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La valutazione degli indiz

CAPITOLO 2: LIBERO CONVINCIMENTO E ATTIVITÀ DI VALUTAZIONE DEL GIUDICE

2.9. La valutazione degli indiz

Quanto sia arduo per il legislatore fissare plausibili criteri di valutazione è dimostrato dalle direttive dell’art. 192 commi 2-4 c.p.p., la cui funzione è essenzialmente pedagogica153.

È sicuramente un limite forte quello imposto al libero convincimento attraverso il disposto dell’art. 192, 2° co., c.p.p. , secondo cui “l’esistenza di un fatto non può essere desunto da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti”.

La previsione riproduce una regola di valutazione già codificata in altro settore dell’ordinamento (art. 2729 c.c.) al dichiarato fine di porre un freno all’uso arbitrario ed indiscriminato di elementi che sul piano logico non hanno la stessa efficacia persuasiva delle c.d. “prove dirette154”.

In altri termini, con la disposizione di cui all’art. 192, 2° co., si è voluta arginare una «sorta di anarchia nelle operazioni conoscitive del giudice155» che il ricorso alla prova indiziaria inevitabilmente finisce per incentivare. Alla stessa logica rispondono i commi successivi relativi alle dichiarazioni del coimputato.

Come è noto, esistono tre nozioni di prova indiziaria.

152 SANTORIELLO, I criteri di valutazione della prova, in Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,

Torino, 2008, 384.

153 IACOVIELLO, La motivazione della sentenza penale e il suo controllo in cassazione, Giuffrè, Milano, 1997, 177ss.

154 La locuzione è mutuata dalla Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, cit., 61.

155 AMODIO, Libertà e legalità della prova nella disciplina della testimonianza, RIDPP, 1973, cit., 311.

88 Una prima nozione è quella definibile come “filosofico-scientifica”, secondo cui la prova indiziaria è costituita dalla prova induttiva, opposta sia a quella deduttiva che a quella ottenuta per verificazione diretta del fatto da provare.

È ben corretto, in una concezione olistica della prova, pretendere che nessun elemento sia valutato isolatamente, ma sempre come parte del complesso dei dati a disposizione del giudice; non è però in questo senso che si parla di ‘indizi’ nell’art. 192 c.p.p., dove evidentemente si vuole selezionare nell’ambito delle prove induttive un particolare tipo di prova, quella indiziaria.

Un’altra nozione è quella che si può chiamare “tecnico-giuridica”, secondo cui le prove indiziarie o critiche sono quelle che non appartengono al paradigma delle prove consistenti in dichiarazioni. La prova critica si individua per esclusione, sottraendo la prova narrativa dall’universo delle prove: “tutto ciò che, pur essendo rilevante ai fini del fatto da provare, non si riduce all’atto comunicativo che lo descrive, che lo notifica, è prova critica; dove l’aggettivo ‘critica’ sta ad indicare la decifrazione in cui si impegna il giudice per accertare se il fatto probatorio sia o no ‘segno’ di quello da provare. In altri termini, lo sforzo induttivo, che nelle dichiarazioni di prova verte sulla veridicità dell’informazione, nella prova critica si esplica su ciò che questa può ‘significare’, nel senso naturalistico della parola che designa relazioni di causalità156”.

La categoria cui si riferisce l’art. 192 c.p.p. non coincide, se non in parte, con quella delle prove critico-indiziarie.

Così intesa, la prova critico-indiziaria, pur essendo concettualmente ben definita, in nessun modo può contrapporsi alla prova dichiarativa per

156 Sul punto, FERRUA, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in

FERRUA-GRIFANTINI-ILLUMINATI-ORLANDI, La prova nel dibattimento

89 una minore attendibilità157.

Sarebbe infatti singolare che tutte le prove critico-indiziarie, comprese quelle fondate su solide leggi scientifiche, fossero soggette ad una valutazione più severa rispetto alle dichiarazioni di prova158.

