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Segue L'art 1374 c.c e l'equità correttiva

Nel documento Clausole generali e certezza del diritto (pagine 57-62)

L'ascesa dell'aequitas conduce ad affrontare il tema del rapporto tra integrazione giudiziale e disponibilità degli effetti del contratto179.

177 Cfr. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, cit., p. 775. Sul tema dei poteri

officiosi del giudice in funzione equitativa si rinvia anche al contributo di: MONTICELLI,

Considerazioni sui poteri officiosi del giudice nella riconduzione ad equità dei termini economici del contratto, in Contr. e impr., 2006, p. 215.

178 Cfr. PIRAINO, Il diritto europeo e la giustizia contrattuale, cit., p. 255, secondo cui il “rimedio”

applicato dal giudice, in funzione della giustizia contrattuale, dipende dal tipo di settore considerato.

Ai sensi dell'art. 1374 c.c. il contratto produce non solo gli effetti voluti dalle parti ma anche quelli che esorbitano da detta volontà per esser riconducibili a leggi, usi ed equità. In tal senso, la regola di cui all'art. 1374 c.c. può assimilarsi ad una norma “contenitore” nella misura in cui ad essa possono ricondursi tutte le ipotesi di integrazione legale e, indirettamente, anche giudiziale. In generale, gli effetti che discendono dal contratto, per il viatico dell'art. 1374 c.c., quali «modificazioni che il contratto determina nelle posizioni giuridiche delle parti, e nei corrispondenti rapporti giuridici», sollevano il problema del loro rapporto con l'autonomia privata180.

In passato si è formata una disputa dottrinale intorno alla questione se tutti gli effetti del contratto dipendano dall'esercizio dell'autonomia negoziale ovvero se

alcuni di essi vi prescindessero per esser predeterminati dalla legge. Secondo un

indirizzo dottrinale l'autonomia privata non avrebbe alcun potere di condizionare

tutti gli effetti del contratto per esser i medesimi predeterminati ex lege181. Tale tesi,

criticata dalla dottrina maggioritaria per la portata strettamente riduttiva riconosciuta all'autonomia privata, sembra confondere la nozione di atto giuridico in senso stretto con quella di negozio giuridico182. Essa postula la distinzione tra la volontà delle parti

di determinare il contenuto del regolamento contrattuale dalla possibilità per le stesse di disporre degli effetti del medesimo. In realtà, è inopportuno distinguere tra i due profili, quello del regolamento contrattuale e quello dei suoi effetti, e ciò sembrerebbe trovare conferma, altresì, nell'esistenza di una serie di istituti (quali, ad esempio, la condizione e il termine, il contratto fiduciario, la simulazione, il contratto preliminare), per il tramite dei quali le parti possono orientare, in modo più "mirato", l'esercizio della libertà contrattuale, conformandolo nel modo più aderente possibile

dell'integrazione del contratto, Milano, 2008. 180 Cfr. ROPPO, Il contratto, cit., p. 479.

181 Cfr. ROPPO, op. cit., p. 480, che prende le distanze dalle tesi di stampo normativista.

182 La distinzione tra atto giuridico e negozio giuridico risiede proprio nella disponibilità degli effetti

del negozio giuridico. Invece, nel caso dell'atto giuridico in senso stretto gli effetti si producono

alla realizzazione dei propri interessi concreti183. Ne consegue che le parti, stabilendo

il contenuto del contratto, dispongono nel contempo dei suoi effetti.

Sennonché l'art. 1374 c.c. ha apportato un contributo rilevante alla progressiva erosione del principio di intangibilità del contratto sia per effetto della c.d. integrazione suppletiva sia per effetto della c.d. integrazione cogente184, che in

comune hanno il fatto di costituire la “fonte” di effetti non conformi alla volontà contrattuale.

