Il 12 aprile 1709 fu stampato il primo numero del “Tatler”, una fortunata ri- vista dal formato di un foglio sciolto che raccoglieva tre volte alla settimana informazioni sulla vita pubblica britannica, e soprattutto londinese, fi ltrate attraverso il punto di vista di Isaac Bickerstaff , un personaggio d’invenzio- ne, astrologo e compositore di almanacchi, diventato famoso in quegli anni grazie alla penna di Jonathan Swift . In realtà l’autore si chiamava Richard Steele, militare di carriera, passato alla letteratura qualche anno prima, che all’inizio fu affi ancato dallo stesso Swift , dal quale si divise però pochi mesi dopo per divergenze di ordine politico. A Swift subentrò Joseph Addison, con il quale Steele avrebbe invece dimostrato una profonda condivisione di idee e di impostazione del lavoro editoriale, tanto che, dopo la chiusura del “Tatler” nel 1711, i due si sarebbero associati nella produzione di un altro giornale periodico, ancora più fortunato, lo “Spectator”.
Ma restiamo al “Tatler”, foglio periodico che, dopo la prima settima- na di diff usione gratuita, costava un penny al numero, era esplicitamente rivolto alle «politickal persons», cioè a quei lettori «publick spirited», che erano soliti riunirsi nelle Coff ee Houses. È quel che si leggeva nel- la prefazione, ripubblicata identica nei primi numeri, dove si aggiungeva che l’intento con cui l’autore raccoglieva le notizie era di istruire il lettore (to instruct) su che cosa pensare (what to think) delle questioni di carat-
il chiacchierone tipografico 187 tere pubblico. Al termine della nota introduttiva l’autore dichiarava per- tanto che avrebbe tenuto «regolarmente in considerazione ogni tipo di argomento che mi si possa presentare, pubblicando i miei pareri e le mie rifl essioni tutti i martedì, giovedì e sabato della settimana, in armonia con il funzionamento dei servizi postali» (Tatler (1709-1711), 1987, i, p. 15)3.
La scelta di ritmare le uscite del “Tatler” sulla distribuzione settimanale della posta era la prova che Steele aveva organizzato la sua impresa giorna- listica muovendosi in una dimensione intermedia tra spazio privato e spa- zio pubblico: infatti, versando esattamente la stessa cifra che pagava per ricevere la sua corrispondenza privata, il lettore doveva avere l’impressione di un rapporto personale con la rivista, tanto più che essa risultava fi rmata da un solo autore, Isaac Bickerstaff , il quale di conseguenza appariva come il mittente di una un’unica, lunga, variegata lettera al suo lettore4.
Il senso di prossimità tra i due poli della comunicazione, autore e let- tori, era ulteriormente raff orzato dal costante riferimento al sistema delle Coff ee Houses. Illustrando l’impostazione del suo foglio, Bickerstaff spie- gava infatti che:
Tutte le relazioni riguardanti mondanità, piacevolezze e intrattenimento saranno etichettate sotto l’insegna della Well’s Coff ee House; gli articoli eruditi recheran- no la sigla del Graecian; le notizie estere e nazionali giungeranno dal St. James’ Coff ee House; tutto il resto riguardante qualunque altro argomento, sarà spedito dal mio appartamento privato. (T i, p. 15)5
Le diverse rubriche (oggi le chiameremmo: “tempo libero”, “cultura”, “po- litica estera e interna”, “varie”) prendevano insomma il loro titolo da altret- tante Coff ee Houses, cioè da quegli stessi luoghi nei quali le notizie conte- nute nel “Tatler” venivano eff ettivamente lette: in questo modo si creava un impressionante cortocircuito simbolico, non solo – come già si è detto – tra pubblico e privato, ma anche tra realtà e fi nzione, tra l’esperienza quoti- diana del londinese tipico, che, come abbiamo visto, trascorreva gran parte della mattinata e del pomeriggio al caff è, e il mondo letterario che prendeva forma intorno al personaggio di Bickerstaff . Tanto più che il Well’s, il Grae- cian e il St. James’ erano luoghi reali, rispettivamente situati a Scotland Yard Gate, Deveraux Court, nella zona dello Strand, e St. James Street, dove pe- raltro si trovava anche la White’s Chocolate House, dalla quale sarebbero stati successivamente inviati gli articoli di Gallantry, la mondanità6.
Fortissimo doveva dunque essere per il lettore del tempo l’eff etto di realtà. Leggendo gli articoli fi rmati da Bickerstaff si aveva infatti l’impres-
188 l’umorismo letterario sione di leggere le opinioni di un conoscente, di uno dei tanti gentiluomi- ni che aff ollavano i caff è londinesi e che si frequentavano, senza che se ne conoscesse per forza il nome. Bickerstaff era proprio come uno di noi, uno dei lettori che s’intrattenevano al St. James, o da Hogarth, o in un altro delle centinaia di luoghi pubblici in cui si andava a bere un goccio, fumare un sigaro, leggere il giornale e commentare le notizie esercitando il sense of humor e l’arguzia, il wit.
Proprio questa facoltà, come la chiama l’Oxford English Dictionary, que- sta velocità dell’intelletto o vivacità dell’immaginazione, correlata alla ca- pacità di esprimersi adeguatamente, veniva riconosciuta sin da subito come caratteristica del “Tatler”7. Lo osservava uno dei primi lettori, che inviando
delle copie della rivista in Prussia, spiegava che esse «are writ by a club of wits» (“sono redatte da un gruppo di buontemponi”). E lo confermava il poeta e drammaturgo John Gay, che, proponendo nel maggio 1711 «a sur- vey of the periodicals of the day» (“una rassegna dei periodici odierni”), la intitolava Th e Present State of Wit e osservava come il “Tatler” riunisse nelle Coff ee Houses più gente di tutti gli altri giornali messi assieme (T i, p. 40). Era l’indice di un successo dovuto senza alcun dubbio alla vivacità di acu- me di Steele e alla freschezza stilistica con cui sapeva rappresentare le scene della vita di Londra (il suo wit). Al tempo stesso, era anche il più chiaro indizio della riuscita di un trompe l’œil, che dava ai lettori l’impressione di avere a che fare con un proprio simile, un altro gentiluomo inglese, di cui si condividessero le consuetudini, i comportamenti, le opinioni.