CAPITOLO 2: LIBERO CONVINCIMENTO E ATTIVITÀ DI VALUTAZIONE DEL GIUDICE
2.10. La valutazione delle dichiarazioni rese da soggetti interessati: il contributo dell’imputato di reato connesso o collegato
Il codice del 1988 ha espressamente riconosciuto nel 3° comma dell’art.192 c.p.p. il valore probatorio delle dichiarazioni rese da coimputati del medesimo reato, nonché da imputati di fatti connessi (art. 12 c.p.p.) le cui dichiarazioni «sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità».
Regola estesa dal comma successivo alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato, nel caso previsto dall’art. 371, 2° co., lett. b) c.p.p. e, in forza della legge di attuazione del giusto processo 1 Marzo 2001 n. 63, anche alle dichiarazioni rese dagli imputati che abbiano assunto la qualità di testimoni ai sensi dell’art. 197-bis c.p.p.
Il 3° e 4° comma dell’art. 192 c.p.p. disciplinano il fenomeno della c.d.
176 ID., La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento,
96 “chiamata in correità177”.
Il legislatore ha optato dunque per non rinunciare al possibile contributo conoscitivo di soggetti coinvolti in fatti rilevanti ai fini del giudizio, scegliendo invece di introdurre limiti normativi alla valutazione di tale contributo rispetto all’ipotesi della previsione di inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti da chi è portatore di un interesse qualificato in relazione all’esito dell’accertamento penale.
La forma della disposizione è mal congegnata in quanto genera l’equivoco presente nel rapporto tra regole di esclusione e criteri di valutazione poiché sembrerebbe prima facie che la dichiarazione del coimputato non possa essere utilizzata178; in realtà questa deve essere utilizzata e valutata, in quanto legittimamente acquisita al processo. Ciò che si vieta non è dunque la valutazione ma un «certo esito della valutazione, la prova del fatto dichiarato, quando mancano i riscontri179».
Secondo l’art. 192, 3° co., c.p.p. le dichiarazioni dell’imputato di reato connesso o collegato devono essere valutate unitamente agli altri elementi di prova anche quando l’imputazione elevata a carico del dichiarante risulti già definita con pronuncia irrevocabile180. È indubbio
che le dichiarazioni rese dall’imputato di reato connesso o collegato
177 È opportuno precisare che sebbene dottrina e giurisprudenza facciano
costante ricorso alla locuzione “chiamata in correità”, tale espressione rende conto di un solo aspetto del fenomeno che descrive. Per “chiamata in correità” infatti non può che intendersi l’accusa, mossa da uno degli autori ad altro soggetto, di aver partecipato alla commissione del medesimo reato. L’espressione non comprenderebbe invece l’ipotesi in cui il dichiarante, pur essendo a conoscenza del fatto illecito, non vi abbia partecipato (su tale distinzione, Cass., sez. I, 10.5.1993, Algranti, CP, 1995, 2634).
178 Nel senso che si è in presenza di una regola di valutazione cfr. FERRUA, Il giudizio penale, cit. e DANIELE, Regole di esclusione, cit., 132; in senso contrario,
DINACCI, L’inutilizzabilità, cit., 25.
179 FERRUA, La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015, 162.
180 Secondo il disposto dell’art. 197-bis, 6° co., c.p.p., il contributo del
dichiarante va valutato nel rispetto dei canoni di cui all’art.192, 3° co., c.p.p. anche quando la sua posizione sia stata definita ed assuma la veste di testimone, a meno che sia stata pronunciata sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.
97 siano connotate da un’intrinseca debolezza dimostrativa in ragione della ritenuta inaffidabilità della fonte da cui promanano181 e ciò ha indotto il
legislatore a pretendere che siano assistite da riscontri esterni, volti a suffragarne l’attendibilità.
È necessario perciò che le dichiarazioni di tali soggetti siano sottoposte ad un rigoroso vaglio di attendibilità.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il controllo debba svolgersi sotto un triplice profilo: un primo profilo attinente alla credibilità del dichiarante, ossia alla circostanza che sia persona degna di fede; un altro profilo riguardante l’attendibilità oggettiva delle dichiarazioni, intesa come coerenza, accuratezza e verosimiglianza della narrazione, e, infine, il controllo deve svolgersi in rapporto ai cc.dd. riscontri estrinseci, ovvero alla circostanza che il racconto del coimputato, nelle parti significative per la ricostruzione dei fatti, trovi conferma in altri elementi di prova.
Mentre i primi due controlli sono tipici della prova testimoniale182, l’ultimo è specifico delle dichiarazioni del coimputato.
La valutazione congiunta di plurimi dati probatori imposta dall’art. 192, 3° co., c.p.p. rievoca la sinergia indiziaria, ovvero quella integrazione logica tra una molteplicità di elementi cognitivi che caratterizza la formazione della prova indiretta.
