CAPITOLO 2: LIBERO CONVINCIMENTO E ATTIVITÀ DI VALUTAZIONE DEL GIUDICE
2.4. Valutazione della prova: un’attività legale e razionale
Ai sensi del primo comma dell’art. 192 c.p.p. “il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati”.
È sicuramente con la formulazione di tale articolo che i compilatori del codice del 1988 hanno espresso la loro scelta in favore del libero convincimento del giudice, affermando il principio e ponendo nel contempo i limiti all’esercizio indiscriminato del potere decisorio. Anziché trovare posto nell’ambito della disciplina del giudizio dibattimentale, il tema della valutazione della prova è stato affrontato dal legislatore in termini più ampi, attraverso l’elaborazione di norme destinate a trascendere i singoli momenti dell’evoluzione procedimentale. La previsione dell’art. 192 c.p.p. è collocata, non a
93 Per NOBILI, Libero convincimento del giudice (diritto processuale penale), EG, XVIII; Roma, 1990, 1, il metodo argomentativo «integra un tratto saliente
dei sistemi processuali moderni: con la sua adozione illuminismo e rivoluzione francese realizzarono effettivamente una grande riforma della gnoseologia giudiziaria».
65 caso, nel titolo di apertura del libro III del codice tra le disposizioni generali in tema di prova ed è espressione della scelta sistematica rivelatrice dell’intento di attribuire una valenza generale alla disciplina dettata dall’art. 192 c.p.p., applicabile in linea di principio ad ogni decisione che richieda accertamenti di natura discrezionale, fatti salvi ovviamente gli adattamenti di volta in volta previsti da specifiche disposizioni in ragione delle peculiarità dei singoli provvedimenti94. La disposizione riflette la struttura ternaria della prova: oggetto di valutazione sono le prove, ossia le premesse probatorie; i risultati acquisiti sono le proposizioni da provare; i criteri adottati attengono all’atto del provare ed in particolare all’essere o meno raggiunta la prova dell’“oltre ogni ragionevole dubbio95”.
Nell’analisi del principio del libero convincimento non possiamo fare a meno di soffermarsi sul significato dei termini che compongono l’endiadi “Libero convincimento”.
L’etimologia del sostantivo evoca scenari di stampo accusatorio, poiché «il termine ‘convincimento’ (dal latino “cumvinco”) allude all’idea di vincere un avversario, ossia di superare (“vincere”) con certi argomenti l’asserzione contrastante alla propria96».
In sostanza, l’analisi semantica suggerisce l’immagine di una contesa tra pari risolta dal giudice, terzo ed imparziale, quando questi abbia maturato la convinzione della fondatezza di una delle tesi contrapposte. In realtà, il termine “convincimento” è sinonimo di “persuasione” e, così inteso, ha rappresentato una costante nella formulazione del principio, a
94 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in
Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 296.
95 FERRUA, La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento, G.Giappichelli Editore, Torino, 2015, 155.
96 NOBILI, Il principio del libero convincimento del giudice, Giuffrè, Milano,
66 prescindere dal sistema processuale di riferimento97.
Il senso della formula va, però, ricercato nell’aggettivo.
L’assunto non può essere negato, ove solo si consideri che il passaggio dall’“intimo” al “libero” convincimento ha radicalmente trasformato la fisionomia del principio, in concomitanza con l’affermarsi di un diverso modo d’intendere il giudizio sul fatto.
L’originario riferimento al foro interno dei giurati, chiamati a deliberare un verdetto essenzialmente dettato dall’istinto, rivelava l’intento di epurare la decisione da qualunque condizionamento di tipo normativo, in linea con una concezione irrazionalistica del giudizio, orientato unicamente dal comune buon senso e dalla moralità dei giudici popolari98.
Lo scenario è cambiato completamente con l’avvento del codice napoleonico: il convincimento del giudice ha perso la sua connotazione intimistica ed è stato definito “libero”, per la necessità di adeguare il principio a sistemi processuali caratterizzati dal ritorno ad un giudizio di natura tecnica, affidato all’esperienza e alla professionalità di magistrati togati.
Con la avvenuta burocratizzazione della magistratura e la contestuale previsione di un obbligo di motivazione del provvedimento giudiziale, la formula “libero convincimento” è andata ad indicare un metodo di valutazione giudiziale dei dati probatori caratterizzato da una discrezionalità razionale implicante una dettagliata analisi di tutti gli
97 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in
Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 284.
