Tristram è dunque un lettore di Locke. Sebbene gli studiosi non concordi- no su quale delle due ipotesi sia più probabile – che Sterne prenda sul serio le teorie del fi losofo scozzese, o che invece se ne faccia beff e presentando delle situazioni che le contraddicono – c’è però un brano del romanzo in cui il giudizio appare senz’altro positivo:
Scusate, signore, avete mai, tra le tante altre cose, letto un libro come il Saggio sull’Intelletto Umano del Locke? – Non rispondetemi impulsivamente, – so bene
106 l’umorismo letterario
che molti citano il libro senz’averlo mai letto, – e molti di quelli che lo hanno let- to, non ci capiscono un’acca. – Se voi siete degli uni o degli altri, vi dirò in due pa- role di che cosa tratta il libro. – È una storia [history]. – Una storia! di chi? di che? di dove, come, quando? Calma, per piacere. – È un libro di storia [history-book], sissignore […]: la storia di quel che passa nella mente umana. (ts II, ii, p. 725)6
Tristram ritiene che l’opera di Locke sia utile e ragguardevole; giudizio lu- singhiero, che ci interessa soprattutto per le ragioni avanzate dal narratore. L’importanza dello Essay Concerning Human Understanding deriva infat- ti, secondo Tristram, dal suo essere un history-book, cioè una narrazione veridica di quanto avviene nella mente dell’uomo. Qualcosa del genere è anche Th e Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman, se è vero che il protagonista-narratore dichiara di aver «intrapreso a scrivere non solo la mia vita, ma anche le mie opinioni, perché mi auguro e confi do che la conoscenza anzitutto del mio carattere [the knowledge of my character] e di che razza di mortale io sia, acuirà in voi il desiderio di conoscere il resto» (ts I, vi, p. 13).
Per comprendere a pieno le azioni di un uomo occorre conoscerne la vita interiore. La narrazione dei fatti, di conseguenza, va integrata da un racconto del tutto diverso, rivolto a quel che abitualmente non si vede, alla ricca e complessa attività psichica, meritevole di attenzione al di là delle conseguenze pratiche che ne possono derivare. È un cambiamento importante dal punto di vista della storia letteraria: basti pensare alla Poe- tica, dove Aristotele aveva spiegato che la poesia rappresenta gli uomini in azione (tous antropous prattontas). Pur riconoscendo l’importanza della dianoia, cioè dei pensieri e delle intenzioni, la teoria antica (recuperata in Italia a metà del secolo xvi e da lì esportata in tutta Europa) considerava quest’aspetto come una dimensione esteriore ed eminentemente pratica, che andava rivelata al lettore attraverso i discorsi dei personaggi o tutt’al più presentata in modo sintetico dal narratore esterno per giustifi carne le azioni.
Ma perché la «conoscenza del carattere» era diventata così importan- te a metà del Settecento? Che cosa rendeva così decisiva la presentazione dell’interiorità? Innanzitutto, c’è da registrare qui l’avvenuta maturazione di un’idea di “interiorità”, cioè di privatezza e specifi cità di ogni singolo essere umano; il che vuol dire, l’aff ermarsi di quell’idea di soggettività che abbiamo inseguito nei precedenti capitoli, e che uno studioso come An- drea Battistini (1990) ha riconosciuto anche nell’aff ermarsi, a partire dalla fi ne del Seicento, del genere autobiografi co. Una simile necessità rappre-
sterne, o le opinioni 107 sentativa era inoltre dovuta a un fondamentale cambiamento nella materia di ciò che veniva rappresentato. Nei secoli precedenti, a partire dai glorio- si modelli classici, la narrazione della vita di un uomo era stata riservata agli individui esemplari: le grandi fi gure del mito (Achille, Ettore, Ulisse, Oreste, Edipo) e i personaggi storici che avevano realizzato grandi im- prese (Alessandro, Cesare, Gesù). Nel Settecento si poteva narrare la vita di chiunque, si trattasse di un giovane troppo intraprendente (Robinson Crusoe), di una donna di facili costumi (Moll Flanders), di un trovatello di buona indole (Tom Jones) o di una fanciulla perseguitata da un aman- te troppo focoso (Pamela Andrews). Personaggi che spesso raccontavano autonomamente la propria storia, sotto forma di memoriale o di lettere, rivelando le proprie passioni, gli aff etti, le paure, i progetti reconditi. En- trare in rapporto con un’individualità – fosse pure di fi nzione – implicava, insomma, conoscerne la vita intima, gli aspetti del carattere. Al limite, an- che le quisquilie, le vanità più minute, le avventure interiori più passeggere e vane (cfr. Mazzoni, 2011).
