sociale dei singoli stati). Una delle principali differenze è rappre-sentata dalla scelta di una politica di riconoscimento centrata sull’uguale dignità o da una orientata a dare più rilievo alla differenza.
Secondo Soysal (2002), in effetti, gli stati che prediligono l’integrazione basata sull’idea di uguale dignità sono orientati a vedere l’Unione Europea come una collezio-ne di stati democratici orientati al rispetto dei diritti o come un’entità di natura fede-rale basata su diritti civili, politici economici e sociali. Nel secondo caso, gli stati che perseguono politiche di integrazione centrate sul concetto di differenza culturale, ve-dono l’Unione Europea come collezione di comunità culturali nazionali o come entità segnata da “profonde diversità” e pertanto basata su un’ampia varietà di rivendicazioni identitarie nazionali o perfino avanzate da vari movimenti sociali.
Inoltre, l’idea di identità europea chiama in causa una concettualizzazione sia del livello nazionale sia di quello transnazionale, a prescindere dal fatto che si possa par-lare o meno della nascita di una fase transnazionale o meno. Soysal (2002) argomenta in modo convincente che “il transnazionale e il nazionale debbono essere visti come costitutivi e significanti l’uno dell’altra. Non vanno visti come livelli di analisi distinti o traiettorie separate” (2002, p. 273). Pertanto, il transnazionale con i suoi vari fatto-ri e processi vanno localizzati negli spazi e istituzioni terfatto-ritofatto-rialmente definiti, il che implica anche l’operazione inversa, ovverossia un’analisi dei modi in cui il locale e il nazionale sono riarticolati all’interno del transnazionale (Soysal, 2002). Partendo dalla premessa che la stessa base concettuale per definire l’identità europea è altamente con-testata (Camia, 2010), una nascente identità europea sarebbe in competizione non solo con le identità basate sui vari territori, ma anche con le identità create dalle classi sociali o dal genere (Fossum, 2001). Una prospettiva normativa vedrebbe identità collocate a livelli differenti (nested identities), come affiliazioni plurali e multiple, competitive e/o non-competitive. Per alcuni studiosi una possibile identità europea implicherebbe, tuttavia, la nascita di una nuova e differente modalità identitaria di tipo post-nazionale (Delanty, 2002; Fossum, 2001).
3.4. Alcune conclusioni
Dalle considerazioni finora svolte su versanti congruenti e diversi al tempo stesso, sono emerse alcune idee centrali. Innanzitutto, le diverse definizioni e sfumature della cittadinanza e la sua sostanziale natura storica e contestuale. In secondo luogo, la ricerca comparata dei sistemi educativi inizia ad indagare in modo sistematico gli effetti da essi prodotti su aspetti non-cognitivi, e in primis gli effetti di coesione sociale.
Pur stabilendo che gli studi condotti finora mettono in luce esiti alquanto tenui, dovuti anche al ruolo marginale che solitamente viene assegnato all’educazione alla cittadinanza attiva nelle scuole contemporanee, alcune aree risultano più chiaramente in supporto. Queste sono l’educazione prescolastica e l’educazione degli adulti. Un terzo punto si sofferma sulla definizione dello spazio europeo e mette in luce la rilevanza delle politiche nazionali di riconoscimento, le quali risultano emblematica-mente collegate agli stessi scenari possibili che definiscano uno stesso spazio comune europeo.
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