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Ingegno narrativo: la storia di una storia

Lo specifi co carattere letterario del personaggio, la sua indole e la conse- guente necessità di adeguare al codice cavalleresco la “realtà” in cui s’im- batte fanno del romanzo di Cervantes un congegno poetico particolar- mente sensibile agli eff etti di struttura. Anche a rischio di allargare troppo prematuramente il nostro discorso a problemi di forma estetica, che ver- ranno trattati nella Parte terza, è di conseguenza necessario vedere “come funziona” il Don Chisciotte.

Abbiamo visto che Quijote è il nome che il protagonista si sceglie nel momento in cui decide di “battezzarsi” per entrare nell’ordine della caval- leria. Nella “realtà” del mondo ordinario, cioè il mondo nel quale risiedo- no tutti gli altri personaggi del romanzo, egli si chiama Alonso Quijano, soprannominato “il buono”. In verità, questo è quanto leggiamo nelle ul- time pagine della seconda parte del romanzo, quando il protagonista di tante strampalate avventure è ormai in punto di morte e può riconosce- re, con tono autenticamente tragico, la discrasia tra i due mondi: «Ya yo no soy don Quijote de la Mancha, sino Alonso Quijano» (“Ormai non son più don Chisciotte della Mancha, ma Alonso Quijano”: Cervantes, 1999, ii, 74, p. 1217). Nelle prime pagine, invece, il lettore s’imbatte in alcune varianti del nome del futuro protagonista: «Dicono che per co- gnome faceva “Quijada”, o “Quesada”, giacché per questo aspetto vi sono discordanze tra gli autori che hanno raccontato questa vicenda, sebbene le congetture verosimili inducano a credere che si chiamava “Quijana”» (ivi, i, 1, p. 37)12. Francisco Rico (2005b) ha fatto osservare che la discor-

danza nell’indicazione del nome non è una parodia dei libri di cavalleria, ma «un’eco giocosa dei problemi e delle soluzioni usuali nel metodo degli umanisti», i quali, quando i codici manoscritti che trasmettevano una cer- ta opera discordavano tra di loro, dovevano ricorrere alla congettura. Le conjeturas verisímiles costituiscono insomma la procedura che consentiva alla fi lologia di quel tempo d’individuare quel che si chiama la “lezione

cervantes, o l’ingegno 85 corretta”, quel che ci sarebbe davvero scritto in un’opera. Tra le diff erenti e contraddittorie attestazioni che i manoscritti antichi presentano, direbbe dunque Cervantes, la più probabile (o “verosimile”) va considerata “Qui- jana”. Congettura quasi azzeccata, se alla fi ne il protagonista si nominerà da sé stesso “Quijano”.

Quale che sia il nome del cavaliere nel “mondo vero”, in cui risiedo- no anche gli altri personaggi, la cosa interessante di questo breve brano consiste nell’introdurre tradizioni diff erenti dello stesso racconto. Poi- ché il narratore della storia di don Chisciotte ha fatto delle congetture per ricavare il suo nome “vero”, ciò vuol dire che egli ha avuto davanti più versioni del racconto originale. Su questo aspetto il romanzo torna più avanti, quando il narratore dichiara di essere il «segundo autor» e di essersi fi no a quel punto affi dato al primo «autor», salvo dover in- terrompere il racconto perché nel suo testimone non erano riportate ulteriori imprese del cavaliere (Cervantes, 1999, i, 8, p. 104). Convinto che l’opera di un tale «famoso caballero» non abbia potuto rimanere senza memoria scritta, il secondo autore si mette alla ricerca di docu- menti negli archivi e nelle biblioteche della Mancha, fi nché, un giorno, del tutto inaspettatamente, trovandosi a Toledo nella strada del mercato, s’imbatte in un ragazzo che vende scartafacci e carte vecchie: «Y, como yo – continua il racconto – soy afi cionado a leer, aunque sean los pape- les rotos de la calle», “e poiché io sono così appassionato alla lettura da soff ermarmi anche sui fogli stracciati gettati per strada”, «llevado desta mi natural inclinación», “spinto da questa mia inclinazione naturale” (anche il narratore, dunque, ha una sua indole specifi ca), presi una per- gamena (cartapacio) scritta con caratteri arabi. Affi datane la traduzione a un morisco, il «secondo autore» (che noi qui chiamiamo “narratore”) scopre che si tratta di una versione della storia di don Chisciotte, il cui titolo è Historia de don Quijote de la Mancha escrita por Cide Hamete Benengeli, historiador arábigo! Un’altra versione della storia, dunque, e anche un altro titolo, con ulteriori varianti nei nomi e in alcuni dettagli della storia (cfr. ivi, i, 9, pp. 107-10). Ma soprattutto un altro autore, il cui racconto questa volta è completo, ma la cui veracità è dubbia: egli è infatti un «arabo», e pertanto è mentiroso, “mendace”, come tutti coloro che «appartengono a quella nazione». Anzi, la situazione è ancora peg- giore, giacché l’originale arabo è stato tradotto da un morisco, cioè da un membro di quel gruppo etnico-religioso costretto alla conversione dopo la conquista dell’Andalusia nel 1492.