Che si sia trattato di un profondo cambiamento della mentalità lo ri- vela un’opera pubblicata nel 1791, trent’anni dopo la prima apparizione di Tristram Shandy. Si tratta di Th e Life of Samuel Johnson (Vita di Samuel Johnson) redatta da James Boswell, che nell’introduzione spiega di essersi impegnato in un lavoro così faticoso perché il dottor Johnson, suo mae- stro e mentore, non si era mai deciso a scrivere la propria autobiografi a, sebbene avesse più volte espresso il parere che ogni grande uomo dovreb- be lasciare una testimonianza diretta della propria vita. Per supplire a una tale mancanza, Boswell ha voluto restituire al lettore «la serie cronologica [chronological series] della vita di Johnson», tracciandola «nella maniera più diretta possibile, seguendola anno dopo anno [which I trace as directly as I can, year by year]» (Boswell, 1999, p. 13). Precisato ciò, Boswell ag- giunge che a suo avviso non esiste «modo più perfetto di scrivere» una biografi a che quello d’intrecciare (interwave) gli eventi più importanti, nell’ordine in cui sono avvenuti, a ciò che l’uomo privatamente «scrisse, e disse, e pensò» («wrote, and said, and thought») (ivi, p. 14). L’opera di Boswell non è certo un’opera umorista (anche se alcuni episodi potrebbe- ro far pensare a un certo umorismo involontario), ma le parole introdut- tive dell’autore mostrano che egli ha voluto realizzare una narrazione che unisse i fatti e i pensieri, ossia la vita e le opinioni del suo personaggio: Th e Life and Opinions di Samuel Johnson, gentiluomo.
108 l’umorismo letterario che è quanto intende fare Laurence Sterne defi nendo il trattato lockiano uno history-book. D’ora in poi, una narrazione non si sarebbe più occupata di semplici deeds (imprese) o facts, ma di fatti fi ltrati attraverso il raccon- to “veridico” di ciò che accade nella mente di un uomo. E se la mente – come abbiamo visto – è inseparabile dal corpo, e quel che li tiene insieme è l’immaginazione, allora nel racconto ci sarà spazio anche per le fancies, per gli umori temporanei, e per le opinioni che ne scaturiscono. A partire, addirittura, dalla vita intrauterina, come spiega uno splendido passaggio dedicato all’homunculus, allo spermatozoo, destinato a dar vita a Tristram:
Ora, egregio signore, quali le conseguenze se, abbandonato a sé stesso, fosse stato colto da qualche disgrazia durante il viaggio? – O se, per il solo terrore di qual- che disgrazia, naturalissimo in un viaggiatore così giovane, il mio signorino fosse giunto a destinazione miserevolmente esausto – la sua forza muscolare e virilità ridotte ad un fi lo; – i suoi stessi spiriti animali sconvolti oltre ogni dire? – Vi immaginate che cosa sarebbe stato di lui se, in questo triste stato di disordine ner- voso, fosse rimasto, per nove lunghissimi mesi di fi la, preda di tetri sogni e fantasie [fancies]? – Tremo al pensiero delle mille infermità che avrebbero messo radice nel suo corpo e nel suo spirito, e che nessuna valentia di medico o di fi losofo avrebbe mai più saputo completamente guarire. (ts I, ii, p. 9)7
Gli aspetti minuti dell’esistenza individuale, i dettagli infi mi della vita quotidiana non soltanto sono la materia del racconto, ma ne determinano il tono, orientando le scelte stilistiche e, di più, marcando il modo stes- so in cui il narratore organizza la sua voce. Si tratta di «una condizione generativa dell’umorismo», come ha detto Mazzacurati (1991, p. 65), che allontana il personaggio letterario da ogni grande costruzione centripe- ta, per fi ssarlo nel «microcosmo in cui è defi nitivamente decentrato»: «Come il pennino del sismografo» – sottolinea Mazzacurati – la scrit- tura umorista non segue più il «continuum a fuoco fi sso di una storia o di una cronaca autobiografi ca», ma procede «sobbalzando, arrestandosi, inchiodandosi addirittura alla carta sotto l’infl usso di una emozione o di un gioco, di un’immagine, per quanto minima, in movimento». Si tratta di un cambiamento epocale, che cambia completamente la prospettiva di ogni narrazione possibile, spostandola dalle tradizionali preoccupazioni per la verosimiglianza e per il rispetto delle convenzioni narrative, cioè da quell’insieme di modalità logico-formali che dovevano conformarsi a quel che si defi niva abitualmente l’“opinione” (intesa come il comples- so delle credenze e delle abitudini socioculturali: Manley, 1980), al libero
sterne, o le opinioni 109 movimento delle opinioni, defi nite esplicitamente dalla pluralità e dalla imprevedibile fl uttuazione.
