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Le clausole generali e gli obiettivi di armonizzazione europea

Nel documento Clausole generali e certezza del diritto (pagine 138-140)

Il diritto comunitario ha esercitato una profonda influenza sul diritto civile nazionale. Il primo effetto di questa influenza si è tradotto in un ripensamento della concezione tradizionale di contratto anzi nella elaborazione - o, forse, meglio sarebbe dire "ripristino" - di una pluralità di tipologie contrattuali. Infatti, prima dell'entrata in vigore del Codice del 1942, non vi era un'unitaria categoria di contratto, bensì vi erano due diverse tipologie contrattuali, che si differenziavano in ragione delle caratteristiche soggettive delle parti: 1) i contratti tra imprese (sottoposti alla disciplina del Codice del Commercio); 2) i contratti tra privati (sottoposti alla disciplina del codice civile). Con l'entrata in vigore del Codice del 1942 si era proceduto ad unificare le due tipologie in un'unica categoria: il contratto ex art. 1321 c.c442. L'epoca attuale si caratterizza per registrare, invece, una nuova

frammentazione della categoria del contratto.

Il fenomeno della globalizzazione del mercato ha portato, nel tempo, a ritenere progressivamente sempre più inadeguate le categorie del diritto civile tradizionale, compresa quella tradizionale categoria di contratto443, potendosi distinguere tra

contratto tra privati, contratto dei consumatori, contratto tra imprese, (da alcuni anche definito "terzo contratto") e, secondo alcuni, il contratto imposto dalle multinazionali alle imprese e ai consumatori444.

La tematica delle clausole generali assume un ruolo di primo rilievo con riguardo all'auspicata elaborazione di un codice civile europeo.

Nel tempo si sono susseguiti numerosi progetti di codice civile europeo che hanno in comune la caratteristica di possedere un elevato numero di clausole

442 Il fenomeno anzidetto è noto come "commercializzazione del diritto privato".

443 Cfr. SPOTO, Contratto e potere correttivo del giudice, cit. p. 273, secondo cui ci stiamo avviando

verso un abbandono del contratto inteso come affare tra privati, in quanto funzionale agli interessi del mercato: «l'asse di tutela non pende più a favore del diritto soggettivo ma delle esigenze del mercato». Ne consegue, all'attribuzione al giudice di un ruolo di primo rilievo sebbene, tuttavia, «la funzione giudiziaria appare strutturalmente inadeguata al compito che le nuove fonti del diritto sembrano attribuirgli, in quanto l'esercizio del potere giudiziario non è direttamente programmato per verificare il rapporto che sussiste tra autonomia e ordinamento». La ragione è data dal fatto che il giudice conosce del contratto solo al momento dell'insorgere di una controversia tra le parti e non prima. Dunque, per quanto il potere eteronomo del giudice possa essere ampliato apparirà sempre inidoneo alla tutela dell'interesse del mercato e, di contro, apparirà invasivo per la libertà contrattuale che vede nel contratto, ancor prima di una fonte delle obbligazioni, un accordo sociale.

444 Peraltro, giova ricordare come la categoria unificante di contratto con asimmetria di potere

contrattuale è da attribuire a ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore,

contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppo di un nuovo paradigma, cit., p.

generali, al punto da mettere in dubbio la possibilità di rendere effettivamente realizzabile un processo di armonizzazione445.

In particolare, un numero massiccio di clausole generali ricorre nei progetti di armonizzazione del diritto privato europeo: a titolo esemplificativo, si possono richiamare le clausole dell'accordo sufficiente, prevista all'interno dei PDEC, e la clausola della "gross disparity", prevista all'interno dei Principi UNIDROID.

Orbene, è noto come l'assiduo ricorso ad esse sia finalizzato a superare le divergenze connesse alle diverse tradizioni giuridiche degli Stati Membri, così preparando il terreno a un dialogo tra i medesimi.

Tuttavia l'indeterminatezza che caratterizza le clausole generali finisce per produrre l'effetto opposto. Infatti ogni Stato cercherà di modellare l'indeterminatezza che caratterizza le clausole generali alle peculiarità del proprio contesto economico- sociale446.

Un elevato numero di clausole generali sono presenti anche all'interno delle Direttive Europee.

Tra queste, la clausola generale a cui, spesso, si è ricorso per la realizzazione di obiettivi di armonizzazione è stata la buona fede447. Peraltro, al riguardo, la buona

fede è stata al centro di un fervente dibattito in dottrina con riguardo alla Direttiva sulle clausole abusive del 1976 (poi sostituita dalla Direttiva 93/13 abrogata, poi, dalla Direttiva 83/2011) che impernia il giudizio di vessatorietà su detta clausola generale.

Ecco, è noto che la buona fede può essere intesa sia in senso oggettivo sia in senso soggettivo448. Gli Stati Membri hanno interpretato la clausola generale

anzidetta in modo differente tra di loro, avendo alcuni Stati (Germania e Regno Unito) accolto una nozione oggettiva di buona fede, altri (tra cui l'Italia) avendo

445 Anzi, il ricorso alle clausole generali produce come effetto solo «un'illusione di armonizzazione»:

PATTI, Ragionevolezza e clausole generali, cit., p. 69.

446 Cfr. PATTI, op. cit., p. 69.

447 Sul punto si rinvia a CRUCIANI, Clausole generali e principi elastici in Europa: il caso della buona fede e dell'abuso del diritto, in Riv. crit. dir. priv., 2011, p. 473, secondo il quale, tuttavia, «il

ricorso a queste nozioni nella stesura delle principali direttive a protezione del consumatore non deve ingannare» in quanto sono inadeguate a svolgere quella funzione sociale del diritto privato in quanto il contesto di neo-formalismo in cui vivono porta l'interprete a considerarle lettera morta.

448 Come noto, la buona fede soggettiva consiste in uno stato psicologico: ossia l'ignoranza di ledere

un altrui diritto (ad esempio, è richiamata all'art. 1147 c.c.); la buona fede oggettiva è un canone che deve ispirare la condotta delle parti nell'ambito di un rapporto obbligatorio (artt. 1175, 1337, 1375, 1366 c.c.).

accolto, almeno prima facie, una nozione soggettiva di buona fede. Infatti, l'art. 33, comma 1 Codice del Consumo prevede che «Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado

la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei

diritti e degli obblighi derivanti dal contratto». É stato detto, al riguardo, e così appare orientata la dottrina, ormai pressoché pacificamente, che siffatto recepimento è dovuto ad una svista del Legislatore e che la buona fede deve interpretarsi in senso oggettivo, a pena di inutilità della disposizione.

Con l'esempio riportato si intende porre l'attenzione sulla circostanza che, pur essendo la buona fede una clausola generale ben nota agli Stati Membri, ragion per cui sembrava possibile (apparentemente) il suo atteggiarsi a punto di incontro tra ordinamenti nazionali diversi, di fatto così non è stato. Anzi proprio l'indeterminatezza della clausola ha condotto, in sede di recepimento, a delle letture discrepanti della stessa, in senso antitetico all'obiettivo di integrazione europea.

Nel documento Clausole generali e certezza del diritto (pagine 138-140)