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La (fallita) tipizzazione dell'obbligo di rinegoziazione

Nel documento Clausole generali e certezza del diritto (pagine 131-138)

Con riguardo al tema della rinegoziazione occorre chiedersi se la medesima

425 Peraltro, tale approccio positivista aveva costituito la premessa di uno svuotamento della clausola

generale, considerate astratte e prive di contenuti. Cfr. NANNA, op. cit., p. 218. Si ricorda, peraltro,

come, nel periodo successivo all'entrata in vigore del Codice Civile, la clausola della buona fede era considerata attratta nell'orbita dell'etica e, come tale, in quanto priva di efficacia giuridicamente rilevante, ignorata dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

426 Cfr. NANNA, op. cit., p. 243; GALGANO, Squilibrio contrattuale e malafede del contraente forte, in Contr. e impr., 1997, p. 421.

possa costituire o meno oggetto di un obbligo legale che, tramite il viatico della buona fede, può (o, forse, deve) concorrere a realizzare forme di giustizia contrattuale. Quindi, se la stessa, nell'attuale panorama giurisprudenziale, possa considerarsi o meno una regola tipizzata o se, al contrario, la sua affermazione non appaia rispettosa dei vincoli o dei presupposti operativi enunciati in precedenza.

La rinegoziazione è un fenomeno che investe, essenzialmente, i contratti ad esecuzione non istantanea, ossia i contratti di durata427. Si tratta di casi in cui il

contratto appare più sensibile ai fattori esterni che possono influenzarne il contenuto, non potendosi prevedere a priori gli eventi che potrebbero modificare l'assetto di interessi stabilito428. Tali eventi sono definiti sopravvenienze in quanto modificano la

situazione di fatto o di diritto esistente al momento di conclusione del contatto, così alterando l'equilibrio tra le prestazioni delle parti.

Ci si chiede se esista un principio generale che imporrebbe alle parti di rinegoziare il contratto concluso in presenza di sopravvenienze.

Nulla quaestio nel caso in cui le parti decidano di inserire nel contratto delle

clausole di hardship, ossia delle clausole con cui si obbligano reciprocamente a rinegoziare in presenza di sopravvenienze429. In questi casi, la rinegoziazione è

oggetto di un preciso obbligo contrattuale e, dunque, operano i principi generali previsti in tema di inadempimento contrattuale.

Diverso è il caso in cui difetti una previsione contrattuale di siffatta natura ovvero il caso in cui una clausola contrattuale vi sia ma abbia una portata a tal punto generica (ossia che prevede una mera facoltà di rinegoziare il contratto) da potersi

427 In tema della rinegoziazione la letteratura è vastissima. Si ricordano, tra i tanti: CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000; MACARIO,

Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; COSTANZA, Clausole di

rinegoziazione e determinazione unilaterale del prezzo, in AA.VV., Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi. Diritto e prassi degli scambi internazionali, Milano,

1992, p. 315; BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1975; SICCHIERO, La

rinegoziazione, in Contr. e impr., 2002, p. 776; MARASCO, La rinegoziazione e l'intervento del

giudice nella gestione del contratto, in Contr. e impr., 2005, p. 560.

428 Ciò si spiega anche in ragione della circostanza che la risoluzione del contratto viene considerata

dalla giurisprudenza di legittimità come extrema ratio, coerentemente con il principio "pacta sunt

servanda". Cfr. SPOTO, Contratto e potere correttivo del giudice, cit., p. 126.

429 Sul tema delle clausole di hardship, tra i tanti, si rinvia ai seguenti riferimenti bibliografici: Cfr.

FRIGNANI, voce «Hardship Clause», in Noviss. Digesto it., Torino, III, 1982, p. 1180; ID., voce

«Hardshipclause», in Digesto, disc. comm., Torino, 1991, VI, p. 446 ss.; CIRIELLI, Clausola di

hardship e adattamento nel contratto commerciale internazionale, in Contr. e impr. eur., 1998, p.

733; SCARPA, Ricostruzione ermeneutica della Hardship clause nel diritto positivo italiano, in

considerare alla stregua di una mera «clausola di stile»430.

Peraltro, le problematiche appaiono enfatizzate nel caso in cui delle sopravvenienze intervengano nei rapporti tra imprese. In questo caso, la sopravvenienza, come sostenuto autorevolmente anche in dottrina, può condurre a una paralisi del rapporto contrattuale, tendendo la parte avvantaggiata a lasciar inalterato lo stato delle cose e la parte svantaggiata alla risoluzione del contratto (ove fallisca la sua invocata revisione)431.

