CAPITOLO 2: LIBERO CONVINCIMENTO E ATTIVITÀ DI VALUTAZIONE DEL GIUDICE
3.6. Il ricorso alle massime d’esperienza
Le cautele che devono caratterizzare l’operato del giudice allorquando affida la sua decisione all’utilizzo di leggi scientifiche, a maggior ragione abbisognano di essere osservate laddove l’inferenza dall’elemento al risultato di prova sia ottenuta attraverso il ricorso alle cosiddette “massime d’esperienza”, ovvero «definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto da decidersi nel processo e dalle sue singole circostanze; conquistate con l’esperienza ma autonome nei confronti dei singoli casi, dalla cui osservazione sono dedotte ed oltre ai quali devono valere per nuovi casi262».
La massima d’esperienza è una regola di comportamento che esprime quello che avviene nella maggior parte dei casi (l’id quod plerumque accidit); in quanto regola, non appartiene al mondo dei fatti e dà luogo
261 In proposito, può essere utile fare un ulteriore esempio: si dia il caso di un
processo per lesioni gravi a carico di Tizio, il quale, affetto da A.I.D.S., ha avuto un rapporto sessuale con Caia tacendo tale sua malattia e determinando, secondo l’accusa, la trasmissione del virus. Il medico legale conferma che effettivamente il virus in parola può essere trasmesso a seguito di un rapporto sessuale, ma nel contempo evidenzia come ciò di fatto accada in un numero assolutamente irrilevante di casi e come, fra il momento del contagio e l’emersione della malattia possano trascorrere fino a 20 anni.
È evidente che da tale deposizione è possibile trarre solo una considerazione circa la plausibilità dell’accusa, nel senso che la scienza ha accertato che la malattia in discorso possa trasmettersi anche mediante rapporto sessuale; quale rilevanza abbia poi tale conclusione ai fini della dimostrazione dell’accusa nei confronti di Tizio dipende dagli altri risultati di prova acquisiti nel processo. Cfr., SANTORIELLO, I criteri di
valutazione della prova, in Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 391.
262 STEIN, Das private wassen des richters, Lipsia, 1893. Per la traduzione di
cui al testo, cfr. LEONE, Contributo allo studio delle massime d’esperienza e dei fatti
130 ad un giudizio di probabilità e non di certezza263.
Tale particolare strumento iniziò ad essere utilizzato nell’ambito del ragionamento giudiziario in conseguenza dell’emersione dell’esigenza di superare la rigorosa applicazione, nel processo civile, del principio dispositivo. Dal momento che questo principio vietava al giudice di servirsi del suo sapere privato, diventava necessario individuare una qualche modalità per consentire all’organo giurisdizionale di fondare comunque la propria decisione sulle più comuni nozioni empiriche di carattere generale e derivanti dall’osservazione dell’esperienza dell’uomo264.
La categoria delle massime d’esperienza fu creata dalla dottrina al fine di consentire l’ingresso in sede giudiziale di questi giudizi ipotetici di carattere generale, finendo per attribuire agli stessi natura normativa. Le massime d’esperienza iniziarono così ad essere configurate quali norme di diritto non scritto, sulla cui applicazione poteva esercitarsi finanche il controllo in astratto del giudice di legittimità265.
Nella formulazione delle ipotesi ricostruttive non si utilizzano soltanto leggi scientifiche ma anche massime d’esperienza.
Comunemente si nota che, accertato un fatto mediante una legge scientifica, questa non è mai l’ultima inferenza che ci permette di affermare la responsabilità dell’imputato. «Se la scienza dice che quella impronta appartiene a Tizio, questo ci autorizza a ritenere che Tizio ha toccato quell’oggetto, non che Tizio abbia commesso il furto in quell’appartamento, nel quale può avere avuto accesso per legittime
263 CONTI, TONINI, Il diritto delle prove penali, seconda edizione, Giuffrè,
Milano, 2014, 49.
264 SANTORIELLO, I criteri di valutazione della prova, in Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,
Torino, 2008, 392.
265 LOMBARDO, La prova giudiziale. Contributo alla teoria del giudizio di fatto nel processo, Giuffrè, Milano, 1999, cit., 153; TARUFFO, Studi sulla rilevanza della prova, CEDAM, Padova, 1970, 197.
131 ragioni266».
È necessario assumere consapevolezza del fatto che la scienza non offre il passaggio finale per la ricostruzione del fatto storico: tale ricostruzione è il frutto di una decisione mentale complessa, nella quale operano i criteri della logica e dell’esperienza, che presiedono in generale ai momenti della valutazione267.
Sotto il profilo concettuale, sia le massime d’esperienze che la legge scientifica possono essere considerate regole che collegano due classi di fatti secondo lo schema di un enunciato condizionale, per cui “se A, allora B”.
Tuttavia, possiamo rilevare una loro diversa affidabilità: le massime d’esperienza, infatti, consistono in mere generalizzazioni fondate su «eventi precedenti che vengono interpretati ed accomunati sulla base di determinate coordinate concettuali presupposte, che devono essere comuni tra gli interlocutori268», con la conseguenza che esse possono essere «poste in relazione con il dato empirico direttamente osservato, in modo da consentirne la sussunzione, soltanto se, a sua volta, sulla base delle medesime coordinate concettuali adottate per la costruzione di ciascuna massima, è possibile ritenere che le esperienze passate considerate ed il dato nuovo hanno carattere analoghi269».
L’individuazione delle massime di esperienza, dunque, è rimessa integralmente alla discrezionalità del giudice che decide, il quale non può fare riferimento ad un criterio di inferenza messogli a disposizione da un sapere extragiuridico stabile e consolidato, come accade nel caso di ricorso alle leggi scientifiche, ma deve piuttosto utilizzare «opinioni
266 FASSONE, Le scienze come ausilio nella ricerca del fatto e nel giudizio di valore, in La prova scientifica nel processo penale, a cura di De Cataldo Neuburger,
Cedam, Padova, 2007, 247.