È necessario allora ritenere che con il termine “indizi” l’art. 192 c.p.p. abbia inteso alludere solamente ad una parte delle prove critico- indiziarie, ovvero a quella che si fonda su una massima tratta dall’esperienza corrente e non su una legge scientifica159.

Possiamo così individuare una nozione “volgare” del termine, più vicina all’uso corrente dello stesso, secondo cui è tale la prova non fortemente conclusiva, ovvero la prova che non regge “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

L’indizio si differenzierebbe così dalle prove in senso stretto a causa della minore vincolatività dell’inferenza, essendovi coinvolte semplici massime d’esperienza fondate sull’id quod plerumque accidit.

Tipico riferimento sono le generalizzazioni fondate sul comportamento umano, il quale non è formalizzabile in leggi.

È possibile individuare relazioni di causa effetto nell’agire intenzionale, ma queste non ricadono sotto rigide leggi deterministiche come la causalità naturale: non esistono, infatti, leggi scientifiche della intenzionalità, della prova del dolo, dei moventi dell’azione.

Tali temi appartengono al regno del “verosimile” e, seppur non sia possibile attribuire singolarmente a ciascuna di esse significativa

157 FERRUA, Contraddittorio e verità nel processo penale, in Studi sul processo penale, II, Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992, 53 ss.

158 Non c’è motivo di sostenere che la presenza dell’imputato in un certo

luogo sia meglio documentata da una testimonianza che da un’impronta digitale o una fotografia che lo documentano lì presente ed appartengono al novero delle prove critiche. Ad esempio, nel caso Rodney King in California, una videocamera ha mostrato la scena del pestaggio, smentendo ogni contraria testimonianza. Cfr. FERRUA, La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015, 159.

90 rilevanza ai fini della decisione, non è possibile bandirle dal processo160. Il legislatore del 1988 ha riconosciuto la possibilità di provare un fatto per indizi, vale a dire attraverso elementi indicativi di un diverso accadimento, che consente di risalire in via induttiva al thema probandum161.

A tal fine, la norma impone però il rispetto di ben definiti canoni di valutazione, osservati i quali la prova indiziaria deve ritenersi assistita da un grado di affidabilità assimilabile a quello proprio della prova diretta.

Si deve quindi pretendere che l’ipotesi formulata su tali indizi trovi conferma in altri elementi e siano ragionevolmente da scartare spiegazioni alternative162.

La pluralità degli indizi, basata su distinte circostanze indizianti, costituisce perciò l’indispensabile premessa per la verifica del fatto oggetto dell’imputazione.

È probabilmente a questo genere di prove che si riferisce l’art. 192, 2° co., c.p.p., fissando un severo criterio di valutazione in base al quale gli indizi devono essere “gravi”, “precisi”, “concordanti”.

Inoltre, per assurgere al rango di prova, gli indizi debbono possedere, oltre ai suddetti requisiti, anche i caratteri logicamente deducibili della “certezza” e della “pluralità”.

È infatti necessario anzitutto che il dato indiziante (ovvero il factum probans) sia certo, vale a dire che “risulti provato in termini non

160 FERRUA, La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015, 159.

161 Nella prova indiretta “ciò che viene delineato dall’elemento di prova è

palesemente diverso dal risultato di prova da confrontare con l’affermazione probatoria ed a quest’ultimo si perviene attraverso una più consapevole mediazione intellettuale”. La differenza con la prova diretta tuttavia “non va colta in una diversa qualità logica dell’attività che si esercita per la prova…, ma in una diversa immediatezza logica nella conoscenza dell’oggetto della prova da parte del giudice”. Così UBERTIS, Prova, EG, XXV, Roma, 1991, cit., 313 ss.

162 FERRUA, La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015, 160.

91 equivoci sulla base delle risultanze istruttorie acquisite in atti163”. II requisito della “certezza” non è previsto expressis verbis ma è ritenuto un postulato implicitamente ricavabile dalla norma ed è destinato ad assolvere una fondamentale funzione di garanzia, escludendo che il processo di inferenza logica si fondi su elementi di dubbia attendibilità. Quanto al requisito della “gravità”, il legislatore ha inteso dare rilievo a indizi consistenti, cioè capaci di resistere alle obiezioni e quindi attendibili e convincenti.

