CAPITOLO 2: LIBERO CONVINCIMENTO E ATTIVITÀ DI VALUTAZIONE DEL GIUDICE
2.6. L’obbligo di motivazione
Significativa è la previsione di cui all’art. 192, 1° co., c.p.p., secondo cui la decisione del giudice deve maturare nel rispetto di “criteri” e “risultati” che, evidentemente, non possono non essere quelli dettati dalla logica.
Nel 1° comma dell’art. 192 c.p.p. il prospettato raccordo tra la valutazione della prova e l’obbligo di motivare segnala l’adesione ad una concezione razionalistica del principio del libero convincimento, che impone un accertamento del fatto al di fuori da fuorvianti suggestioni emotive. Nell’apprezzare i dati probatori sottoposti alla sua cognizione, il giudice è tenuto a seguire criteri logici ed a indicarli necessariamente quando enuncia le ragioni sottese alla decisione, non potendo infatti affidarsi ad intuizioni istintive118.
Il resoconto dei “risultati” dell’attività valutativa con la contestuale esplicazione dei “criteri” utilizzati per raggiungerli consente di ricostruire il percorso argomentativo che ha portato alla decisione, valorizzando al contempo la funzione di garanzia contro l’arbitrio assegnata alla motivazione.
L’obbligo di motivazione rappresenta infatti il primo limite
117 ID., La parabola del principio del libero convincimento in Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet
giuridica, Torino, 2008, 291.
118 AMODIO, Libero convincimento e tassatività dei mezzi di prova: un approccio comparativo, RIDPP, 1999, 6.
75 propriamente normativo al libero convincimento, essendo evidente che la pretesa di una compiuta enunciazione delle ragioni sottese al giudizio funge da deterrente contro una gestione personalistica della funzione giurisdizionale.
Quanto all’illustrazione delle ragioni per le quali la previsione di un obbligo di motivazione delle decisioni giudiziali vincola fortemente la libertà e l’arbitrio del giudice, basti ricordare che il dovere di giustificazione impone al giudice di esprimere una decisione la cui correttezza sia comunque argomentabile ed in questo senso la motivazione serve tanto a tutelare l’integrità del giudice da forze estranee quanto «ad impedire quei sabotaggi interiori, provocati dai suoi pregiudizi che lo spingono ad evadere dai limiti di una razionalità condivisa119».
Come abbiamo visto, il binomio ‘libero convincimento’-‘motivazione’ rappresenta uno dei punti fermi dei sistemi processuali che non contemplano il giudizio innanzi alla giuria popolare.
L’obbligo di motivare i provvedimenti giurisdizionali è sancito in via generale dalla Costituzione (art. 111, 6° co., Cost.) e concretamente precisato dal legislatore ordinario (art. 125, 3° co., ed art. 546 c.p.p.) e «deve considerarsi un limite connaturato al libero convincimento, poiché costituisce l’ovvia implicazione di una visione razionale del principio comunemente condivisa120».
La violazione dell’obbligo di indicazione delle ragioni poste a fondamento della decisione è sanzionata con la nullità del provvedimento.
Al riguardo, si impone però un distinguo.
L’omessa indicazione dei criteri adottati e dei risultati conseguiti
119 IACOVIELLO, Motivazione della sentenza penale, ED, agg, IV, Milano,
2000, cit., 764.
120 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in Aa., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet
76 determina l’invalidità della decisione, deducibile ai sensi degli art. 125, 3° co., e 606, 1° co., lett. c), c.p.p121, mentre l’inosservanza delle regole
logiche che devono orientare la ricostruzione del fatto va inquadrata nel vizio processuale della ‘manifesta illogicità’ (o della ‘contraddittorietà’) della motivazione, autonomamente configurato alla lett. e) dello stesso art. 606 c.p.p122.
Contrariamente a quanto sembra, però, la distinzione non si presenta sempre così chiara e definita.
“Motivare” significa tradurre in espressioni linguistiche il senso logico e giuridico della decisione, perciò la violazione di tale obbligo può manifestarsi sotto il profilo della oggettiva assenza di riflessioni su questioni decise oppure come l’apparente presenza di un elaborato argomentativo che risulta però inconferente rispetto alla decisione vertendo su un aliud pro alio123.
È possibile quindi equiparare al difetto di motivazione l’ipotesi della “motivazione apparente”, espressione che denuncia il ricorso a giustificazioni sostanzialmente inesistenti, fittizie ed apodittiche, poiché risultano completamente dissociate dalle risultanze processuali.
L’equiparazione della ‘motivazione mancante’ a quella ‘apparente’ rende di difficile individuazione la linea di demarcazione tra l’inosservanza dell’obbligo giuridico e la trasgressione delle regole poste a presidio della razionalità del provvedimento, soprattutto quando sia necessario procedere a stabilire quando la violazione dei criteri logici raggiunga un livello tale da sconfinare nell’inottemperanza all’obbligo
121 TOMEI, In tema di sindacato della Cassazione sui vizi di motivazione, CP, 1997, 2125 ss.
122 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in
Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 298 ss.