98 La scelta in favore della intime conviction fu preceduta da un intenso
dibattito sulla opportunità di attribuire alle giurie popolari un potere decisorio sostanzialmente incontrollabile, con la conseguente impossibilità di arginare il rischio di decisioni arbitrarie. Alla fine risultò decisivo l’invito dei fautori dell’intimo convincimento a confidare nel “buon senso” e nella “moralità” dei giurati, i quali avrebbero garantito verdetti non contaminati da interessi personali, non essendo essi preposti all’esercizio della funzione giurisdizionale. DELLA MONICA, La parabola
del principio del libero convincimento in Aa.Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 285.
67 elementi che sono in ultimo grado determinanti ai fini dell’accertamento giudiziale dei fatti99.
La nuova formula ha posto il problema della individuazione dei limiti entro i quali la libertà del giudice possa effettivamente esplicarsi, soprattutto in presenza di regole normative che orientino la valutazione della prova.
L’attività di valutazione delle prove è attività di stretta pertinenza giudiziale.
Non è infatti possibile normativizzare l’inferenza con standards oggettivi di valutazione in quanto le regole rigide ed astratte della legge non sono certo in grado di guidare i moti dell’inferenza giudiziale, attenti al dato empirico ed al contesto probatorio100.
Compito del legislatore é quello di costruire la fattispecie criminosa, stabilire quali siano le “prove” ed i dati utilizzabili, dettare i criteri di acquisizione delle prove stabilendo cosa possa (“regole di inclusione”) e cosa non possa (“regole di esclusione”) entrare nel quadro decisorio, ma nulla più.
Quale valore assumano le prove legittimamente acquisite e cosa in concreto significhino sul tema dell’imputazione può dirlo solo il giudice, esplicitando nella motivazione i suoi criteri di valutazione. In ciò consiste la sua prerogativa, bisognosa di salvaguardia rispetto ad incursioni legislative101.
In proposito, la riflessione circa il ruolo del legislatore nella disciplina dell’attività processuale di ricostruzione dell’accaduto deve partire dal riconoscimento della circostanza che per quanto profonda ed analitica possa essere stata la ricostruzione dell'accaduto svolta in sede
99 Cfr. UBERTIS, La prova penale. Profili giuridici ed epistemologici, Utet
giuridica, Torino, 1995, cit., 88.
100 Sul punto, FERRUA, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in
FERRUA-GRIFANTINI-ILLUMINATI-ORLANDI, La prova nel dibattimento
penale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, 316.
101 FERRUA, La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015, 155.
68 processuale, nulla potrà mai garantire la corrispondenza fra quanto asserito nella relativa decisione ed i fatti come effettivamente verificatisi in passato102. Al di là delle limitazioni che l’attività di ricostruzione storica del giudice incontra nel processo in ossequio a valori diversi rispetto a quello della veridicità dell’accertamento dei fatti103, va considerato sempre che «il passaggio dalle premesse probatorie alla proposizione da provare è frutto di un’inferenza induttiva, nella quale il risultato non discende per necessità logica dai dati di partenza, ma è da essi reso soltanto più o meno probabile104»: per quanto numerosi, rilevanti ed attendibili siano gli elementi di prova raccolti, nessun giudice sarà mai in grado di raccordarli in termini tali da garantire un assoluto valore di verità alla decisione che se ne vorrà desumere. Anche la supposta forza razionale del pensiero sillogistico non potrà mai pervenire ad un esito certo circa la fondatezza dell’accusa, essendo irrilevante la coerenza e la derivazione logica di una conclusione da determinate premesse, perché nella prima c’è sempre un qualcosa di diverso rispetto alle seconde: «la conclusione è meno solida delle premesse nella stretta misura in cui dice più di quanto dicono queste e proprio in quanto crea nuova informazione, non può essere puramente consequenziale105».
Tale difficoltà nell’opera di ricostruzione del passato è peraltro accentuata dalla circostanza che l’oggetto di tale attività epistemologica
102 SANTORIELLO, I criteri di valutazione della prova, in Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,
Torino, 2008, 379.
103 Non ogni dato empirico può essere considerato legittimamente utilizzabile
dal giudice, il quale deve astenersi dal considerare come prova elementi epistemologici acquisiti in violazione di divieti legislativi od in contrasto con le previsioni relative alle modalità di ingresso e formazione di tali dati epistemici nel processo penale.
104 FERRUA, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in FERRUA-
GRIFANTINI-ILLUMINATI-ORLANDI, La prova nel dibattimento penale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, 312.
105 ID., Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in FERRUA-
GRIFANTINI-ILLUMINATI-ORLANDI, La prova nel dibattimento penale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, 312.