Com’è stato spiegato, nel romanzo sterniano il termine opinion rias- sume «l’elemento fi sico, sensoriale e il processo mentale», il suo «corri- spondente fi siologico» è il cuore, una complessiva «rivalutazione di heart, cioè di life» che implica il privilegio «delle azioni, dei fatti» (Innocenti, 1976, p. 308). È, questo, l’indice di una nuova dimensione culturale, carat- terizzata da «un codice di comportamento che si affi da alla sensibility, e non al sense» (Pepe, 2012, p. 38), valorizzando proprio l’intreccio di corpo e mente, che abbiamo visto nel precedente paragrafo. Ne sortì, tra l’altro, una signifi cativa evoluzione semantica della famiglia lessicale del “senti- mento”: originariamente «circoscritto alla sfera razionale ed etica, con il valore di opinione, mental attitude, giudizio», il sostantivo sentiment e il più recente aggettivo sentimental, «fra il 1760 e il 1770 si connotarono in senso psicologico, passando a indicare anche ciò che propriamente attiene al feeling, alla sfera dei sentimenti» (ivi, p. 30). Sorgeva a questo punto la necessità di un linguaggio che esprimesse adeguatamente un simile cam- biamento, segnalando il rapporto tra body e mind e la nuova, fi no ad allora sconosciuta, addizione “sentimentale”, che faceva del corpo un «terminale espressivo» di primaria importanza (ivi, p. 41).
Questa complessiva trasformazione dei rapporti tra ragione e senti- mento, che ebbe eff etti rilevanti nella sfera del comportamento e del lin- guaggio (cfr. Di Michele, 1977; Pepe, 2012, p. 80), infl uenzò in maniera profonda anche il modo di raccontare. A partire da quest’epoca, i senti- menti non sono più soltanto “narrati”, ma diventano “narranti”. In altri termini, essi non sono più semplice “materia”, l’oggetto di un racconto, ma determinano la stessa narrazione, in quanto, collocati «dietro lo sguar- do che seleziona», costituiscono «il sigillo che garantisce l’autenticità, la macchina che produce la simulazione del vissuto, o meglio del “prova- to”». Di conseguenza, da questo momento in poi «il “sentimento” (le sentiment)» dovrà essere considerato la «forma del racconto, attitudine e maniera del narratore» (Mazzacurati, 2006c, p. 76). Ne scaturiva, come riconobbe Giovanni Rabizzani nel suo pionieristico, e ancor oggi fonda- mentale, Sterne in Italia (1920), una declinazione “sentimentale” dell’u- morismo, basato sulla congiunzione di opinions e sentiments, entrambi al plurale perché entrambi soggetti alla condizione temporale del soggetto (quella temporalità che per primo aveva messo al centro della sua scrittura Petrarca).
110 l’umorismo letterario Le «opinioni – concluderemo con Frasca (2015, p. 118) – narrano la vita» come assorbimento da parte del lettore di «un’infi nità di piccole percezioni (feelings)» originariamente vissute dal narratore. La «scoperta dell’infi mo» che Mazzacurati ha attribuito al Tristram Shandy si presen- ta allora come un “viaggio sedimentale” (ibid.), il depositarsi progressivo delle minuzie dell’esistenza altrui nel sensorio del lettore, colui che, come abbiamo letto all’inizio di questo capitolo, stava intanto addestrandosi a cogliere gli affi oramenti corporei delle intime ragioni della mente. Si trattava di un’operazione che rifuggiva dal voler creare l’illusione di star «rispecchiando la vita», e che era invece rivolta a realizzare «quella mi- nuscola porzione di esistenza» in cui «lo sguardo dal libro incrocia […] il corpo del lettore» (ivi, p. 123). La fi nzione del romanzo sterniano si propone allora come invito a mimetizzarsi nell’autore in atto», entrando in un formidabile «reticolo, tanto stocastico quanto idiosincratico», in- trecciato da «continue associazioni mentali» (ivi, p. 120), che il lettore è invitato a seguire.
