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Il colore di un panno azzurro

Nel 1575 veniva pubblicata a Baeza, in Spagna, la prima edizione di un libro destinato a un grande avvenire. Si trattava di un’opera medica, il cui autore, Juan Huarte de San Juan, proponeva un’analisi dei diversi caratteri umani al fi ne di individuare la professione più adeguata a ciascun tempera- mento. Un trattato di psicologia diff erenziale, si potrebbe defi nirlo, com- posto con un intento pratico, conseguito ibridando criteri medici e aspetti sociologici. Il libro s’intitolava Examen de ingenios para las ciencias (d’ora in avanti eic, seguita dal numero di pagina), e il frontespizio (portada, in spagnolo) spiegava che vi si «mostra la diff erenza di capacità tra gli uomi- ni e il tipo di studi che corrisponde a ciascuno» («muestra la diff erencia de habilidades que ay en los hombres, y el genero de letras que a cada uno responde en particular»)1. Questo tipo di “esame” o “analisi” dei tipi di in-

gegno umano doveva interessare in maniera particolare i lettori della fi ne del secolo xvi, se è vero che l’opera arrivò alla quinta edizione già nel 1581, prima di essere inserita nell’Indice dei libri proibiti del 1583. Mentre però Huarte de San Juan preparava un’edizione riformata, pubblicata anch’essa a Baeza nel 1594, la versione originaria continuò a circolare in maniera au- tonoma nelle Fiandre e poi nel resto d’Europa a partire dal 1591.

L’opera trovò dunque lettori appassionati anche fuori della Spagna, come dimostra il gran numero di traduzioni, a partire da quella in francese di Chappuys nel 1580 (ripubblicata nel 1588, riproposta molte altre volte), da quelle italiane, di Camillo Camilli (1582, ripubblicata nel 1586 e 1590), di Pietro Bozzola (1588) e di Sallustio Gratii (1600), da quelle inglesi (ma dall’italiano) di Richard Carew (1596, ripubblicata nel 1604 e nel 1616) e (direttamente dallo spagnolo) di Edward Bellamy (1698), passando per quelle latine del 1622 e del 1625, quella olandese del 1659 e quella tedesca,

72 l’umorismo letterario arrivata solo nel 1752, ma per opera dello scrittore e fi losofo illuminista Gotthold Ephraim Lessing. Alla luce delle osservazioni lessicali con cui abbiamo aperto l’Introduzione, è interessante registrare le parole utilizzate per rendere nelle diverse lingue l’originale spagnolo ingenio: ingenium e “ingegno”, in latino e italiano, esprit in francese e wit in inglese; tutti ter- mini importanti, che abbiamo già incontrato e che incontreremo di nuovo nel corso di questo libro2.

L’Examen può essere distinto in due parti principali: la prima, composta di quattordici capitoli (sedici nella edizione riformata), ha carattere fi sio- psicologico; la seconda, in origine composta del solo capitolo xv (poi di- latato nei capp. xvi-xxii) tratta invece questioni biologico-dietetiche e ha l’obiettivo eugenetico di fornire delle regole per generare un fi glio dotato di caratteristiche determinate. A sua volta la prima parte si può suddividere in tre sezioni, rispettivamente dedicate alla natura (capp. i-vii, poi diven- tati capp. i-ix: vi si classifi cano i temperamenti), all’arte (capp. viii-xiii, poi capp. x-xv: vi si discutono le corrispondenze tra i tipi di ingegno e le “scienze” convenienti allo Stato) e al re (cap. xiv, poi diventato cap. xvi: Filippo ii viene preso in esame come uomo per eccellenza «templado», cioè “ben-temperato”). L’obiettivo generale dell’opera è stato sintetizzato da Jackie Pigeaud, secondo il quale «Huarte ha per oggetto di mettere un temperamento particolare in rapporto con un genere di studi particola- re: retorica, teologia e fi losofi a, medicina, arte militare»; ciò facendo, «gli educatori potranno adattare il temperamento che predispone a un tipo di sapere a quel sapere stesso» (Pigeaud, 2008a, p. 427). L’Examen è dunque un trattato psicopedagogico, che si propone di indicare agli adulti il modo per scoprire l’indole dei giovani e così incamminarli verso il mondo profes- sionale3. Il lavoro di Huarte de San Juan sembrerebbe in tal senso anticipare