Dunque, il potere di autoregolamentare i propri interessi può trasformarsi in un

dovere di modificare il negozio giuridico originariamente stipulato? Si è

semplicemente al cospetto di un mero abuso della libertà contrattuale?

Il quesito proposto conduce ad indagare il rapporto esistente tra la salvaguardia dell'autonomia negoziale che non può essere compressa oltre certi limiti, poggiandosi sul referente costituzionale dei «diritti inviolabili» di cui all'art. 2 Cost., e il principio di buona fede, che attuando quello di solidarietà e lealtà, sembra esigere dalle parti la rinegoziazione del contratto in presenza di sopravvenienze, anche questo avente un fondamento costituzionale integrato dai «doveri inderogabili di solidarietà sociale»

ex art. 2 Cost432.

In giurisprudenza vi è stato un caso in cui l'autorità giudiziaria ha disposto il meccanismo della coazione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c. ritenendo esistente un obbligo legale di rinegoziazione, avente fondamento nella clausola generale della buona fede433.

430 Cfr. TUCCARI, Clausole di rinegoziazione ed eccezione di inadempimento nel contratto di somministrazione, in Contr., 2014, XI, p. 990. Peraltro, le clausole di rinegoziazione anche se

genericamente formulate possono prevedere il rinvio a parametri esterni a cui ancorare la determinazione del loro contenuto. Cfr. SPOTO, Contratto e potere correttivo del giudice, cit. p.

126. Il problema si pone, a parere di chi scrive, quando al carattere generico della prescrizione contrattuale non si accompagni alcun criterio per compiere siffatta valutazione al punto da apparire delle mere clausole di stile.

431 Cfr. PATTI, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale, in Contr., 2012,

VII, p. 571.

432 Diritti e doveri di rango costituzionale a confronto, sicchè non appare semplice attribuire una

prevalenza agli uni ovvero agli altri. Si rende necessario, così, ricorrere al criterio della ragionevolezza, che tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e del c.d. apprezzabile sacrificio. segnerà la prevalenza dell'uno o dell'altro.

433 Di seguito i tratti salienti della vicenda. Una società decideva di stipulare un mutuo fondiario,

usufruendo di una sovvenzione finanziaria, consistente nella corresponsione degli interessi a carico della Regione. In base al contratto di mutuo stipulato la somma erogata avrebbe dovuto essere utilizzata entro 24 mesi dalla sottoscrizione del medesimo, al termine del quale la Banca avrebbe dovuto erogare il saldo residuo. Con riguardo alle agevolazioni finanziarie, la Giunta regionale aveva, più volte, prorogato il termine finale per accedere alle stesse, così la società pugliese aveva prolungato il periodo iniziale di utilizzo della somma oltre i 24 mesi. Quest'ultima richiedeva,

Di seguito le coordinate fattuali della vicenda su cui si è innestata l'audace ordinanza del Tribunale di Bari434.

Una società decideva di stipulare un mutuo fondiario, usufruendo di una sovvenzione finanziaria, consistente nella corresponsione degli interessi a carico della Regione. In base al contratto di mutuo stipulato la somma erogata avrebbe dovuto essere utilizzata entro ventiquattro mesi dalla sottoscrizione del medesimo, al termine del quale la Banca avrebbe dovuto erogare il saldo residuo. Con riguardo alle agevolazioni finanziarie, la Giunta regionale aveva, più volte, prorogato il termine finale per accedere alle stesse, così la società aveva prolungato il periodo iniziale di utilizzo della somma oltre i ventiquattro mesi.

La società richiedeva, successivamente, la corresponsione del saldo dovuto, a cui la Banca opponeva un rifiuto, avanzando, di contro, la richiesta di una dichiarazione di manleva circa l'eventuale successivo diniego della concessione dell'agevolazione in conto interessi da parte della Regione (sia per la somma elargita sia per la somma ancora da elargire). La ricorrente si rivolgeva così all’autorità giudiziaria per ottenere: 1) l’erogazione del saldo; 2) il pagamento di una somma di denaro ex art. 614 c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione.

L'autorità giudiziaria, con ordinanza, accoglieva le doglianze della società fondando la propria decisione sulla clausola generale della buona fede ex artt. 1366 e 1375 c.c., la quale sarebbe, parafrasando le parole utilizzate dall'autorità giudicante, fonte non di un nuovo obbligo contrattuale, quanto di un irriducibile obbligo legale

di rinegoziare il contratto originario, ogni qualvolta delle sopravvenienze intacchino

l'effettività della sua esecuzione, come può considerarsi, nel caso di specie, l'intervenuta modifica regolamentare che ha protratto i termini di accesso alla sovvenzione finanziaria.