69 non riguarda solo eventi del mondo naturale, ma spesso si incentra su profili dell’agire umano assolutamente insuscettibili di una dimostrazione compiuta e corretta, quali ad esempio la sussistenza della volontà criminale, l’intensità del dolo, la gravità della negligenza colposa ecc. Per decidere della sussistenza di tali atteggiamenti della volontà non è possibile il ricorso a leggi scientifiche, ma è necessario far riferimento a generalizzazioni empiriche il cui contenuto si fonda sull’osservazione del comportamento umano e che, perciò, possono determinare il formarsi di un’opinione corretta e plausibile, ma di cui certo non possono garantire in maniera indiscutibile il valore di verità. Tali affermazioni non comportano il ritorno ad un soggettivismo solipsistico del giudice ma dobbiamo riconoscere che la definizione dei confini di una possibile disciplina in tema di valutazione della prova sia attività particolarmente complessa e foriera di rischi non indifferenti per il valore di correttezza della decisione106.
Ogni intervento del legislatore inteso a disciplinare il contenuto della decisione del giudice alla luce dei dati probatori dallo stesso raccolti persegue, da un lato, una finalità irraggiungibile e, dall’altro, approda ad un risultato censurabile: sotto il primo profilo, anche la regola di valutazione della prova dettata dalla norma mantiene in capo al giudice un insopprimibile margine di discrezionalità, di modo che la stessa possibilità applicativa della previsione legislativa venga ad essere rimessa comunque ad una decisione del giudice; sotto il secondo aspetto, invece, il legislatore, al fine di formulare regole vincolanti di valutazione della prova, dovrebbe far riferimento a generalizzazioni del comportamento umano ed opinioni consolidate nel patrimonio culturale della comunità sociale prive di qualsiasi scientificità e suscettibili di essere smentite in ogni momento e quindi inidonee a fungere da solidi
106 IACOVIELLO, Motivazione della sentenza penale, ED, agg. IV, Milano,
70 parametri per la decisione giurisdizionale107.
Il carattere di illusorietà e di pericolosità connesso ad un intervento del legislatore nel settore probatorio non significa però disegnare un giudizio penale che scivola inevitabilmente verso l’arbitrio del giudice o la cui giustizia sia rimessa alla sola capacità logica dell’organo giudicante.
Piuttosto, si vuole evidenziare come il legislatore possa conferire all’attività di valutazione delle prove un carattere di razionalità operando su due profili, attinenti l’uno alla selezione del materiale epistemologico utilizzabile per la decisione e, l’altro, all’imposizione nei confronti del giudice di dare conto della sua decisione e delle ragioni che la sostengono108.
Senza tali correttivi il libero convincimento rischierebbe inevitabilmente di sfociare nell’arbitrio in quanto finirebbe per assumere le connotazioni proprie della intime conviction, essendo privo del contrappeso rappresentato dalle garanzie che solo un organo estraneo alla gestione del potere giudiziario è in grado di assicurare.
Come abbiamo già analizzato, senza dubbio esiste una versione emotiva ed irrazionale del principio del libero convincimento, che all’epoca della Rivoluzione francese trovava un significativo riscontro nelle istruzioni da leggere ai giudici popolari.
Parte di questa visione emotiva sopravvive ancora oggi negli ordinamenti dove la giuria decide con verdetto immotivato109.
In un sistema fondato sulla decisione motivata dei giudici togati sembra quindi improprio parlare di “arbitrio” ed “irrazionalità” in quanto la valutazione delle prove consiste in una attività legale e razionale.
107 SANTORIELLO, I criteri di valutazione della prova, in Aa. Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,
Torino, 2008, 382.
108 IACOVIELLO, Motivazione della sentenza penale, ED, agg. IV, Milano,
2000, 764.
109 FERRUA, La prova nel processo penale, Volume I, Struttura e procedimento, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015, 155.
71 “Legale” perché si esercita su prove legittimamente acquisite: solo ciò che è validamente acquisito può essere valutato a fini decisori; “Razionale” perché implica l’obbligo di motivare, di giustificare la decisione secondo il rispetto di criteri di ragionevolezza, nel rispetto di tre ordini di regole: le regole della logica, della scienza, dell’esperienza corrente110.
La libertà del giudice nella valutazione delle prove sta quindi ad indicare l’assenza di vincoli gerarchici preordinati ma ciò non significa che non sia presente una metodologia, al cui rispetto è infatti preordinato il sistema di controlli sulla motivazione.
L’aggettivo “libero” è quindi espressione del categorico rifiuto del sistema delle prove legali ma ciò non vale ad escludere l’adozione di regole normative che orientino il giudice nella formazione del proprio convincimento, al fine di prevenire decisioni arbitrarie111.
Alla luce di tale impostazione, è perciò da escludere che la libera valutazione possa identificarsi con il soggettivismo incontrollato del giudice tale da dare esito ad una deriva irrazionalistica del giudizio penale che verrebbe in tal modo espresso sulla base di una conoscenza solipsistica e quasi inesprimibile dell’organo giudicante112.
2.5. I limiti al principio del libero convincimento previsti dal nuovo