86 l’umorismo letterario Se «l’espediente di una fonte fi ttizia […] ha una lunga tradizione nei romanzi cavallereschi» (Segre, 1974, p. 187), nel caso del Chisciotte esso non viene utilizzato per prendere le distanze dalla materia, ma per introdurre un ulteriore elemento di incertezza e relatività nel racconto. Cervantes presenta infatti «una narrazione che non solo racconta del- le imprese, ma che presenta al tempo stesso il modo in cui queste sono state raccontate: off re una trama, ma anche il segreto di come queste si creino» (Iglesias Feijoo, 1999). In questo modo, ha sintetizzato Frasca (2015, p. 93), «Cervantes si assicura di poter trascorrere facilmente da un mondo all’altro».

Alla moltiplicazione dei nomi del personaggio corrisponde dunque la moltiplicazione delle “personalità” dell’autore: se il testo attuale, quello che ogni lettore ha sotto gli occhi, è la versione tipografi ca della trascri- zione da una pergamena (alle cui diffi coltà di lettura, anche a causa delle condizioni materiali del supporto, viene fatto riferimento altre volte nel corso dell’opera: cfr. Cervantes, 1999, i, 9, p. 109, e 43, p. 597), l’autore attuale, quello che si rivolge al lettore a partire dal Prologo, dipende da un autore originale, mendace ma non per questo meno sabio, come erano abi- tualmente defi niti gli storici delle imprese dei cavalieri. «Cuenta el sabio Cide Hamete Benengeli», leggiamo infatti all’inizio della terza parte (ivi, i, 15, p. 159): un sabio, proprio come quello che, nella mente allucinata del cavaliere, trascrive in diretta la vera storia «delle sue famose imprese».

Questo passaggio da sabio a sabio crea un gioco di livelli paradossale ma assai illuminante, in base al quale l’opera risulta realizzata da «uno scrit- tore (Cervantes) che inventa un personaggio (don Chisciotte) che inventa l’autore (Cide Hamete) che servirà come fonte all’opera dello scrittore (Cervantes)» (Segre, 1974, p. 187)13. Ironia strutturale che diventa ancora

più gustosa quando Sancho Panza viene a sapere dell’esistenza del libro in cui si racconta la prima parte delle avventure del suo signore: il non sem- pre fedele scudiero informa subito della cosa don Chisciotte, dicendogli che esiste un libro intitolato Injenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, e il protagonista risponde che «debe de ser algun sabio encantador el autor de nuestra historia» (Cervantes, 1999, ii, 2, p. 645)14. “Saggio” e “mago”,

l’autore della storia potrebbe però anche essere un «enemigo» del cavalie- re, che avrebbe raccontato «una cosa per un’altra, mischiando una verità a mille menzogne», tanto da distruggere l’ordine della «vera storia» (ivi, ii, 8, p. 688)15.

