• Non ci sono risultati.

Il diritto alla formazione professionale nell’art. 35 della Costituzione e primi interventi del legislatore statale

E’ non rientra 1

4.4. Il diritto alla formazione professionale nell’art. 35 della Costituzione e primi interventi del legislatore statale

Le disposizioni costituzionali che richiamano la formazione professionale sono molteplici e si distinguono rispetto a due possibili livelli di analisi. Un primo profilo concerne il riconoscimento costituzionale del diritto alla formazione professionale e la determinazione dei doveri della Repubblica nei confronti dei cittadini. Un secondo profilo d’esame, invece, riguarda la ripartizione delle competenze tra gli enti pubblici e territoriali che rivestono un ruolo preminente nell’ordinamento nazionale rispetto al settore della formazione.

Quanto al primo livello di analisi, il diritto sostanziale alla formazione professionale è riconosciuto in particolare nell’art. 35, II comma, della Costituzione, il quale dispone che la Repubblica “cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”.

La disposizione si caratterizza per “una forte carica innovativa” (Bifulco, 2006, p. 720), sia per la sua collocazione nella Carta costituzionale che per il suo contenuto sostan-ziale.

Per quanto concerne la sua sistemazione formale nel testo costituzionale, è stato opportunamente rilevato (Napoli, 1979, p. 20) come il fatto che il diritto alla forma-zione professionale si situi subito dopo le norme che proclamano il diritto all’istruforma-zione e allo studio (artt. 33 e 34) e all’inizio del Titolo III, dedicato ai rapporti economici, dimostra che la formazione professionale assume un aspetto centrale nell’ordinamento complessivo e si caratterizza per essere complementare e integrativa rispetto all’istru-zione. Al tempo stesso, peraltro, proprio questa sua “ubicazione” ha contribuito, in un primo periodo, ad un’interpretazione ambivalente della disposizione stessa e, più in generale della formazione professionale. Quest’ultima è stata infatti considerata, per lungo tempo, da un lato, quale attività appartenente al settore dell’istruzione ma, dall’altro, come settore le cui politiche dovevano essere esclusivamente finalizzate allo svolgimento di un’attività lavorativa.

Oggi, invece, come si avrà modo di analizzare, anche grazie ai riflessi delle politiche comunitarie sugli ordinamenti nazionali, tale ambiguità di fondo sembra essere stata superata e l’art. 35 deve essere interpretato nel senso di una maggiore integrazione funzionale del diritto in esame – e della corrispondente materia – rispetto all’istruzione scolastica.

Quanto al contenuto sostanziale, l’art. 35, II co., impone alla Repubblica l’obbligo di predisporre le misure affinché i lavoratori possano conseguire i più alti livelli di vita

professionale, con ciò ponendo anzitutto in evidenza come si tratti di un programma di lungo periodo, la cui realizzazione è affidata non solo allo Stato, ma, più in generale, a tutti soggetti che compongono la “Repubblica” e che a diverso titolo possono, e debbono, contribuire all’elevazione professionale, culturale e tecnica dei lavoratori.

Inoltre è particolarmente significativo il fatto che la disposizione individui i “lavo-ratori” quali beneficiari del diritto alla formazione professionale, in quanto consente di affermare che si è inteso garantire tale diritto non solo ai giovani in età da lavoro, bensì agli individui di tutte le età, così “rompendo il nesso strumentale tra formazione professionale e primo avviamento al lavoro” (Napoli, 1979, p. 22).

La disposizione, tuttavia, individua gli obiettivi da raggiungere, senza stabilire i mezzi e le modalità attraverso cui operare, così che la loro concreta realizzazione spet-terà al legislatore in primis e, più in generale, ai soggetti destinatari della norma stessa.

Occorre dunque riferirsi al secondo profilo d’interesse della normativa costituzio-nale in tema di formazione professiocostituzio-nale – la distribuzione delle competenze tra enti territoriali – per poter verificare in che misura la Repubblica abbia saputo far fronte al programma individuato nell’art. 35 Cost.

In particolare l’art. 117 Cost., nel testo previgente la riforma costituzionale del 2001, attribuiva alle Regioni la competenza legislativa, peraltro concorrente con lo Stato, in materia di “istruzione professionale e artigiana”.

Sin da principio, il vero nodo da sciogliere fu la nozione della materia stessa (Degrassi, 2004, p. 274); inizialmente, infatti, sia la normativa statale che la Corte costituzionale hanno contribuito ad una interpretazione estremamente restrittiva dell’i-struzione professionale. La legge sul c.d. collocamento obbligatorio (L. 264/1949), ad esempio, ha individuato, quali beneficiari della formazione professionale, “i lavoratori adulti espulsi dal processo produttivo a seguito della riconversione dell’apparato indu-striale”, caratterizzandola così come settore avente quale obiettivo prioritario quello dell’occupazione. La Corte, inoltre, ha affermato che “l’istruzione in senso lato, atti-nente all’ordinamento scolastico, è di competenza statale”, ritenendo dunque che ciò che rientra nelle strutture scolastiche sia istruzione, mentre ciò che viene impartito al di fuori di esse sia formazione professionale. Essa ha poi sostenuto che “è possibile tracciare una precisa linea di confine tra l’istruzione generale e quella professionale in quanto la formazione generale ha come scopo la complessiva formazione della persona-lità”; l’istruzione professionale, invece, avrebbe come finalità “l’acquisizione di nozioni necessarie per l’immediato esercizio di attività tecnico-pratiche”54.