In una prospettiva puramente dogmatica, tale pronuncia ha suscitato notevoli critiche in dottrina per l'eversività connessa alla strumentalizzazione della buona fede

ex art 1375 c.c. come fonte di obblighi contrattuali non deliberatamente assunti dalle

successivamente, la corresponsione del saldo dovuto, a cui la banca opponeva un rifiuto, avanzando una dichiarazione di manleva circa l'eventuale successivo diniego della concessione dell'agevolazione in conto interessi da parte della Regione (sia per la somma elargita sia per la somma ancora da elargire). La ricorrente si rivolgeva così all’autorità giudiziaria per ottenere: l’erogazione del saldo; il pagamento di una somma di denaro ex art 614 c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione.

parti, con conseguente, almeno prima facie, frustrazione dell'autonomia contrattuale

e dello stesso principio di vincolatività del contratto435.

Del resto, l'unico referente normativo che nel Codice Civile regola le sopravvenienze, l'art. 1467 ult. co. c.c., riconosce il diritto alla rinegoziazione non ad entrambe le parti ma solo ad una di esse (ossia alla parte che ha "beneficiato" della sopravvenienza allo scopo di "paralizzare" la richiesta di risoluzione dell'altra)436.

Orbene, giova precisare come l'idea che la clausola generale della buona fede possa costituire una base legale per l'individuazione di obblighi aggiuntivi (e, comunque, non modificativi) rispetto a quelli contrattualmente fissati non rappresenti, nella prospettiva dell'estensore dell'ordinanza, una vera e propria novità. Infatti, nel corpo della motivazione viene richiamato, a titolo esemplificativo (anche se, in realtà, non mi pare vi siano altre ipotesi), l'obbligo legale di contrattare in capo al monopolista ai sensi dell'art. 2597 c.c. ai sensi del quale «chi esercita un'impresa in condizioni di monopolio legale ha l'obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento»437.

Tuttavia l'assimilazione dell'obbligo legale di rinegoziazione all'obbligo legale del monopolista suscita delle perplessità per due ordini di ragioni:

1) la prima concerne il fatto che l'obbligo del monopolista è un obbligo esplicitamente previsto dalla legge, mentre l'obbligo legale di rinegoziazione non è esplicitamente sancito ma è stato desunto in via implicita dalla clausola generale della buona fede;

2) la seconda ragione concerne l'elemento di incidenza dell'obbligo legale: l'art. 2597 c.c. incide sull'an della contrattazione mentre gli artt. 1366 e 1375 c.c. incidono sul contenuto della contrattazione e quest'ultimo forse è in grado di vulnerare in modo più incisivo la libertà contrattuale. Infatti, se il primo limite dell'autonomia contrattuale discende da una condizione soggettiva, quella di essere monopolista, il

435 In senso critico all'ordinanza: PATTI, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale, in Contr., 2012, VII, p. 571. Interessante anche la critica di SANTISE, Coordinate

ermeneutiche di diritto civile, Napoli, 2015, p. 15. In senso favorevole all'esistenza di un generale

obbligo di rinegoziazione: CASTELLI, L'obbligo di rinegoziazione, in Contr., 2016, II, p. 185.

436 Cfr. SPOTO, Contratto e potere correttivo del giudice, cit., p. 128. In tal senso anche: BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Eur. dir. priv.,

2003, p. 467.

437 Di tale previsione ha fatto larga applicazione la giurisprudenza, come precisato anche

nell'ordinanza oggetto di attenzione: CASS., 27 luglio 1998, n. 7346, in Foro it, Rep. 1998,voce

«Giurisdizione civile», n. 96; CASS., 25 gennaio 1985, n. 353, in Giur. it, I, 1,1492; CASS., 6

secondo discende da una sopravvenienza, ossia da un fatto che, per antonomasia, è imprevedibile al momento di stipula del contratto con tutte le conseguenze che ne possono discendere per la certezza del diritto. Peraltro, come rilevato in dottrina, l'obbligo legale di rinegoziazione verrebbe in rilievo in presenza di sopravvenienze diverse dall'eccessiva onerosità per la quale già esiste apposita normativa contenuta nell'art. 1467 c.c. e non avrebbe senso individuare rispetto a quest'ultima un diverso fondamento normativo438.