267 DOMINIONI, Prova scientifica (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Annali, vol. II,
t. 1, Milano, 2008, 993.
268 LOMBARDO, La prova giudiziale. Contributo alla teoria del giudizio di fatto nel processo, Giuffrè, Milano, 1999, cit., 153.
269 UBERTIS, Fatto e valore nel sistema probatorio penale, Giuffrè, Milano,
132 consolidate nel patrimonio culturale della comunità sociale... che consentono di trarre, dai dati empirici offerti dalle prove, argomenti di convincimento in ordine all’esistenza o all’inesistenza del fatto che costituisce l’oggetto dell’ipotesi fattuale sottoposta a controllo270». Tale condizione conferisce al giudice una eccezionale libertà nella definizione della massima applicabile con riferimento al singolo elemento di prova di cui è venuto in possesso, e ciò comporta due significativi rischi per la correttezza e veridicità della decisione finale. Il giudice può infatti far ricorso a opinioni e giudizi di valore che pur godendo di consenso sociale sono comunque inattendibili, ed inoltre può egli stesso provvedere alla formulazione della massima di esperienza, giungendo in definitiva a inventarsi un criterio d’inferenza che non c’è271.
A differenza delle leggi scientifiche, le massime d’esperienza non sono sperimentabili, in quanto il reato è un fatto umano che per sua natura non è ripetibile, né quantificabile. Non sono controllabili, in quanto non esistono persone in grado di seguire, attraverso tecniche comunemente accettate, il nascere di una regola di esperienza ed il suo livello di generalità. Non sono generali, perché le regole del comportamento umano ammettono eccezioni, né autonome rispetto ai casi dai quali sono state tratte perché da questi sono ricavate.
270 LOMBARDO, La prova giudiziale. Contributo alla teoria del giudizio di fatto nel processo, Giuffrè, Milano, 1999, cit., 421.
271 Emblematica in proposito una decisione della Cassazione con la quale,
nell’ambito di un giudizio per violenza sessuale nei confronti di un imputato che protestava la propria innocenza sostenendo che la donna era stata consenziente, la Corte di legittimità ha annullato per vizio di motivazione la sentenza di condanna rilevando che la donna indossava i jeans e che "è un dato di comune esperienza che è quasi impossibile sfilare anche in parte i jeans ad una persona senza la sua fattiva collaborazione, poiché trattasi di un'operazione che è già assai difficoltosa per chi li indossa". Come si vede, in questo caso, da un elemento di prova assolutamente insignificante rispetto all'imputazione - giacché nessuna rilevanza può essere attribuita all'abbigliamento indossato da una vittima di una violenza sessuale - il giudice fa scaturire un risultato di prova basilare per la decisione a mezzo dell'applicazione di una massima d'esperienza fortemente discutibile. Si veda Cass., sez. III, 6.11.1998, Cristiano, CP, 1999, 2194.
133 Per tali motivi, sia nella formulazione che nella applicazione di una regola di esperienza, il giudice deve essere particolarmente cauto. Le leggi scientifiche sono invece sperimentabili, perché il fenomeno scientifico deve essere riconducibile ad esperimenti misurabili quantitativamente; generali, in quanto il margine di eccezione è esattamente conosciuto, e controllabili, poiché la loro formulazione è sottoposta alla critica della comunità degli esperti272.
Il ricorso alle massime d’esperienza risulta necessario per attribuire significato e senso a dati della realtà che altrimenti sarebbero insignificanti per il giudice, il quale in loro assenza sarebbe sfornito di qualsiasi chiave di lettura in ordine alle prove fornitegli dalle parti per la ricostruzione dell’accaduto273; tuttavia, le inferenze cui si perviene a mezzo di tali strumenti del ragionamento logico hanno scarsa affidabilità, le conclusioni che ne derivano sono semplicemente «un’opinione corretta, plausibile: qualcosa di più della semplice possibilità logica o fisica e qualcosa di meno della conoscenza vera e propria, non essendo basate né su evidenze statistiche né su leggi rigorosamente controllate; appartengono al regno del verosimile, vecchia categoria retorica, a metà fra la scienza e l’ideologia274».
Perciò occorre riconoscere che, allorquando l’interpretazione di un dato di prova venga operata da giudice mediante il ricorso ad una massima di esperienza, si apre un rilevante spazio di discrezionalità, il cui esercizio è essenziale per colmare «l’incomprimibile spazio di indeterminatezza della prova275».
272 CONTI, TONINI, Il diritto delle prove penali, seconda edizione, Giuffrè,
Milano, 2014, 52.
273 Sul punto, FERRUA, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in
FERRUA-GRIFANTINI-ILLUMINATI-ORLANDI, La prova nel dibattimento
penale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, cit., 220.
274 Ancora, FERRUA, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in FERRUA-
GRIFANTINI-ILLUMINATI-ORLANDI, La prova nel dibattimento penale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, cit., 220.
275 IACOVIELLO, Motivazione della sentenza penale, ED, agg. IV, Milano,
134 Inoltre, occorre che la regola di esperienza sia costruita con un metodo corretto, il più possibile vicino a quello scientifico: risulta perciò necessario porre attenzione a non scambiare per massima d’esperienza quello che è un mero pregiudizio comune.
Come sappiamo, la prova indiziaria è accettabile con un maggior grado di tranquillità quando la regola da applicare è di tipo scientifico; il risultato probatorio ha infatti un alto grado di probabilità a condizione che la legge scientifica non soffra di eccezioni e che la medesima sia applicata correttamente al caso concreto276.