cervantes, o l’ingegno 87 so, perché si va oltre la “semplice” moltiplicazione dei punti di vista, come ci ha insegnato l’esperienza di Montaigne saggista e umorista, e come ha spiegato Leo Spitzer (1962) parlando della «plurivalenza» che nel Don Chisciotte la parola assume «nelle diverse menti». Quel che Cervantes rea lizza nella seconda parte del suo romanzo è invece, come ha mostrato Segre, la moltiplicazione delle ontologie diff erenti, ossia dei diversi livelli di realtà. Ciò ha, peraltro, un’infl uenza diretta sulla costituzione del pro- tagonista, perché, se un individuo, che ha voluto in tutti i modi diventare un personaggio letterario, scopre di essere diventato davvero il personag- gio di un libro, egli non può che essere ancora più sicuro delle proprie con- vinzioni. Si può allora lievemente correggere l’osservazione di Montaleo- ne secondo cui don Chisciotte sarebbe un personaggio immutabile, la cui vicenda potenzialmente non terminerebbe mai, potendosi sviluppare per continue accumulazioni di episodi: con la parte seconda l’opera muta nel suo complesso, aff errando autore e lettori in un profondo sovvertimento delle prospettive.

Per comprendere questa dimensione logica e ontologica, ricordiamo che nei mondi di fi nzione i riferimenti hanno sempre solo validità interna, e di solito non rinviano al mondo referenziale così come esso eff ettiva- mente si presenta nella realtà extratestuale. Se però in un’opera letteraria si fa riferimento al libro che “contiene” il mondo di fi nzione, facendolo entrare in quello stesso mondo, allora si realizza un passaggio comples- so e delicato. Nel romanzo di Cervantes ciò accade facendo apparire nel mondo di don Chisciotte non solo la «storia» di Cide Hamete, ma an- che l’apocrifo di Avellaneda. Al protagonista della storia (e a tutti gli al- tri personaggi interni al racconto) vengono così presentate due versioni contrapposte della sua stessa vita, una delle quali dovrà egli stesso sconfes- sare. Un episodio in cui questa condizione è effi cacemente rappresentata si legge in ii, 59, quando don Chisciotte sente parlare di sé in un’osteria, apprendendo di non essere più innamorato di Dulcinea. La sua reazione è fi era e decisa, alzandosi in piedi e dichiarando di essere pronto a sfi dare a duello chiunque si azzardi a dire che don Chisciotte non sarebbe più il devoto servitore di quella dama. Si tratta del primo riferimento al libro di Avellaneda, che, come si vede, infl uenza direttamente lo svolgimento dell’azione romanzesca: ma in questo modo, è stato osservato, «le inven- zioni altrui irrompono non solo nel mondo della fi nzione, ma nella realtà dello stesso Cervantes» (Lerner, 1999). La situazione appare in tutto il suo umorismo concettuale quando si provi a osservare la scena come se si

88 l’umorismo letterario fosse seduti anche noi in quell’osteria: ci sono due signori seduti al tavolo a fi anco al nostro che stanno discutendo di un romanzo; all’improvviso, fa la sua apparizione proprio il personaggio di quel romanzo, che sconfes- sa il racconto di cui sarebbe il protagonista. Ne nasce una discussione, al termine della quale, sorprendentemente, i due lettori si convincono che il personaggio ha ragione.

Di simile tenore è l’incontro con Álvaro Tarfe, che nella continuazio- ne di Avellaneda accompagna l’“altro” don Chisciotte in alcune imprese. Ebbene, avendolo incontrato durante uno dei suoi viaggi, il “vero” don Chisciotte (quello di Cervantes) gli chiede se egli assomigli all’“altro” don Chisciotte (quello di Avellaneda). Alla risposta negativa del signor Tarfe, don Chisciotte chiede allora se lo scudiero dell’“altro” don Chisciotte as- somigli allo scudiero che lo accompagna. Alla seconda risposta negativa, è direttamente Sancho Panza a prendere la parola, con una delle sue tipiche allocuzioni piene di proverbi e sciocchezze. È la prova defi nitiva, sicché Álvaro Tarfe non può che dichiarare che «gli incantatori che persegui- tano il don Chisciotte buono hanno voluto perseguitare me con il don Chisciotte cattivo» («los encantadores que persiguen a don Quijote el bueno han querido perseguirme a mí con don Quijote el malo»: Cervan- tes, 1999, ii, 72, p. 1206): non è solo don Chisciotte (quello di Cervantes) a sconfessare il libro di Avellaneda; sono gli stessi personaggi del plagiario ad ammettere l’evidenza, lasciando al personaggio cervantino il primato della verità16.