La distinzione effettuata dalla Corte costituzionale ha quindi contribuito, sin dalle origini, alla creazione di un accentuato dualismo tra sistema scolastico e sistema professionale. Tale separazione è stata inoltre esplicitata nel d.P.R. n. 616/1977, il quale ha escluso espressamente dalle funzioni regionali quelle “dirette al conseguimento di un titolo di studio o di diploma di istruzione secondaria superiore, universitaria o postuniversitaria”55.

54 Cfr. Corte costituzionale, sent. n. 89/1977, considerato in diritto n. 4.

55 Art. 35 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

1

Più opportuno sarebbe stato, invece, un approccio volto a realizzare un sistema scolastico-formativo integrato, che favorisse la cooperazione tra le Istituzioni scolasti-che e quelle della Formazione Professionale e scolasti-che inquadrasse il diritto alla formazione professionale come diritto sociale.

Una prospettiva di intreccio funzionale tra i due settori è parsa peraltro iniziare a delinearsi – seppure non si realizzò poi pienamente nella prassi – con la legge quadro in materia di formazione professionale del 21 dicembre 1978 n. 845. In essa traspariva infatti, esplicito, il fine della crescita della personalità dei lavoratori “attraverso l’acqui-sizione di una cultura professionale”; si auspicavano provvedimenti che facilitassero la cooperazione tra la formazione professionale e le Istituzioni scolastiche secondarie e superiori; era previsto un sistema di alternanza scuola-lavoro e di rientri scolastici riconoscendo, in alcuni casi, che la formazione ottenuta nei corsi professionali o anche direttamente sul lavoro potesse essere equiparata al possesso di un titolo scolastico; si riconosceva, infine, la “onnicomprensività dei destinatari” (Loy, 1991, p. 263).

Si è dovuto tuttavia giungere alla fine degli anni ‘90 per poter avere anche nel nostro ordinamento nazionale, parallelamente ai mutamenti che si sono registrati in ambito europeo, il riconoscimento di una integrazione tra il settore dell’istruzione scolastica e quello della formazione professionale.

A partire infatti dal Patto per il lavoro del 24 settembre 1996, in una prospettiva di riforma complessiva del sistema e nel definire le linee strategiche per ridurre la di-soccupazione, è stato dato maggiore rilievo alla esigenza della formazione, e la qualità stessa del sistema formativo è stata considerata “elemento fondamentale per assicurare la competitività sui mercati internazionali e per costruire un modello sociale equili-brato” (Poggi, 2007, p. 24). A questo ha fatto seguito l’approvazione di atti che hanno evidenziato l’importanza crescente della formazione, quali, a titolo esemplificativo, il c.d. pacchetto Treu, relativo al settore del lavoro56, l’introduzione dell’obbligo di fre-quenza di attività formative e l’istituzione del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore57, la disciplina dei congedi formativi58.

Con il D. Lgs. n. 112/1998 è stato inoltre portato a compimento il processo di decentramento di funzioni amministrative avviato dalla L. n. 59/1997 e, per quanto concerne il settore della formazione professionale, si è assistito ad alcuni importan-ti intervenimportan-ti. In primo luogo si è definita la “formazione professionale” (art. 141, I co.), superando così la precedente nozione di “istruzione artigiana e professionale” e, nell’ampliarne anche il contenuto, la si è fatta uscire dal “cono d’ombra dell’inferiorità culturale cui era stata sino ad allora confinata nel nostro Paese” (Poggi, 2007, p. 17).

Sono poi state delimitate le funzioni statali (art. 142) per ampliare quelle regionali (artt. 143 e 144) e, non ultimo, sono stati potenziati gli strumenti della concertazione tra Stato, Regioni ed enti locali (artt. 142 e 143).

56 In particolare l’art. 17 della legge 24 giugno 1997 n. 196, volto a riordinare l’intera materia della formazione.

57 Artt. 68 e 69 della legge n. 144 del 1999.

58 Artt. 5 e 6 della legge n. 53 del 2000.

L’esclusione degli istituti professionali che consentono il conseguimento del diplo-ma di istruzione secondaria superiore dalle competenze regionali non è parsa tuttavia coerente con l’intento di allocare tutte le principali funzioni relative al settore della for-mazione professionale in capo al livello territoriale regionale. Essa ha infatti costituito uno dei principali motivi per i quali si è ancora una volta persa l’occasione per realizzare una vera integrazione tra la formazione professionale e il sistema scolastico.

Solo con la riforma dei cicli scolastici e la contestuale revisione del Titolo V della Costituzione si è cominciato ad intravedere un cambiamento maggiormente significa-tivo, quantomeno dal punto di vista della sistematizzazione della formazione professio-nale rispetto al settore dell’istruzione.