123 IACOVIELLO, Motivazione della sentenza penale, ED, agg. IV, Milano,
77 di motivazione, cioè nella vera e propria omissione124.
Soffermandoci sulla previsione secondo cui il giudice è tenuto ad illustrare, oltre agli esiti dell’attività di valutazione delle prove, i “criteri” di cui si è servito per convincersi della veridicità delle proposizioni fattuali poste a fondamento della decisione, non possiamo sottacere che tali criteri sono ricavati da leggi scientifiche e dalle cc.dd. “massime di esperienza”. Queste rappresentano giudizi di contenuto generale guadagnati mediante l’esperienza, ma autonomi ed indipendenti rispetto ai singoli casi concreti da decidere nel processo. L’elaborazione della “massima” implica l’astrazione e la generalizzazione di una determinata “esperienza”, attraverso l’individuazione dei caratteri comuni ad una serie di eventi passati assunti come dati di partenza e ciò fa sì che la decisione non rappresenti il risultato delle mere conoscenze di ogni singolo giudice.
L’adempimento del dovere di motivare si sostanzia soprattutto nell’esplicazione dell’iter logico seguito per raggiungere determinate conclusioni e tale obbligo comporta la preventiva individuazione da parte del giudice dei ‘criteri adottati’.
La scelta della regola inferenziale125 e la selezione delle massime
d’esperienza costituiscono attività fortemente espressive della razionalità del convincimento126, poiché occorre che il giudice dimostri
in motivazione di aver individuato criteri adeguati alla fattispecie
124 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in
Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 300.
125 Ovvero quella regola che consente il passaggio logico dal dato cognitivo
acquisito in sede istruttoria al giudizio sul fatto da provare. Cfr. AMODIO,
Motivazione della sentenza penale, ED, XXVII, Milano, 1977, cit., 208, il quale
sottolinea come «motivare significa rendere esplicito anche il canone di argomentazione utilizzato per arrivare alla affermazione della sussistenza del fatto imputato: il giudice fa leva non solo sui fatti indizianti, ma sulle massime d’esperienza che ne accreditano l’efficacia».
126 Osserva NOBILI, Il principio del libero convincimento del giudice,
Giuffrè, Milano, 1974, cit., 288, che «il libero convincimento del giudice…più che trovare un limite nelle massime d’esperienza, deve immedesimarsi con quella correttezza di giudizio che si ottiene attraverso di esse».
78 concreta, dando prova della loro congruenza rispetto ai dati cognitivi utilizzati ed alle conclusioni raggiunte.
Il duplice accertamento in ordine alla corretta generalizzazione di una pregressa esperienza e alla congruità della massima rispetto al caso di specie costituisce uno dei momenti della sequenza logica preordinata alla deliberazione: sulla base dei dati acquisiti attraverso l’attività istruttoria, applicando i criteri inferenziali, il giudice perviene infatti a determinati risultati di prova, che confronta poi con le affermazioni elevate a thema probandum, al fine di giungere alle conclusioni su cui si fonda la ricostruzione del fatto127.
Alla luce dell’art. 546 lett. e) del nuovo codice si fa obbligo al giudice di palesare, oltre la concisa esposizione dei motivi in fatto ed in diritto, anche l’«enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie».
Con tale norma è stata rafforzata la ‘socialità del convincimento’ in quanto la valutazione delle prove contrarie tende a prevenire le opinioni dissenzienti ed a confutarle.
Inoltre, imponendo al giudice la regola della ‘argomentazione razionale pratica’ caratterizzata dal confronto tra le opposte ragioni, si perviene ad una decisione non soltanto coerente ma anche ragionevole.
La decisione ragionevole è, infatti, quella emessa sulla base di una valutazione delle opposte argomentazioni e dei criteri adottati nella verifica razionale delle prove che dà vita ad un nuovo concetto di decisione modellato secondo lo schema del ‘giusto argomentare’, garanzia ineludibile di un processo equo. L’equità presuppone la aequalitas, cioè l’uguaglianza delle parti nella progettazione delle tesi e quindi l’eguale trattamento delle prove a carico e delle prove a discarico
127 UBERTIS, Prova (in generale), in Dig. disc. pen., vol. X, Utet, Milano,
1995, cit., 328, chiarisce che « la ‘prova’ come strumento gnoseologico diventa ‘prova’ come epilogo conoscitivo, denominato conclusione probatoria e posto alla base della ricostruzione del fatto».
79 nella formazione del suo convincimento128.
Il libero convincimento è così sottratto all’irrazionalità degli impulsi emotivi e si manifesta nel dialettico processo di formazione della decisione attraverso l’apporto costruttivo delle parti.
La necessità che il giudice debba soppesare le prove a carico ed a discarico ed esterni le ragioni per le quali non reputi attendibili le prove contrarie è espressione non solo di una necessità razionale e condivisa, ma anche della fondamentale esigenza etica di dimostrare che le «oscillazioni del dubbio hanno agitato il suo animo e che il motus animi si è placato nella quiete, cioè nella persuasione conforme a verità129».