quella “cultura del Barocco” tra i cui aspetti principali, secondo José An- tonio Maravall (1999), c’è di essere una cultura amministrata: il control- lo degli educatori e addirittura l’adozione di un certo regime di dieta da parte dei genitori consentirebbero infatti di indirizzare la gioventù (ancor prima della nascita) verso ambiti disciplinari e professionali determinati. Lo stesso Pigeaud (2008a, p. 427) ha però spiegato che, se è vero che, per Huarte de San Juan, «apprendere consist[e] nell’assimilare e ripetere», ciò dev’essere bilanciato con il vero interesse del medico spagnolo: «La creati- vità in ogni dominio, la produttività; cioè, dal punto di vista del soggetto, il talento, e, dal punto di vista del sapere, il progresso».

cervantes, o l’ingegno 73 San Juan alla dimensione soggettiva di ciascun individuo. Adesso occorre innanzitutto ricordare la tesi generale del libro, secondo cui, così come non esiste un temperamento biologico che comprenda tutte le qualità umorali, nemmeno c’è un ingegno o un temperamento psichico che comprenda in sé tutte le facoltà intellettuali: «Ogni diff erenza di temperamento, di conseguenza, porta con sé una diff erenza di ingegno» (eic 154). Huarte de San Juan stabilisce pertanto un incrocio tra facoltà egemoniche (intelletto, memoria, immaginazione) e temperamenti (sulla base delle classiche oppo- sizioni “caldo/freddo” e “umido/secco”); dopo aver eliminato il freddo, che non è un temperamento positivo per l’ingegno, egli ricava tre tipi: ingenios memoriosos (temperamento umido); ingenios imaginativos (temperamento caldo); ingenios intelectivos (temperamento secco). In estrema sintesi, si può dire che l’opera è impostata sui seguenti passaggi: 1. le doti native creano la capacità del soggetto e segnano il grado di apprendimento delle scienze; 2. la diff erenza di tali doti non ha origine da qualche particolarità dell’ani- ma, ma dalla costituzione temperamentale del cervello; 3. a ogni diff erenza nella costituzione temperamentale corrisponde una diff erenza di capacità intellettuale; 4. l’ultimo passo è il rapporto tra le varianti dell’ingegno e le diverse scienze (Iriarte, 1939, p. 208).

Questa variabilità implica una valorizzazione delle diff erenze indi- viduali. E a questo scopo il medico spagnolo recuperava un concetto re- golarmente utilizzato in retorica e in fi losofi a. In retorica, ingenium era il termine utilizzato per indicare quella prontezza naturale considerata la base necessaria per ogni insegnamento tecnico (cioè relativo alla «ars rhetorica»). In fi losofi a, invece, esso indicava la capacità di identifi care rapidamente il temine medio di un sillogismo (lo aveva spiegato l’italiano Zabarella e lo avrebbe ribadito Baltasar Gracián nel suo Arte de ingenio del 1642). L’ingegno, come ha sintetizzato Cristina Müller, era dunque «una regione intermedia della conoscenza», che consentiva di passare dal pen- siero puro alla «rifl essione sulle cose particolari» (Müller, 2002). Se la vi- vacità di spirito era un modo specifi co di conoscere il mondo, considerare la pluralità e variabilità degli individui signifi cava ragionare sulla pluralità e la variabilità della conoscenza.

