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La clausola generale come rimedio (generale)?

Nel documento Clausole generali e certezza del diritto (pagine 67-71)

In questo contesto diventa centrale comprendere il ruolo integrativo della giurisprudenza che quando si misura con l'applicazione delle clausole generali si disvela in tutta la sua complessità, come la casistica giurisprudenziale conferma, essendo divenuto intricato il rapporto esistente tra regole di validità e regole di responsabilità soprattutto a seguito degli interventi legislativi europei. Orbene, la questione che si esamina concerne il caso in cui l'interpretazione ope iudicis delle clausole generali stravolga la loro originaria funzione, finanche traducendosi in un

limite per l'autonomia privata.

Si pensi, ad esempio, alla clausola generale di buona fede che, considerata tradizionalmente una “regola di responsabilità”, talvolta ha dismesso tali panni per fungere da criterio di validità del contratto: con essa, la giustizia contrattuale

distributiva che dovrebbe accompagnare le negoziazioni: ad esempio, essa sarebbe confermata dall'esistenza «degli obblighi di restituzione che impediscono l'ingiustificato arricchimento della controparte inadempiente».

208 In tal senso CAMARDI, Contratti di consumo e contratti tra imprese. Riflessioni sull'asimmetria contrattuale nei rapporti di scambio e nei rapporti «reticolati», in Riv. crit. dir. priv., 2005, IV, p.

582. SPOTO, Il contratto e il potere correttivo del giudice, cit., p. 74, che si mostra critico rispetto al

rafforzamento del potere del giudice determinato da questa relegazione del legislatore ad un ruolo minimo e a questa cieca fiducia nel mercato di realizzare un'allocazione ottimale delle risorse in quanto «all'autorità giudiziaria non può essere attribuita alcuna responsabilità di indirizzo politico»: siffatta responsabilità, infatti, non potrebbe considerarsi coerente con «le modalità di accesso alla magistratura italiana» e prosegue ritenendo che «nel nostro Paese la separazione tra giudici e politica deve esser ben definita, in quanto la legittimazione del potere giudiziario non dipende dalla sovranità popolare». In senso critico si esprime anche GENTILI, Il diritto come

discorso, cit., p. 409, il quale ritiene che la modificazione secondo buona fede del contratto iniquo

trasforma la libertà contrattuale in «un delitto», posto che esprime l'idea di libertà contrattuale anche lo scambio iniquo; un «delitto inutile», specifica l'autore. Più che inutile, un "delitto paradosso", a parere di scrive, in quanto finirebbe per sanzionare ciò che, in realtà, dovrebbe presidiare: la libertà contrattuale che si sostanzia anche nella stipula di contratti iniqui.

209 Una disamina delle applicazioni giurisprudenziali che evidenziano tale tendenza della

giurisprudenza verrà svolta nel prosieguo della trattazione ove si indagherà il percorso argomentativo seguito dalla Suprema Corte al fine di valutare se il modus procedendi, di volta in volta utilizzato, sia coerente con l'idea di una clausola generale quale riflesso della natura autopoietica dell'ordinamento giuridico ovvero se, al contrario, riveli la loro natura extra-sistemica.

intrattiene un rapporto che può ritenersi irriducibile, quasi simbiotico210. Infatti, è

accaduto che la giurisprudenza di legittimità, pronunciandosi in materia di contratto di leasing, si è espressa così testualmente «la clausola del contratto di leasing che fa gravare sull'utilizzatore il rischio della mancata consegna viola il principio dell'esecuzione del contratto secondo buona fede ed è pertanto invalida», considerando la norma di cui all'art. 1375 c.c. avente una natura imperativa (CASS., 2

Novembre 1998, n. 10926, in Foro it., 1998, I, c. 3081).

Un altro esempio è offerto dalla legge 192/1998, in tema di subfornitura, che, pur non essendo di diretta promanazione europea, ha rappresentato l'esito di una serie di input provenienti dall'Europa211. L'art. 9 di tale legge definisce l'abuso di

dipendenza economica come quello stato «in cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi». Da tale norma si evince che la situazione di dipendenza economica è determinata da comportamenti della parte economicamente più forte. Eppure, l'ultimo comma dell'art. 9 della legge non inserisce la realizzazione di tali condotte in una logica di responsabilità risarcitoria, bensì in una logica invalidante, essendo nulla la clausola o il contratto che prevede l'abuso di dipendenza economica.