In una diversa chiave prospettica, ossia quella propria del metodo formalistico, l'ordinanza menzionata può apparire meno sovversiva di quanto appaia.

Infatti la stessa non sostiene un indiscriminato potere del giudice di intervenire sullo statuto negoziale, in quanto il potere di incidere sul contenuto del contratto mediante l'introduzione forzata, per il tramite dell'esecuzione coattiva ex art. 2932 c.c., di ulteriori obblighi giuridici è condizionato alla sussistenza di determinati

presupposti439.

In altri termini, si prende atto che per creare un obbligo giuridico ex lege non è sufficiente il richiamo alla clausola generale della buona fede essendo, altresì, necessario che dal contratto il giudice sia in grado di evincere elementi precisi,

determinati e concreti grazie ai quali possa determinare il contenuto prescrittivo

dell'obbligo giuridico di rinegoziazione in funzione del risultato a cui le parti avrebbero mirato se avessero avviate delle trattative sul punto. Ossia non si tratterebbe tanto di una creazione dell'obbligo giuridico di rinegoziazione quanto di una sua ricognizione alla stregua degli elementi allegati e provati dalle parti.

L'impostazione accolta appare coerente con i risultati raggiunti nell'ambito dell'analisi economica del diritto, dove da tempo alla logica egoistica dell'«advantage

taking» si è sostituita la logica cooperativa dello «sharing and cooperation»440.

Sebbene si condivida l'impostazione metodologica dell'analisi economica del diritto, si ravvisa un puctum dolens nella decisione giudiziale in quanto configura tautologicamente l'obbligo legale di rinegoziazione, ricavandolo dalla buona fede.

438 Cfr. PATTI, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale, cit., p. 578, il

quale al riguardo parla di «sopravvenienze atipiche».

439 Si riporta un passo della motivazione: «il giudice, pur al cospetto della fonte legale dell'obbligo di

contrarre, non può costituire un rapporto contrattuale se non ha a disposizione gli elementi necessari per la predisposizione del regolamento. i fatti allegati devono perciò consentire di determinare il contenuto prescrittivo del provvedimento».

Infatti, i c.d. "presupposti" (gli "elementi precisi, determinati e concreti", poc'anzi menzionati) appaiono troppo generici e vaghi per fungere da parametri di fondabilità di una decisione giudiziale, equivalendo nella sostanza ad un rinvio al caso concreto.

Se i medesimi fossero stati meglio individuati, specificati e indicati nell'ordinanza, riconoscendosi loro una portata generalizzata, la decisione giudiziale anzidetta avrebbe sollevato meno perplessità e critiche. Compiere un'astrazione di determinati elementi fattuali, assurgendoli a presupposti per l'applicazione di una regola generalizzata è ben diverso dal rinviare genericamente agli stessi elementi fattuali, mediante il richiamo a parametri generici, per decidere se ravvisare o meno, di volta in volta, l'esistenza di un obbligo legale di rinegoziazione.

Pertanto, la tesi interpretativa propugnata dal Tribunale di Bari non si condivide, nella parte in cui, al fine di rafforzare il proprio ragionamento giuridico, richiama come precedente gemello (che, in realtà, gemello non è, a parere di chi scrive) l'obbligo legale del monopolista; nell'ottica di un approccio funzionale del diritto, appare senz'altro apprezzabile il tentativo di avvalersi di un metodo formalistico per giustificare la decisione giudiziale, mediante l'individuazione di presupposti che ancorché generici dimostrano che, in tema di concretizzazione di clausole generali, essi sono imprescindibili. Certamente sarebbe stato preferibile che il Tribunale avesse compiuto un passo ulteriore, consistente nell'indicare in modo più definito i presupposti operativi alla base di tale obbligo di rinegoziazione.

Questo ulteriore passaggio impedisce di ravvisare l'esistenza, all'interno della buona fede esecutiva, della regola tipizzata dell'obbligo di rinegoziazione nel contratti di durata con la conseguenza che la clausola della buona fede sembra essere stata applicata in modo arbitrario con una metodologia slegata da ogni rigore formale. Non a caso la pronuncia è rimasto isolata, non avendo costituito un precedente significativo per la giurisprudenza successiva, che al contrario si è dimostrata molto cauta nell'applicare la clausola generale della buona fede per imporre obblighi legali integrativi441.

Nel documento Clausole generali e certezza del diritto (pagine 131-138)