Un obiettivo diffi cilissimo, ma davvero tipico dell’umorismo, come avrebbe sottolineato cento anni dopo il giovane Carlo Dossi nel suo ro- manzo autobiografi co d’esordio, L’altrieri, dove, soff ermandosi a ragiona- re sulla natura delle fantasticherie dei bambini, constatava l’impossibilità di restituirle in un racconto, in quanto:
Punto primo: egli è impossibile di imprigionare – salvo che dentro un rigo da mùsica – certi pensieri che fra di loro si giùngono, non già per nodi gramaticali ma per sensazioni delicatìssime e il cui prestigio stà tutto nella nebulosità dei con- torni: un tentativo di abbigliarli a periodi con il lor verbo, il soggetto, il comple- mento… so io di molto? li fuga. Punto secondo: avessi io anche la potenza, la quale nessuno ebbe né avrà mai, di acchiapparli con invisibili maglie, di presentàrveli come vènnero a me, bisognerebbe che voi, per non trovarli ridìcoli, per non tro- varli bambinerìe, foste, leggendo, nella medesima disposizione di spirito delo loro scrittore. Il che, fra noi, non può essere. Quando la fantasìa nostra si aff olla, quan- do ci scordiamo di vivere con pelle ed ossa, un libro – stretto da noi e con amore, prima – ci sfugge inavvertitamente. (Dossi, 1988, p. 67)
Quel libro caduto dalle mani del lettore e rotolato sul tappeto di cui parla Dossi è esattamente lo stesso libro che verso la metà del Settecento Sterne aveva delicatamente raccolto da terra per porgerlo a noi lettori, invitando ad abbandonarci al movimento del mondo e delle opinioni.
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Contro la linea retta
I primi due libri del Tristram Shandy apparvero nel gennaio 1760; l’anno successivo, nel gennaio 1761, furono pubblicati i libri iii e iv, seguiti l’an- no dopo dai libri v e vi (in verità passarono solo undici mesi, giacché la stampa è datata dicembre 1761). A questo punto, a causa delle condizioni di salute dell’autore, dei suoi impegni e anche del diminuito interesse dei lettori, la regolarità si spezzò, tanto che i libri vii e viii videro la luce solo nel gennaio 1765; dopo altri due anni, nel gennaio 1767, fu infi ne messo in vendita il ix e ultimo libro. Nel febbraio 1768 furono pubblicati i pri- mi due libri della nuova opera, il Sentimental Journey through France and Italy, la cui realizzazione fu però interrotta dalla morte di Sterne, avvenuta a Londra il 19 marzo dello stesso anno.
Ricordare la sequenza con cui le parti del romanzo videro progressiva- mente la luce non serve soltanto per sistemare i dati cronologici. Al contra- rio, come sa chiunque abbia letto il romanzo, esiste un preciso rapporto tra il tempo di composizione, il tempo di pubblicazione e la struttura dell’o- pera, a partire dal motivo della fi nzione autobiografi ca. Se aveva ragione Viktor Šklovskij a sostenere che «la comprensione della forma attraverso la sua infrazione è il contenuto stesso del romanzo» sterniano (Šklovskij, 1968, p. 213: cfr. più avanti cap. 13), se quindi il Tristram Shandy si propo- ne come una parodia del neonato romanzo moderno, è però anche vero che Sterne si è sforzato di ancorare il preteso racconto autobiografi co del protagonista-narratore «a una temporalità più precisa e più chiara»: un «piano diff erente di realtà» realizzato attraverso il riferimento al «libro stesso nel suo formarsi» e, più precisamente, al «processo di creazione di cui la pagina è testimone e prodotto» (Pepe, 2012, p. 115). La processua- lità della pubblicazione viene così chiamata dentro il sistema dell’opera, per marcare, attraverso l’ancoraggio a una cronologia eff ettiva, il dramma temporale di cui è vittima il narratore, e cioè il fatto che anche lui, come tutti gli esseri umani, è sottoposto alla tirannia del tempo che, inesorabil- mente, passa e non si ferma.