Tale opzione legislativa è apparsa fortemente innovativa per il nostro sistema e, probabilmente, insieme ad altri interventi legislativi di matrice comunitaria (quali, ad esempio, la legge 52/1996 che ha introdotto la disciplina in tema di clausole vessatorie – dall'art. 1469 bis all'art. 1469 sexies, poi trasfusi nel Codice del Consumo agli artt. 33 e ss.) è alla base di una riflessione che involge la clausola generale della buona fede al fine di rivisitarne la natura, considerandola non solo come regola di responsabilità ma anche come regola di validità, ossia genericamente come un rimedio contrattuale212.

210 Cfr. PIRAINO, Il diritto europeo e la giustizia contrattuale, cit., pag. 293. Sui diversi usi applicativi

che si sono succeduti con riguardo alla buona fede si rinvia, altresì, a MIRIELLO, La buona fede

oltre l'autonomia contrattuale: verso un nuovo concetto di nullità?, in Contr. e impr., 2008, p. 284. 211 Si pensi, ad esempio, alla Raccomandazione della Commissione Europea del 12 Maggio 1995. 212 Si pensi al richiamo alla buona fede, quale parametro del giudizio di invalidità delle clausole

vessatorie ai sensi dell'art. 33 cod. cons. Cfr. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratti del

consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, cit., passim, il quale suggerisce una rivisitazione di tale tradizionale dicotomia

sintetizzandola nella categoria unitaria di rimedio contrattuale, al contrario di altra dottrina che ritiene tale distinzione una guida ancora valida per l'interprete Cfr., VETTORI, Giustizia e rimedi nel

Come rimedio generale, la forma di giustizia che la buona fede, quale "tecnica di prevalenza relativa", mirerebbe a realizzare non è il raggiungimento di un equilibrio oggettivo tra le prestazioni, bensì il conseguimento di un equilibrio “soggettivo”213. Tale fine viene perseguito per effetto dell'instaurazione di un secondo

momento valutativo (quello, per l'appunto, che avviene in sede di giudizio) con il quale si elidono, o comunque impediscono, gli effetti percepiti come ingiusti prodotti dal primo momento valutativo, ossia quello della conclusione del contratto214. I

modus procedendi seguiti dalla giurisprudenza per impedire o quantomeno limitare

gli effetti negativi derivante da tale primo momento valutativo sono stati diversi.

generale della buona fede come operante sul piano della validità degli atti negoziali pare essere RICCIO, La clausola generale di buona fede è, dunque, un limite generale all'autonomia

contrattuale, in Contr. e impr., 1999. Peraltro, la tesi stride con l'orientamento espresso dalla

giurisprudenza di legittimità (CASS., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Foro it., 2008, I, 784)

in base al quale non sono ammissibili confusioni tra regole di validità - rilevanti sul piano dell'atto - e regole di responsabilità - rilevanti sul piano del rapporto. Una tesi mediana sostiene che, pur essendo validità e responsabilità piani distinti, «l'atto invalido può entrare nella fattispecie normativa dell'illiceità; e questa a sua volta può contenere un atto invalido»: Cfr. IRTI, Concetto

giuridico di «comportamento» e invalidità dell'atto, in Riv. trim. dir. proc., civ., 2005, p. 1053. 213 Tuttavia il rapporto di mezzo a fine tra buona fede e giustizia contrattuale non è pacificamente

condiviso in dottrina. Si riscontrano opinioni discordanti sul tema come quella secondo la quale la buona fede non potrebbe assurgere a parametro per censurare il difetto di aequitas di un contratto in quanto ciò equivarrebbe ad affermare l'esistenza di una contraddizione intrinseca nel sistema, posto che la violazione della buona fede contrattuale è fonte di responsabilità risarcitoria e non di invalidità del contratto. Per ulteriori approfondimenti, sul punto, si rinvia a PERFETTI, L'ingiustizia

del contratto, Milano, 2005.

214 Si tratta di una giustizia che costituisce «esito» di un «meccanismo di rivisitazione» Cfr. PIRAINO, Il diritto europeo e la giustizia contrattuale, cit., p. 243.

CAPITOLO 2

ESPERIENZE APPLICATIVE DELLE CLAUSOLE GENERALI

IN MATERIA CONTRATTUALE

SEZIONE 1

METODOLOGIE DI CONCRETIZZAZIONE DELLE CLAUSOLE GENERALI

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