In relazione alla c.d. “integrazione giudiziale”, o meglio “integrazione valutativa”, (espressione con cui si indica la possibilità del giudice di intervenire in sede di regolamento contrattuale mediante l'esercizio di poteri di controllo e, in particolare, di poteri correttivi che, a loro volta, si fondano su criteri giuridici o extragiuridici), si è posto il problema se considerare la buona fede come un criterio di integrazione del contratto ai sensi dell'art. 1374 c.c., che in realtà menziona solo l'equità. Al riguardo, alcuni hanno rilevato come tale potere correttivo del giudice per mezzo della clausola generale della buona fede si fonda sull'equità (correttiva) richiamata all'art. 1374 c.c.185

183 Cfr. ancora ROPPO, Il contratto, cit., p. 480, secondo cui non sono condivisibili le teorie

normativiste secondo le quali la volontà delle parti rileva esclusivamente in punto di formazione del contratto, in quanto i suoi effetti sarebbero predeterminati ex lege. Si condivide tale orientamento. Peraltro la tesi secondo la quale gli effetti sono prodotti in virtù del contratto e non della legge trova un riscontro anche giurisprudenziale. Infatti, oggi non vi sono dubbi, per la giurisprudenza di legittimità, sulla possibilità di disporre degli effetti solutori di un contratto, che ha la disponibilità degli effetti solutori di un negozio giuridico. Si veda CASS., 24 Novembre, n.

23824 in Giur. it, 2011, p. 1028 e CASS., 10 Marzo 2011 n. 5734 in Giust. civ. Mass, 2011, III, p.

389: in tema di rinuncia della parte non inadempiente ad eccepire l'inadempimento e della possibilità del ripristino dell'originaria obbligazione contrattuale, la S. C. si è espressa in senso favorevole, ammettendo la possibilità di ricostituzione dell'obbligo contrattuale nel caso in cui la risoluzione del contratto si sia già verificata per effetto o dell'avverarsi della clausola risolutiva espressa ovvero dell'inutile decorso del termine essenziale fissato dalle parti ovvero per effetto della diffida ad adempiere ovvero per effetto di sentenza del giudice che ha dichiarato risolto il contratto.

184 Sul tema si rinvia a: CASELLA, Nullità parziale del contratto e inserzione automatica di clausole,

Milano, 1971; CRISCUOLI, La nullità parziale del negozio giuridico, Milano, 1959 GABRIELLI,

Norme imperative e integrazione del contratto, in Contr. e impr., 1993, p. 499; ALPA, Contratto in

generale, in Trattato di diritto civile, diretto da CICU e MESSINEO, XXI, I, Milano, 1968, p. 154 e

ss; RICCIO, Inserzione automatica di clausole e invalidità di clausole difformi; in Cont. e impr.,

2005, p. 64; RUBINO, Libertà contrattuale e inserzione automatica di clausole, in Mon. Cred.,

1948, p. 530.

185 La questione non è di poco conto giacché è alla base di quella tesi che sostiene l'esistenza di una

commistione tra buona fede ed equità che, invece si ritiene debbano essere distinte. Buona fede ed equità, operando specularmente, non sono concetti sovrapponibili, la prima inerendo un piano statico, la seconda un piano funzionale dell'integrazione del contratto. Esclusa ogni sovrapposizione resta possibile una loro reciproca integrazione. La tesi che sostiene la capacità di buona fede ed equità di integrarsi reciprocamente mi pare essere sostenuta da NANNA,

L'equità correttiva evoca l'idea della giustizia contrattuale, sicché potrebbero suscitare perplessità forzature interpretative della clausola della buona fede basate su un'idea di “giustizia” del contratto, a sua volta espressiva dell'adesione a determinate tendenze e istanze solidaristiche ovvero a dati valori personalistici186.

Ed ecco che si arriva al nodo centrale della questione.

Il contratto, come noto, può presentare differenti tipi di lacune contrattuali. Alcune di queste possono esser colmate con gli strumenti predisposti dall'ordinamento come l'interpretazione. Un altro tipo di lacune, invece, può necessitare di un'attività maggiormente incisiva dell'interprete.

Ma allora come evitare le forzature interpretative? Collocando le clausole generali tra gli strumenti di interpretazione (quindi, auto-integrativi) o tra gli strumenti di etero-integrazione?