A tal fi ne, Sterne sfruttava un presupposto logico della scrittura auto- biografi ca, la cui forma “classica” prevede che lo scrittore si situi fuori del tempo, in una posizione che gli permetta di abbracciare la propria vita sen- za patire più le vicissitudini del tempo (cfr. Schiano, 2015). Basti pensare a Mémoires d’outre-tombe di Chateaubriand, in cui l’autore presenta il rac- conto della sua vita sistemandosi direttamente nell’“oltretomba”: un luo-
112 l’umorismo letterario go legittimato (Foucault ne ha fatto l’esempio tipico dell’opera che ambi- sce a essere collocata nella Biblioteca), da cui ci si può rivolgere al lettore senza più temere il gioco delle alterazioni e dei sommovimenti temporali (Foucault, 1985). Tutt’al contrario, Tristram è creatura del tempo prima ancora che creatura nel tempo: come chiarisce la splendida pagina in cui si descrivono i nove mesi trascorsi dal feto nel ventre materno a rimugina- re considerazioni melanconiche. Ma Tristram è creatura del tempo anche perché la sua costituzione soggettiva si realizza attraverso la temporalità della scrittura e delle corrispondenti cadenze editoriali, la cui esibizione (della scrittura e dell’editoria) produce un “eff etto” di autenticità virato «decisamente verso la soggettività di chi scrive, piuttosto che verso la di- rezione consunta del mondo raccontato» (Pepe, 2012, p. 116).
Tra le particolarità del racconto di Tristram, com’è noto, vi è la sua tendenza a procedere per digressioni, soff ermandosi su dettagli e su fi gu- re che non necessariamente hanno un ruolo predominante nella logica dell’azione narrativa (cfr. cap. 14). Ma se, come abbiamo visto, il romanzo sterniano non è più incentrato sulle azioni, di conseguenza la narrazione procede indiff erente alle regole di combinazione e sviluppo della trama. Quest’attitudine assume un carattere addirittura madornale nella prima parte del romanzo, quando, a furia di precisare aspetti marginali o di chia- rire i diversi presupposti dei rapporti tra i personaggi, al narratore sfugge ripetutamente la possibilità di raccontare il giorno della sua nascita, nono- stante i primissimi capitoli del libro i illustrino con una certa precisione la particolarità del concepimento. Poiché i libri uscivano in coppia ogni dodici mesi, e poiché i primi due libri non arrivano a raccontare il primo giorno di vita del narratore, all’inizio del libro iv il narratore presenta al lettore un gustoso paradosso temporale:
In questo mese [era il gennaio del 1761, stando al tempo dei lettori] sarò d’un intero anno più vecchio di quando incominciai a scrivere dodici mesi or sono [quando erano apparsi i primi due libri], ed io, pur essendomi inoltrato, come vedete, sin verso la metà del quarto volume – non sono andato oltre la prima giornata nella mia biografi a; – è evidente che, se in trecentosessantacinque giorni di vista vissuta ne ho descritto soltanto uno, ne ho trecentosessantaquattro in più da narrare che non quando incominciai; così che, invece di andare avanti nel mio lavoro come qualsiasi biografo, dopo tutto quello che ho scritto mi trovo rigettato indietro di un numero corrispondente di volumi.
Se ogni giorno della mia vita dovesse essere così movimentato come questa prima giornata – E perché no? – mi domando. Se gli eventi e le opinioni sopra di
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essi richiedono tanta narrazione, come si fa a tagliar corto? E poi, perché tagliare? Siccome di questo passo il ritmo della mia vita vissuta risulterebbe trecentoses- santaquattro volte più rapido di quello della sua narrazione – deve seguirne, le vostre signorie permettendo, che più io scriverò, tanto più avrò da scrivere – e di conseguenza tanto più le vostre riverenze da leggere. (ts IV, xiii, p. 242)8
Conclusione mirabile che convoca il lettore nella medesima spirale di pa- radossi cronologici nella quale si trova il narratore: più si vive, più c’è da raccontare; più si vive, più c’è da leggere. La «struttura del capolavoro di Sterne» si presenta allora davvero come «virtualmente infi nita», basa- ta su un continuo diff erimento della fi ne, rinviata di anno in anno grazie alla pubblicazione progressiva, ma sempre parziale, che consente, al tempo stesso (e proprio per la sua progressività), l’inveramento della struttura au- tobiografi ca. Poiché, infatti, Tristram Shandy è il racconto della “vita delle opinioni” del protagonista, e poiché le opinioni strutturano l’esistenza come continuo diff erimento della fi ne, allora si dovrà dare ragione a Frasca (2015, p. 115) nel dire che «tutto ciò che è seriale risulta sempre, ma in virtù di digressioni o approfondimenti in loco, in progress».