Dei personaggi (inventati) che dichiarano vero un personaggio (inven- tato) sulla base della falsità di una storia (inventata): è davvero un sistema mirabile, in cui la diff erenza tra i piani di realtà viene sfumata (e infi ne perduta) a mano a mano che si passa di livello narrativo. È quanto accade anche con la straordinaria decisione di don Chisciotte di non andare più alle giostre di Saragozza: rifi utandosi di realizzare un evento che egli stesso ha annunciato nella prima parte del romanzo, ma che è stato ripreso e svi- luppato nel testo apocrifo, il protagonista si arroga il diritto di individuare il suo creatore, dichiarando Cervantes l’autore vero e sconfessando Avella- neda come autore falso17.

Come abbiamo visto dal caso precedente, l’oscillazione dei piani di re- altà nel secondo volume del romanzo cervantino è favorita dall’incontro con i lettori, che sono particolarmente numerosi. È il caso del ricordato incontro nell’osteria (ii, 59), ed è soprattutto il caso del celebre, lungo episodio nel quale viene raccontata la permanenza di Sancho e don Chi-

cervantes, o l’ingegno 89 sciotte presso i duchi aragonesi, che hanno letto il primo volume del ro- manzo e pertanto conoscono l’indole del protagonista e del suo scudiero, sfruttandone le fi ssazioni e le peculiarità per allestire un complesso teatro di sdoppiamenti e compenetrazioni tra realtà e fi nzione (cfr. per esempio Cervantes, 1999, ii, 30, p. 876; ii, 33, pp. 904-5; ii, 58, p. 1102). La stessa situazione, ma se possibile ancora più paradossale e inquietantemente me- tafi sica, si realizza tra ii, 61 e ii, 62. Don Chisciotte e Sancho sono appena arrivati a Barcellona, e stanno guardando il mare, confrontandolo mental- mente con le paludi della Mancha, quando all’improvviso un gruppo di cavalieri in livrea li raggiunge sulla spiaggia e li saluta:

Benvenuto […] il valoroso don Chisciotte della Mancia: non il falso, il fi ttizio, l’apocrifo che ci hanno mostrato ultimamente con le sue false storie, ma il vero, il legale e l’autentico, quale che lo ha descritto Cide Hamete Benengeli, fi ore degli storici18.

Se il lettore non si stupisce della notorietà del cavaliere, in quanto egli sa bene che una lettera ha avvertito i signori di Barcellona del tempo e del luogo del suo arrivo (cfr. ivi, ii, 60, pp. 1128-9), nemmeno don Chisciotte mostra sorpresa alcuna: egli dev’essersi ormai infatti abituato a questi in- contri; e soprattutto si è abituato a vedersi confrontato con un’altra realtà, “falsa, fi ttizia e apocrifa”. E, tuttavia, la sua albagia di hidalgo non può nulla quando, entrato in una stamperia e chiesto il titolo dell’opera di cui si stan- no correggendo le bozze, gli viene risposto che si tratta della «Segunda parte del ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, composta da un tipo, nativo di Tordesillas» (ivi, ii, 62, p. 1145). Il lettore in carne e ossa, quello che, come te adesso, caro lettore, sta seduto sulla sua comoda poltrona o tra gli scranni di una biblioteca, non può che fare un balzo: ecco l’incontro tra i due don Chisciotte, il primo, quello autentico, è “in carne e ossa”, cioè ap- partiene al primo livello del mondo narrato (quello di cui parla il narratore grazie alla traduzione del morisco), il secondo, quello di Avellaneda (nel frontespizio del libro apocrifo si dichiara che l’autore è nato a Tordessilas) è solo un libro! Il rovesciamento dei piani di realtà si è infi ne pienamente realizzato; la storia può avviarsi alla conclusione. E la conclusione non può che essere la morte di don Chisciotte, ma questa volta vera e defi nitiva, perché non venga più in mente a nessuno di scrivere un libro abusivo. Il personaggio deve allora abbandonare le sue spoglie cavalleresche, lasciare il nome assunto per le sue imprese e riprendere quello abituale, fi nalmente