«Le pronunce giurisprudenziali sul punto omettono tuttavia quasi sempre di precisare che la gravità non sia riferibile al fatto indiziante quanto piuttosto alle indicazioni che dallo stesso si possono induttivamente ricavare164». In tale ottica, l’indizio può definirsi “grave” solo quando la massima di esperienza che consente di risalire al fatto da provare presenti un alto grado di concludenza, cosicché l’“id quod plerumque accidit lascia così poco spazio all’atipico da potersi confinare questa seconda eventualità in un campo di marginalità ritenuto convenzionalmente accettabile165”.

Decisamente più controverso è il panorama giurisprudenziale sul requisito della “precisione”: una prima corrente di pensiero tende a ritenerlo sussistente in presenza del c.d. “indizio necessario”, allorquando cioè la valutazione inferenziale non possa che condurre al fatto oggetto di prova.

Secondo un diverso e più convincente indirizzo interpretativo, l’indizio resta preciso anche nel caso in cui, sebbene non induca ad un’unica conclusione, comunque consenta di formulare solo una ristretta cerchia

163 Affermazione ricorrente in giurisprudenza: Cass., sez. II, 3.5.2005, T.,

GDir, 2005, f. 35, 103; Cass., sez. II, 21.12.1999, Widman, CP, 2001, 591; Cass., sez. II, 28.6.1999, Capitani, ANPP, 1999, 616; Cass., sez. V, 21.11.1997, Campagna, GI, 1999, 131.

164 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in

Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 306.

92 di ipotesi fattuali166.

Dai richiamati orientamenti giurisprudenziali si evince chiaramente la comune tendenza a riferire il requisito della “precisione” non al dato indiziante, bensì alle indicazioni che questo è in grado di fornire, le quali devono essere tali da giustificare una serie ragionevolmente limitata di possibili ricostruzioni del fatto ignoto.

È sufficiente che i fatti su cui si basa l’indizio non siano generici e che l’inferenza avvenga alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento alla connessione verosimile degli accadimenti, la cui normale frequenza e ricorrenza può verificarsi secondo le regole dell’esperienza. Da ciò si deduce che non occorre che i fatti posti alla base dell’indizio siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati, secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva.

Il requisito della “concordanza” esprime la convergenza di più indizi verso la medesima conclusione, ossia verso la prova di fatti che rilevano ai fini del giudizio. A differenza della “gravità” e della “precisione”, tale requisito comporta l'apprezzamento complessivo degli elementi probatori di cui dispone il giudice, in un momento successivo, dal punto di vista logico, a quello dedicato all'esame parcellizzato dei dati indiziari.

Per la compiuta verifica del fatto oggetto dell’imputazione occorre che tra gli indizi si stabilisca un collegamento “non occasionale” e che “l’operazione logica globale degli indizi nasca dalla loro oggettiva confluenza in un’unica direzione167”.

Occorre inoltre soffermarsi sulle due fasi del procedimento decisorio: la prima, finalizzata all’apprezzamento dei singoli elementi indiziari, e la

166 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in

Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 308.

93 seconda, alla loro valutazione globale ed unitaria.

Tale esigenza scaturisce dalla constatazione che ogni indizio reca con sé un limite, costituito dalla naturale inidoneità a provare, isolatamente, il fatto ignoto168, cosicché il giudice deve necessariamente fondare il proprio convincimento su una pluralità di dati probatori che indirizzano nella stessa direzione.

Il concetto è stato chiarito in una nota pronuncia delle Sezioni Unite, in cui è stato precisato che “il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo169”. Secondo una prima impostazione il giudizio cui si perviene all’esito dell’articolata valutazione indiziaria dev’essere “l’unico possibile alla stregua degli elementi disponibili170”.

Tuttavia, una decisione che ha ad oggetto accadimenti della realtà inseriti in un contesto empirico e non logico rifugge da ogni ambizione di certezza assoluta e si rapporta ineluttabilmente al concetto di probabilità.

