Chi volesse divertirsi a sfogliare i tre volumi che raccolgono i 271 nume- ri del “Tatler”, apparsi tra l’aprile 1709 e il 2 gennaio 1711, si renderebbe conto che la notevole diversità di materie trattate all’inizio delle pubblica- zioni andò con i mesi semplifi candosi. Ciò almeno dal punto di vista for- male, giacché, se all’inizio si trovano articoli impostati in modo diverso, intrecciando i toni più seri della trattatistica scientifi ca al registro rilassato del commento personale, con il tempo venne invece prevalendo quel che si sarebbe chiamato il periodical essay, un genere basato sulla centralità dello scrivente rispetto all’oggetto trattato. Man mano che la voce di Bickerstaff acquista autorità, alla semplice relazione di notizie viene sostituendosi il saggio, in cui risultano più importanti lo stile e il punto di vista di colui
il chiacchierone tipografico 189 che scrive, piuttosto che la relazione oggettiva dei fatti. E del resto già la testata indicava, sin dal titolo (“Tatler” signifi ca “colui che chiacchiera”), la maggior rilevanza del commento rispetto alla notizia: per quanto potesse essere fi ttizia, era insomma la persona che si dichiarava autore degli articoli a caratterizzare, con il suo stile, la comunicazione8.
Questo aspetto infl uenzò anche l’impostazione complessiva della rivi- sta. Donald F. Bond (1987b) ha infatti osservato che, se nei primi numeri la sezione intitolata «From my own Apartment» era costituita soltanto da brevi commenti editoriali e da qualche riferimento a fatti relativi alla vita privata di Bickerstaff , essa si trasformò gradualmente in una rubrica di saggi di stile informale, fi no a presentarsi come una raccolta di interven- ti di notevole lunghezza, che potevano occupare anche l’intero fascicolo. L’appartamento privato di Bickerstaff fi nì con l’avere la meglio sullo spa- zio semipubblico delle Coff ee Houses nelle quali Steele fi ngeva di redigere i suoi scritti dedicati alla “mondanità” o alla “politica estera”: di conse- guenza il giudizio soggettivo dello scrivente, il suo stile e le sue opinioni assunsero un rilievo preponderante.
Questo spostamento, e il conseguente mutamento d’impostazione stili- stico-formale, conferirono una grande importanza al locutore, o insomma all’autore, ossia al “chiacchierone” che dava nome alla rivista. Tale impor- tanza sarebbe stata ulteriormente sottolineata dall’edizione in volume dei numeri sin lì apparsi, Th e Lucubrations of Isaac Bickerstaff (1710)9. Questo
titolo, sottolineando l’individualità soggettiva dell’autore (sia pure camuf- fato sotto il nome di un personaggio inventato), metteva in evidenza un modo: l’elucubrazione, cioè, letteralmente, il lavoro intellettuale fatto al lume di candela, e dunque, per traslato, il prodotto letterario che ne deriva.
In una direzione leggermente diversa sarebbero andati i titoli delle tra- duzioni francesi apparse ad Amsterdam – Le Babillard, ou le Nouveliste philosophe (1724, 1735); Le philosophe nouveliste (1735) –, che, non poten- do contare sulla notorietà del nom de plume scelto da Steele (Bickerstaff non era infatti noto nel mondo di lingua francese), preferirono mettere in risalto il rapporto tra l’oggetto aff rontato (le nouvelles, cioè le “notizie”: le news)10 e un certo tono stilistico: quello del discorso fi losofi co, evidente-
mente non sistematico, ma disimpegnato e compromesso con il mondo, caratterizzato dalla ricerca della saggezza (il Dictionnaire universel di Fure- tière defi nisce infatti il philosophe colui «qui aime la sagesse»).