Secondo una ricostruzione aderente al metodo formalistico, che considera le clausole generali strumenti autopoietici187, le suesposte considerazioni suggerirebbero

di ritenere che, rispetto al contratto, sia consentita solo un'attività di autointegrazione, attuata guardando all'interno dell'ordinamento e ivi cercando una risposta alle lacune contrattuali, colmandole con il ricorso a strumenti interpretativi e ai criteri di interpretazione di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.188.

quale, infatti, le due clausole hanno finito per avvicinarsi nel corso del tempo, per cui «la sola differenza che si può evidenziare tra i due principi è costituita dal fatto che la buona fede costituisce lo strumento teorico, che il giudice deve tenere sempre presente per valutare l'equilibrio di un contratto, l'equità rappresenta il mezzo pratico per dare giustizia nel caso concreto».

186 Cfr. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., p. 94, il quale manifesta un

atteggiamento tendenzialmente critico rispetto alla correzione giudiziale fondata su valori solidaristici, in quanto il legislatore quando ha voluto sottrarre dalla disciplina generale del contratto e, quindi, dalla pura logica economica del mercato determinati settori che egli definisce «sotto-sistemi legislativi speciali» lo ha volutamente ed eplicitamente fatto. Quindi al di fuori di tali settori soggetti a delle "regole protettive", ispirate a dei valori solidaristici, non appare opportuno un sindacato di merito sostitutivo della volontà negoziale. Del resto, come osservato da una parte della dottrina, quale sarebbe la norma autorizzerebbe il giudice a compiere siffatto sindacato giudiziale? Cfr. CAMARDI, Contratti di consumo, contratti tra imprese. Riflessioni

sull'asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti «reticolari», cit., p. 576. 187 Cfr. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale, p. 27, secondo cui «Colpa, equità,

buona fede, ingiustizia evocano, appunto, termini che potrebbero sembrare propri del linguaggio morale, categorie della giustizia universale, ma che inseriti nel tessuto normativo, subiscono una mutazione semantica». Egli precisare che alla base della individuazione del significato di ogni concetto-valvola vi è una discrezionalità giudiziale ineliminabile e la natura autopoietica del concetto-valvola si esprima proprio nella sua funzione di svolgere un “controllo cognitivo” ossia un controllo che non è finalizzato a correggere il diritto positivo ma ad ordinarlo soccorrendo «specifici problemi di tecnica normativa».

188 L'attività ermeneutica consiste in un'attività di tipo gnoseologica. A tal fine, l'interprete si avvale

oltre che delle norme di interpretazione soggettiva, previste dagli artt. 1362-1365 c.c., delle norme di interpretazione oggettiva, previste dagli artt. 1365-1371 c.c. anche della clausola di

La premessa di questa tesi è che non sarebbe la realtà sociale a condizionare il fenomeno giuridico, ma quest’ultimo a tentare di colonizzare la realtà sociale189.

Conseguentemente, dovrebbe ritenersi inammissibile l'operatività, rispetto al contratto, di tutti quei meccanismi di etero-integrazione, sia di tipo legale (es. la sostituzione automatica di cui all'art. 1339 c.c.) sia di tipo giudiziale190 in quanto

minano la fiducia delle parti nella certezza dei traffici.

Secondo un altro indirizzo le clausole generali sono strumenti etero-integrativi del contratto: le lacune del contratto che richiedono il loro intervento non dipendono da carenze inerenti il contenuto dichiarativo ma dalla sua «più generale inidoneità ad operare»191. Si è detto, allora, che la questione non è considerare la natura delle

clausole generali come strumenti autopoietici o come strumenti eterointegrativi ma risiede nell'individuazione di un'esatta linea di demarcazione tra auto-integrazione ed etero-integrazione (del contratto) che potrebbe essere risolto riconoscendo alle clausole generali la peculiare caratteristica di essere, allo stesso tempo, esterne ed

ragionevolezza. Dal complessivo tenore di tali articoli si evince l'esistenza di tre criteri gerarchicamente ordinati per l'interpretazione del contratto: il significato oggettivo, il significato legale, la comune intenzione delle parti. Tra tali criteri ermeneutici particolare interesse suscita, ai fini della suddetta trattazione, quello previsto dall'art. 1365 c.c. che sancisce una presunzione di non tassatività delle situazione esemplificative riprodotte nell'ambito di un regolamento contrattuale e che trova un limite proprio nella clausola generale di ragionevolezza. La clausola generale di ragionevolezza presenta una doppia natura: 1) criterio di razionalità e coerenza 2) ratio

contractus. Cfr. SENIGAGLIA, Interpretazione complessiva del contratto e clausola generale di

ragionevolezza, in Giur. it., 2003, p. 281.