A che cosa è dovuta la prima variabilità? Nella prosecuzione del Secon- do Proemio (1594), destinato «al lettore», Huarte de San Juan aff erma che i medici sono concordi nello stabilire che la perfetta salute consiste nella conmoderación, o «equilibrio» delle quattro qualità elementari; se invece ci si allontana da quel che già i Greci avevano individuato, chiamandola

74 l’umorismo letterario isonomia o crasi, allora «è impossibile che [l’uomo] possa far bene le cose come fa invece nello stato di salute». «Per conservare quella salute perfetta – continua l’autore spagnolo –, è necessario che i cieli infl uenzino sempre secondo le stesse qualità; e che non ci sia inverno, estate né autunno; e che l’uomo non muti per tante età diff erenti»: ma «tutto ciò è impossibile, così per l’arte della medicina, come per la Natura». Certo, Adamo alloggiato nel Paradiso terrestre poté giovare di una tale imperturbabilità del clima. Ma poi gli uomini dovettero abbandonare l’Eden e trasferirsi «in regioni non temperate, soggette a mutamenti climatici, all’inverno, l’estate, l’autunno»; essi passano «attraverso età diff erenti, ognuna con la sua temperatura», e «mangiano dei cibi freddi e dei cibi caldi», sicché («per forza l’uomo deve perdere il suo equilibrio naturale») «forzosamente se ha de destemplar el hombre»: l’uomo, dopo la cacciata dal Giardino paradisiaco, non può che esser privo di equilibrio (destemplado); ogni individuo sarà di conseguenza caratterizzato dalla propria specifi ca composizione temperamentale (eic 169-70). Quest’ultima ha conseguenze sia organiche sia psicologiche, giac- ché in ogni individuo agisce una serie di spiriti contenuti gli uni negli altri, grazie ai quali si realizza il necessario “ponte” tra «la parte organica, fi sica, biologica dell’uomo e la parte psichica, emozionale e anche morale». Huar- te de San Juan riprende qui il modello ippocratico del pneuma, proponendo la risalita dagli spiriti naturali (frutto della digestione) agli spiriti vitali, situa- ti nel cuore, fi no agli spiriti animali, che si trovano nel cervello. Poiché questi ultimi, attraverso i nervi, ridiscendono giù verso i testicoli, infl uenzando il radicale, si capisce bene perché la seconda parte dell’Examen sia dedicata all’eugenetica; e soprattutto un tale schema concettuale spiega alla perfezio- ne il rapporto tra psichismo e corporeità, rendendolo strettissimo.

Per chiarirlo ulteriormente, Huarte de San Juan propone un esempio tanto curioso quanto effi cace. Fingiamo che ci siano quattro uomini che soff rono di una malattia alla potenza visiva, e immaginiamo che l’umore cristallino del primo sia infl uenzato da una goccia di sangue, da una di collera il secondo, da una di fl egma il terzo e da una di melancolia l’ultimo. Se a costoro, ignari della loro malattia, si presentasse un panno azzurro, è certo che il primo lo vedrebbe rosso («colorado»), il secondo giallo, il terzo bianco e il quarto nero. «E tutti e quattro giurerebbero su quel che hanno visto e si riderebbero del fatto che gli altri si sbagliano a proposito di una cosa così manifesta ed evidente». Come accade per le malattie dei sensi, anche le «potenze interiori» sono infl uenzate dai quattro umori: proviamo ad applicarle al cervello, e vedremo che ne conseguiranno «mil-

cervantes, o l’ingegno 75 le diff erenze di pazzie e spropositi, per cui nacque il proverbio: ogni pazzo ha la sua fi ssazione» («mil diff erencias de locuras y disparates, por donde se dijo: cada loco con su tema»: eic 173-4).

È interessante osservare che nel suo infl uentissimo Libro del Cortegiano (1528), Baldassarre Castiglione aveva ragionato in maniera identica. Ricor- diamo che si tratta di un trattato in forma di dialogo, ambientato a Urbino nel 1507, quando, in assenza del duca malato, la duchessa e i cortigiani si intrattengono ragionando sulle doti che bisogna possedere per vivere ade- guatamente nel mondo della corte. Ebbene, prima di decidere che il loro «gioco» dovrà consistere nel «formar con parole un perfetto cortegia- no» (i, 12), gli eleganti ospiti si dilungano in diverse proposte, la prima delle quali, avanzata da Cesare Gonzaga, ma scartata perché prenderebbe troppo tempo, è davvero suggestiva:

Noi, quando abbiamo sentito qualche nascosa virtù di pazzia, tanto sottilmente e con tante varie persuasioni l’abbiamo stimulata e con diversi modi che pur al fi n inteso abbiamo dove tendeva; poi, conosciuto lo umore, così l’abbiam agitato che sempre s’è ridutta a perfezion di publica pazzia: e chi è riuscito pazzo in versi, chi in musica, chi in amore, chi in danzare, chi in far moresche […]. Tengo io adunque per certo che in ciascun di noi sia qualche seme di pazzia, il qual risvegliato possa multiplicar quasi in infi nito. Però vorrei che questa sera il gioco nostro fosse il disputar questa materia, e che ciascun dicesse: “Avendo io ad impazzir publica- mente, di che sorte di pazzia si crede ch’io impazzissi”. (i, 8)

Anche per Castiglione, dunque, una volta «conosciuto lo umore» è pos- sibile dedurre (o addirittura produrre) la pazzia di ciascuno, la quale è per- tanto direttamente collegata alle peculiarità del singolo4. Cada loco con

su tema: è un convincimento non solo diff uso a livello popolare, ma con- diviso dai massimi esponenti della cultura di quel periodo. E ciò perché, nell’uno come nell’altro ambito, si era persuasi della strutturale destem- planza degli esseri umani, del loro essere soggetti agli umori. Così è per tutti, conclude Huarte de San Juan, anche per lo stesso autore di questo trattato, il quale confessa apertamente di essere «enfermo y destempla- do», e così è anche per il lettore («y que tú lo estarás también», eic 182), sicché a tutti noi potrà succedere quel che successe ai quattro malati con il panno di colore azzurro.

Questa sorta di scetticismo radicale si compone però con l’aspetto cre- ativo e dinamico conseguente all’apprezzamento della dimensione sogget- tiva. Si tratta di una questione decisiva, che riguarda addirittura il libero

76 l’umorismo letterario arbitrio, considerata da Huarte de San Juan una «proprietà formale» dell’immaginativa (secondo lo schema dell’anima formulato da Aristote- le), la quale è libera di immaginare, senza doversi contenere nei limiti della verità (come invece accade all’intelletto) né del ricordo (come invece acca- de alla memoria: Serés, 1989, pp. 55-6). Ma dalla facoltà immaginativa di- pendono gli spiriti vitali, i quali sono l’ultimo prodotto di quel passaggio progressivo che, come abbiamo visto, va dallo stomaco al cervello, passan- do per il cuore: ne consegue che lo psichismo è eff ettivamente intrecciato alla dimensione corporea.

Pigeaud ha insistito sulle conseguenze di questo intreccio, osservando che, se l’«errore di Galeno, facendo della virtù il puro e semplice eff etto del temperamento, era stato di uccidere la nozione di merito e di responsa- bilità», d’altro canto, «l’errore del fi losofo morale consiste nel sottostima- re il ruolo della fi siologia e di ignorare medicamenti e regime» (Pigeaud, 2008a, p. 435). Huarte de San Juan, osservando che un’impostazione me- dica rigida farebbe della «castità di un uomo freddo» il risultato dell’im- potenza e non di una virtù, avvia invece un approccio al libero arbitrio che incrocia i termini fi siologici e psicologici, e fornisce una soluzione nuova al «problema dell’integrazione del corpo nel processo della libertà, neces- saria al compimento dell’atto morale» (Iriarte, 1939, p. 231). Se è vero che «ogni volta che la fi losofi a dà una defi nizione di malattia dell’anima, essa mette in questione il corpo, nella misura in cui il male dell’anima è quel- lo dell’anima incarnata»5, risulta allora chiaro quanto questo intreccio sia

stato decisivo nella storia della letteratura umorista, che è sempre una let- teratura del soggetto in quanto individuo dotato di un corpo, e pertanto sottoposto alle fl uttuazioni, alle variazioni, alle crisi e agli squilibri delle sue secrezioni. Huarte de San Juan merita un posto di rilievo in questa storia, perché tra i primi ha proposto un modello conoscitivo per riconoscere il modo in cui «l’individuo, l’ingenio, si converte in un essere variabile, che ha diritto alla sua singolarità» (Müller, 2002, p. 76): questione sulla quale pochi anni dopo sarebbe tornato a rifl ettere Miguel de Cervantes.