90 l’umorismo letterario messo direttamente in bocca al personaggio che, dopo essersi battezzato cavaliere all’inizio delle sue avventure, adesso confessa la sua identità di poveretto: «Non sono più don Chisciotte della Mancia, ma Alonso Qui- jano, che viene comunemente chiamato “il buono”» («ya yo no soy don Quijote de la Mancha, sino Alonso Quijano, a quien mas comúnmente me dieron renombre de bueno»: Cervantes, 1999, ii, 74, p. 1217, corsivo mio). Il bueno di cui ha parlato don Álvaro Tarfe, cioè l’autentico, diventa qui davvero bueno, cioè buono: nella ricomposizione del mondo, nella presa di coscienza che i piani della realtà e della fi nzione sono separati, ingegno e bontà vengono ripartiti in maniera netta. Eppure…

Eppure, prima che il libro si chiuda con il congedo di Cide dalla sua penna, prima cioè che la vicenda di don Chisciotte venga ricondotta alla sua natura di storia inventata e come tale salutata dal suo narratore, c’è spa- zio per un’ennesima sovrapposizione dei mondi. Alonso Quijano emette il suo ultimo respiro, «vedendo la qual cosa, il parroco chiese allo scrivano che testimoniasse che Alonso Quijano il buono, comunemente chiamato “don Chisciotte della Mancia” era passato da questo mondo ed era morto per cause naturali» (ibid.)19. Llamado comúnmente, “comunemente chia-

mato”: la stessa formula, una volta in bocca a Quijano (ivi, ii, 74, p. 1217), un’altra in bocca al curato (ivi, ii, 74, p. 1221), viene utilizzata per fare ri- ferimento ai due mondi diff erenti: quello della “realtà” quotidiana, in cui c’è Quijano (il bueno), quello della “fi nzione”, in cui c’è don Chisciotte (quello bueno). Identità ancora ribadita quando il parroco spiega che vuo- le pubblicamente constatare la morte dell’hidalgo «per togliere l’occasio- ne a ogni altro autore che non sia Cide Hamete Benengeli di resuscitarlo falsamente e raccontare le interminabili storie delle sue imprese»20.

E allora, se Alonso Quijano può riconciliarsi in punto di morte con Avellaneda (ivi, ii, 74, pp. 1220-1), chiedendo di fargli sapere che si scusa di avergli off erto l’occasione di scrivere tante sciocchezze (infatti, se non fosse diventato don Chisciotte, Avellaneda non avrebbe potuto scrivere la continuazione delle sue avventure…), il curato e gli altri sopravvissuti non possono che appellarsi a Cide Hamete per accertarsi che nessuno torni a metter mano alle sue imprese, trasformandolo in un nuovo don Belianís (Alonso, prima di diventare don Chisciotte, non aveva forse voluto scri- vere proprio la morte di quel cavaliere? Cfr. ivi, i, 1, p. 38). Ma così facen- do, sia Alonso sia il curato continuano a sovrapporre i due livelli di realtà, mostrando che Alonso e Avellaneda appartengono allo stesso mondo, se è vero che il primo perdona il secondo, e che il parroco e Cide Hamete con-

cervantes, o l’ingegno 91 dividono lo stesso livello di realtà, giacché il primo riconosce il secondo come unico e vero autore.

E allora non sorprende che la morte di Alonso sia registrata dal nar- ratore con la formula «questa fu la fi ne dell’ingegnoso cavaliere della Mancia» («este fi n tuvo el ingenioso hidalgo de la Mancha»: Cervantes, 1999, ii, 74, p. 1221). Eliminati i nomi, sia quello di battesimo (Alonso, nel mondo “rea le”) sia quello di cavaliere (don Chisciotte, nel mondo inven- tato), del nobiluomo resta soltanto l’indole, il carattere, la peculiare inge- gnosità che dal personaggio si estende a tutto il romanzo. Quel romanzo che, opportunamente, s’intitola L’ingegnoso cavaliere don Chisciotte della Mancia.