189 Cfr. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., p. 42. In questo senso si è

ritenuto che l'ordinamento giuridico presenti il carattere dell'autonomia dalle altre scienze in quanto nel recepirne la terminologia l'ordinamento giuridico la rielabora e ricostruisce artificialmente, conferendo ai concetti un nuovo contenuto coerente con lo specifico settore giuridico in cui viene utilizzato. Per un approfondimento sull'argomento si rinvia a TEUBNER, Il

diritto come soggetto epistemico: per una teoria della conoscenza costruttivistica, in Riv. crit. dir. priv., 1990, p. 287. Questo è alla base di una mutazione semantica della clausola generale il cui

grado di astrazione le consente di svolgere una funzione cognitiva delle antinomie giuridiche e di assicurare, ove necessario, che la stessa mantenga il suo carattere «produttivo» senza degenerare in quello «distruttivo»: Cfr. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., p. 26 e ss.

Egli, inoltre, ricorrendo ad una metafora assimila le regole della buona fede a quelle del pugilato: come il divieto pugilistico dei colpi bassi è volto a far sì che la vittoria venga riconosciuta al pugile che mostri la migliore tecnica e potenza, così le regole della buona fede presidiano gli scambi commerciali affinché i medesimi rispondano a delle logiche di mercato non «distorte da fattori ad esse estrinseci».

190 Rispetto ad un particolare tema, ossia quello della riducibilità ex officio della clausola penale, una

critica accesa al potere correttivo del giudice, all'indomani di una pronuncia della Cassazione è stata espressa da CALVO, Il controllo della penale eccessiva tra autonomia privata e paternalismo

giudiziale”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, p. 297 e ss. Per approfondimenti si rinvia anche a

MEDICI, Clausola penale, manifesta eccessività e riduzione giudiziale, in Riv. crit., dir. priv., 2003,

p. 321; PALMIERI, Supervisione sistematica delle clausole penali: riequilibrio (coatto e

unidirezionale) a scapito dell'efficienza?, in Foro it., 2006, I, p. 106. 191 Cfr. SPOTO, Il contratto e il potere correttivo del giudice, cit., p. 64.

interne al regolamento contrattuale: esterne, in quanto non sono necessariamente contemplate nel regolamento contrattuale; interne, in quanto, sebbene non contemplate, possono avere, all'occorrenza, una diretta incidenza sul medesimo192.

Tale tesi attribuisce alle clausole generali, in coerenza con una visione antiformalistica, la natura di strumenti etero-integrativi. Anch'essa suscita delle perplessità comprensibili in ragione del timore che i poteri correttivi del giudice sul regolamento contrattuale possano condurre a risultati assimilabili a quelli di una norma di legge e comportare un pregiudizio per la certezza del diritto.193Quest'ultima

tesi appare preferibile, seppur negli stretti limiti dati da un'interpretazione evolutiva. Si ritiene, infatti, che le clausole generali - quali strumenti di etero-integrazione - svolgano la funzione di derogare ovvero di correggere, ampliando la sua sfera di cognizione, il diritto positivo quando lo stesso appaia carente rispetto alle spinte evolutive della società.

Si tratterebbe, dunque, di fonti di produzione di norme che suppliscono a deficit del sistema giuridico, svolgendo una «funzione omeostatica» tesa a garantire l'aderenza del diritto alla realtà non solo in una prospettiva temporale, in relazione all'evoluzione della morale, dei costumi, della tecnica e della scienza, ma anche in una prospettiva spaziale, in relazione agli effetti della globalizzazione e alla convivenza tra diversità culturali, religiose ed etniche che essa comporta.194

L'adozione di questa prospettiva solleva il problema dell'opportunità di un approccio restrittivo dell'interprete tutelante l'autonomia contrattuale, allo scopo di contenere la loro operatività, scongiurando "straripamenti giudiziali", o quantomeno rendendoli prevedibili.

Nel documento Clausole generali e certezza del diritto (pagine 57-62)