La chiamata in correità il più delle volte fornisce elementi direttamente rappresentativi del fatto da provare, a differenza degli indizi che, in quanto indicativi di un fatto diverso da quello di interesse processuale,
181 Il regime previsto dall’art. 192, 2° co., c.p.p. non opera tuttavia nelle
ipotesi in cui l’imputato del medesimo reato connesso o collegato sia stato assolto con pronuncia irrevocabile “per non aver commesso il fatto”, in quanto risulta acclarata in via definitiva l’estraneità del dichiarante agli interessi in gioco. Cfr. C. Cost., 21.11.2006, n.381, DPP, 2007, 39.
182 Come affermano le Sez. un., 29.11.2012, in Giur. it., 2013, 1249, il
percorso valutativo sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sull’attendibilità oggettiva delle dichiarazioni “non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati”, in quanto l’una e l’altra “devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, 3° comma alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale”.
98 consentono l’accertamento di un thema probandum esclusivamente in termini inferenziali.
Pur dando vita ad una disciplina per certi aspetti assimilabile, le disposizioni inserite al 2° e 3° co. dell’art. 192 c.p.p. si basano quindi su giudizi di valore profondamente diversi: nell’un caso, il limite all’affermazione della responsabilità sulla scorta di indizi è riconducibile alla minore capacità dimostrativa che intrinsecamente caratterizza tali elementi; nell’altro, l’esigenza di non fondare la prova esclusivamente su dichiarazioni provenienti da soggetti interessati scaturisce dalla valutazione negativa, compiuta in via preventiva ed astratta dal legislatore, in ordine all’affidabilità della fonte183.
La conferma dell’attendibilità della prova mediante riscontri costituisce uno dei profili più delicati della c.d. “accomplice evidence".
Nella valutazione operata ex art. 192, 3° co., c.p.p. trova infatti il proprio campo di applicazione elettivo la tecnica della corroboration: una tecnica ampiamente sperimentata dai sistemi di common law che esige il rafforzamento logico di un elemento cognitivo considerato inidoneo di per sé a supportare il risultato probatorio.
Per conseguire valore probatorio, la chiamata in correità deve superare una duplice verifica di attendibilità, prima intrinseca e poi estrinseca. Il giudice è infatti tenuto ad effettuare un primo vaglio, comune per l’apprezzamento di ogni prova a contenuto dichiarativo; egli deve infatti procedere a vagliare la credibilità intrinseca delle dichiarazioni attraverso il riferimento ad una serie di parametri segnalati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, quali la personalità del dichiarante184, le sue
183 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in
Aa. Vv., La prova penale, volume terzo, La valutazione della prova , a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 312.
184 È stata opportunamente rilevata la distinzione tra “collaborante di
giustizia” e semplice “chiamato in correità”. Il primo, pur rientrando tra i soggetti indicati dall’art. 192, 3°- 4° co., c.p.p. riveste un ruolo dal quale discendono effetti giuridicamente e processualmente rilevanti. Cfr., Ass. Catania, 12.5.1995, Santapaola,
99 condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i rapporti con le persone coinvolte nella vicenda, la coerenza, la costanza e la spontaneità della narrazione.
Una volta che si sia superato positivamente questo primo vaglio occorre accertare la sussistenza di elementi di riscontro, esigenza richiesta invece per le sole fonti probatorie da valutare ai sensi dell’art. 192, 3° comma.
La formulazione della norma, nel pretendere l’esame delle dichiarazioni “unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”, sembra prospettare l’esigenza di una pluralità di autonomi riscontri esterni, anche se neppure la giurisprudenza più garantista si è mai spinta fino ad un’interpretazione letterale così rigorosa.
È considerata invece condizione essenziale per la verifica estrinseca la necessità che i riscontri esterni si riferiscano a fatti storicamente accertati.
Si evidenzia inoltre che i dati probatori su cui si fonda il vaglio di attendibilità estrinseca devono comunque essere di una consistenza tale da resistere sul piano logico alle obiezioni ricavabili dagli elementi di segno opposto eventualmente addotti dall’imputato185.
Tale profilo sottolinea e valorizza il ruolo del giudice, libero di valutare in senso negativo anche una dichiarazione fornita di riscontri esterni se non ritiene raggiunto, alla luce delle contrapposte prospettazioni delle parti, quel grado di certezza che deve sempre supportare la prova del fatto.
La regola di cui all’art. 192, 3° co., c.p.p. non può essere intesa come una imposizione di un determinato esito al verificarsi delle condizioni ivi previste, in quanto una simile interpretazione finirebbe per svilire il principio del libero convincimento, precludendone l’operatività nel
di collaborazione con lo Stato, che ha come contenuto essenziale l’obbligo di deporre su tutti i reati d cui è a conoscenza, indicandone i responsabili.
100 settore dedicato alla disciplina del contributo dichiarativo dei “correo". Possiamo quindi concludere che solo il giudice possa compiere il passo propriamente inferenziale, volto a stabilire cosa sia in concreto idoneo a confermare l’attendibilità di una dichiarazione186.