168 Non mancano tuttavia pronunce giurisprudenziali nelle quali si è affermato

che “anche un solo indizio può consentire di desumere l’esistenza del fatto ignoto, purché sia talmente preciso da necessariamente condurre a questo sul piano logico, senza la mediazione di altri indizi”. E ciò perché l’art. 192, 2° co., c.p.p. si limiterebbe a richiedere “gravità”, “precisione”, “concordanza” “solo quando nessuno degli indizi esistenti, considerato disgiuntamente dagli altri, consenta di risalire al fatto ignoto” (Cass., sez. IV, 26.4.1996, P.g. in proc. Piscopo, MUff., 206960).

169 Cass., sez. un., 20.9.2005, Mannino ed altri, CP, 2005, 3732.

Inoltre, Cass. 25.3.2013 n. 255677 “In tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione parcellizzata ed atomistica dei singoli indizi ma deve procedere anche ad un esame globale degli stessi al fine di verificare se l’ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa essere superata”; nello stesso senso, Cass. 18.4.2013, n. 258321; Id. 19.9.2013, n. 256967.

94 Quindi in ambito processuale, deve considerarsi accertato “non ciò che è conosciuto senza alcun margine di dubbio possibile, ma ciò che è stabilito con un grado di probabilità tale da far ritenere ragionevolmente fondata la decisione che assuma come vero un determinato fatto171”. È da condividere perciò l’idea di una ricostruzione indiziaria in termini di certezza relativa, che escluda cioè la “prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche ... la più astratta e remota delle possibilità172”.

Alla luce di tale interpretazione la previsione di cui all’art. 192, 2° co., c.p.p. valorizza la dimensione razionale e garantistica del principio del libero convincimento, in quanto il legislatore non giunge ad imporre una acritica adesione a risultati configurati anticipatamente all’assunzione della prova ma si preoccupa che la decisione sia pronunciata nel rispetto di determinati canoni di ricerca173.

Comunque lo si intenda, l’art. 192, 2° co., c.p.p. rappresenta una tautologia: l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano “gravi”, “precisi”, “concordanti”, ossia “conclusivi”. Tale assunto non potrebbe infatti mai essere negato174.

Il fulcro della discussione è rappresentato dal fatto di stabilire quali degli indizi raccolti abbiano realmente tali requisiti e la risposta, nell’inevitabile silenzio del legislatore, spetta solamente al giudice175.

Riguardo l’autonomia che conserva il criterio di valutazione di cui

171 TARUFFO, Certezza e probabilità nelle presunzioni in Foro Italiano, V,

1974, cit., 97.

172 Così Cass., sez., V, 1.4.1996, Compagnin, CP, 1996, 3425, dove si

evidenzia peraltro che non può assumere rilievo un’alternativa “in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori”.

173 AMODIO, Libertà e legalità nella prova nella disciplina della testimonianza, RIDPP, 1973, 323.

174 Sul punto, FERRUA, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in

FERRUA-GRIFANTINI-ILLUMINATI-ORLANDI, La prova nel dibattimento

penale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, 325.

175 ID., La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento,

95 all’art. 192, 2° c.p.p. di fronte alla regola ormai codificata dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, possiamo osservare che il primo riguarda una particolare categoria di prove, mentre la seconda rappresenta una regola generale di giudizio, relativa alla valutazione complessiva delle stesse. È da sottolineare che nella sequenza argomentativa che sorregge la condanna ogni fallacia relativa ad un passo inferenziale si ripercuote sull’esito finale; se la condanna assume come ‘provato’ un qualsiasi fatto non sorretto da indizi “gravi”, “precisi”, “concordanti” si ritiene compromessa anche la regola dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, la quale assorbe e sopravanza i singoli criteri di valutazione della prova. Può semmai accadere che, nonostante la presenza di indizi “gravi”, “precisi”, “concordanti”, il fatto non sia provato “al di là di ogni ragionevole dubbio176”.

2.10. La valutazione delle dichiarazioni rese da soggetti interessati: il