Ma qual era il carattere di questo strano intreccio di fi losofo e giorna- lista? Qual era la sua indole? Che “ingegno” aveva? Sebbene non molto
190 l’umorismo letterario frequenti, il lettore trova, disseminati nei vari numeri della rivista, alcu- ni indizi che consentono di defi nire meglio la sua personalità. Così, per esempio, nel n. 22 del 31 maggio 1709 leggiamo che l’autore sarebbe «of Saturnine and Melancholy Complexion» (T i, p. 176); mentre qualche mese dopo, nella prima Dedication dell’edizione in volume (1710), l’edito- re gli attribuisce «an inimitable Spirit and Humour», che ha permesso ai suoi scritti di raggiungere «a Pitch of Reputation» (“una grandissima ri- nomanza”: T i, p. 8). Bickerstaff avrebbe dunque un umore melanconico; egli sarebbe inoltre dotato di esprit e sarebbe portato alla conversazione leggera su argomenti seri. Sembra davvero la sintesi di quanto siamo venuti osservando nei vari capitoli di questo libro, intrecciando la teoria degli umori con l’emersione nella cultura occidentale di un’idea di soggetto au- tonomo e responsabile, e seguendo lo sviluppo di una civiltà della conver- sazione come esercizio delle proprie capacità intellettuali e competenze espressive, nel segno del discorso spiritoso e nel rispetto della dignità per- sonale. E infatti è lo stesso Bickerstaff a spiegare che «il talento più neces- sario a un Uomo di Conversazione, che è quel che s’intende d’abitudine per perfetto Gentiluomo, è una buona capacità di giudizio»11. Madame
de Rambouillet non avrebbe potuto esprimersi diversamente; come, del resto, fece Henry Falton nel 1713, apprezzando il “Tatler” per il «grave e faceto cavalier Bickerstaff », capace di adottare uno «stile vario, a seconda degli umori, delle immaginazioni e delle follie che descrive» (Bond, 1987b, vol. i, p. xiv, corsivi aggiunti)12.
Tutto ciò rimbalzava ovviamente sulle qualità dell’autore, Richard Steele, e dei suoi colleghi. Così, se già nella Preface all’edizione in volume, Steele aveva omaggiato Jonathan Swift per la sua «uncommon Way of Th inking, and a Turn in Conversation peculiar to that agreeable Gen- tleman» (T i, p. 3), nel n. 271, egli ringraziava l’amico Joseph Addison attribuendogli «le migliori e più ingegnose battute di spirito di tutte le elucubrazioni di Bickerstaff » («the fi nest Strokes of Wit and Humour in all Mr. Bickerstaff ’s Lucubrations»: T iii, p. 363). Mentre, al contrario, subito dopo la chiusura della rivista, nel n. 272 realizzato da John Baker, si sarebbe letto l’elogio di Steele per la sua serenità di giudizio, per il suo coraggio e per il suo «bright Wit to rally the Town into good Humour» (T i, p. xxvi): un ingegno brillante capace di riunire la città nel buon umore.
Se la personalità, il carattere di Isaac Bickerstaff assumeva una tale im- portanza, risulterà evidente che altrettanto importante era lo stile con cui
il chiacchierone tipografico 191 si esprimeva, tanto più che si trattava di lucubrations, ossia di testi letterari, frutto del wit. Leggendo le centinaia di articoli a lui attribuiti si possono trovare numerosi riferimenti al suo modo di esprimersi, a partire già dal n. 5, in cui si difende quello stile informale o addirittura scorretto («In- correcteness of Style») che permette a un testo scritto di avere «l’aria del discorso quotidiano» («an Air of common Speech»: T i, p. 51). Siamo insomma dalle parti di Giovanni Pontano, che duecentocinquanta anni prima aveva intitolato il suo trattato De sermone per sottolineare la scelta di ragionare sul common speech. E non sorprende pertanto di trovare citato qui il nome di Montaigne come esempio della libertà consentita agli auto- ri di saggi («Writers of Essays»), i quali possono anche parlare di sé stessi («talk of our selves»): dichiarazione tanto più signifi cativa se si pensa che la si legge in un saggio inviato fr om my own Apartment, cioè dalla residenza privata dello scrittore stesso (T ii, p. 26). Altrove Bickerstaff insiste inoltre sul carattere disimpegnato dei suoi articoli, che sarebbero una semplice chiacchierata: «All this Chat» (T iii, p. 107), un’espressione che riman- da direttamente al titolo della rivista. Conversare liberamente, senza un fi lo rigoroso che impegni autore e lettore in uno sforzo intellettuale ecces- sivo, divagando di argomento in argomento, secondo quella «Libertine Manner of Writing by Way of Essay» (T ii, p. 445: «Maniera libertina di scrivere in forma di saggio») che s’iscrive senza alcun dubbio nella linea fi ssata da Montaigne alla fi ne del Cinquecento e che, passando attraverso l’esperienza capitale di Sterne, sarebbe transitata nella cultura occidentale, arrivando fi no al Novecento e oltre.