Se il “Tatler” propendeva per uno stile semplice, disimpegnato, al tempo stesso severo e faceto, ciò vuol dire che Steele si inseriva in quella tradi- zione di lungo periodo che aveva proposto un uso sapiente delle armi del ridicolo e del tono spiritoso, ma che aveva voluto anche regolarne l’uso attraverso una serie di prescrizioni di ordine retorico e morale. In eff etti, la questione si riproponeva identica nell’Inghilterra del Settecento. Qui, certo, la nuova borghesia amava rappresentarsi nella forma nobilmente atteggiata del conversation piece, quel genere pittorico in cui era raffi gu- rato un interno domestico con la famiglia o il gruppo di amici riuniti intorno a un tavolino che s’intrattengono in giochi innocui e in amabili
192 l’umorismo letterario discussioni. Ma, al tempo stesso, fuori delle dimore private c’era la vita pubblica, l’agone politico, lo scontro delle idee, nel quale si faceva un uso ben diff erente, assai meno regolato, del ridicolo. Lo sapevano bene i redattori del “Tatler”, una delle cui sezioni – come abbiamo visto (cfr. par. Trompe l’œil) – prendeva il titolo dalla Well’s Coff ee House, sita dalle parti di Russell Street. A dire di John Ashton, si trattava della sede privi- legiata degli uomini spiritosi, quel tipo di persone che un’anonima pub- blicazione miscellanea del 1703 (riedita nel 1710) defi niva come coloro che «spendono tutte le loro parole in scherzi, scherzi inutili. Essi hanno l’immaginazione pronta per le ridicolaggini, e sono ragionevolmente ca- paci di esprimersi bene. Nulla può fermare la loro battuta quando l’han- no concepita: preferirebbero perdere un amico che l’occasione di dire una spiritosaggine»13.
C’era dunque, ancora una volta, il problema di contenere il riso, in ac- cordo con quella tradizione teorica e precettistica che aveva sempre con- sigliato, sin dai tempi di Cicerone, di evitare gli estremi della rozzezza e della buff oneria. Ma d’altro canto l’umorismo era davvero una prerogativa fondamentale di questa civiltà, tant’è che Bickerstaff , riprendendo esplici- tamente concetti e lessico del mondo francese, parla di una «Fine Art of Raillery», “un’arte raffi nata del prendere in giro”, che si realizza quando «un uomo rende un altro ridicolo, mostrando al contempo che è di buon umore, non spinto a prendere in giro l’avversario da spirito di cattiveria» («a Man turns another into Ridicule, and shows at the same time he is in good Humour, and not urged on by Malice against the Person he rallies», T i, p. 409). La risibility è dunque «the Eff ect of Reason» (T i, p. 437), e il wit va commisurato, come voleva la lunga tradizione del classicismo, a «circumstances of time and place» (T i, p. 220).
Se questo è il contesto nel quale si colloca il “Tatler”, e se queste sono le prerogative alle quali fa appello, è interessante chiudere il nostro attraver- samento della tradizione del discorso spiritoso provando a visualizzare la voce di Bickerstaff , una voce che caratterizzò così tanto la cultura inglese del Settecento che ancora settant’anni dopo la fi ne delle pubblicazioni il dottor Johnson avrebbe invitato la giovane Susannah Th rale a legger- ne gli articoli, perché essi sono «la fonte della conversazione» (Bond, 1987b, p. xi)14. Il frontespizio dell’edizione che nel 1710 riuniva in volu-
me i numeri della rivista fi n lì pubblicati presentava un ritratto del signor Bickerstaff (fig. 2).
il chiacchierone tipografico 193 sualizzazione di un personaggio inventato, collaborando ulteriormente a quella confusione tra letteratura e realtà su cui ci siamo già soff ermati. Ma anche perché il ritratto appare ispirato a una celebre incisione realizzata da Albrecht Dürer nel 1514, la Melencolia i (fig. 3).
Il richiamo appare evidente sin dalla tipica posa in cui è raffi gurato il protagonista, colto nell’atto della meditazione, con la testa reclinata sul braccio sinistro sostenuta dalla mano stretta a pugno (l’immagine sette- centesca in verità fa acquisire al gesto una leggerezza leziosa e forse un po’ birichina). Si può inoltre notare la ripresa dei simboli della quinta delle arti liberali, la geometria, che costituiva una delle principali novità del- la raffi gurazione düreriana. Troviamo infatti in entrambe le immagini il compasso, la sfera, il sestante, gli strumenti per la misurazione dei cieli. Nel ritratto settecentesco c’è poi il telescopio, che ovviamente Dürer non conosceva ancora, e che qui vale come trasfi gurazione moderna di quella conoscenza astronomica già allusa nell’incisione cinquecentesca.
Certo, si dirà, Dürer rappresenta una fi gura simbolica, e anzi proprio questa è la novità della sua concezione15, mentre invece Bickerstaff è un
individuo, sebbene d’invenzione. Ciò non contraddice però la ripresa puntuale degli elementi salienti dell’immagine, esaltata anche dalle va- rianti, a partire dal puttino recante la borsa e le chiavi, simbolo di danaro e potere, che viene trasfi gurato in un giovane paggio che, signifi cativamen- te poggiato sulla sfera (vera citazione dell’originale düreriano) porta allo scrivente, seduto languido e malinconico su un moderno seggiolone, una lettera, che dobbiamo immaginare essergli stata inviata con il sistema del penny post… In questo gioco di allusioni, riprese e inversioni del signifi - cato, appare signifi cativa anche la trasformazione dei chiodi e delle righe per le costruzioni di falegnameria, originariamente collocate ai piedi della Melencolia, nei pugnaletti, spadini, carte da gioco, dadi che ingombrano il suolo dell’appartamento di Bickerstaff , su cui intanto giocano due anima- letti domestici.
Se la ripresa dell’illustre modello è nel complesso evidente, chiaro appare anche il senso delle varianti. Basta ricordare che uno dei testi cui Dürer si era ispirato per realizzare la sua immagine era la Margarita philo- sophica, che aveva ampliato il tradizionale simbolismo «del compasso, del- la sfera, degli arnesi per scrivere», mettendone in evidenza la dimensione teorica delle scienze del numero, piuttosto che la loro possibile applicazio- ne pratica. Nella Melencolia, inoltre, la presenza di bilance e clessidre, in- somma degli «strumenti per misurare il tempo e il peso», esaltava il pon-
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derare come atto del misurare ragionato, in quanto «compito essenziale della Geometria» (Klibansky, Panofsky, Saxl, 1983, p. 288). Richiamando la composizione visiva realizzata da Dürer e l’insieme dei suoi signifi cati simbolici, l’immagine raffi gurante Bickerstaff rivela con chiarezza l’impo- stazione verticale, che contrappone gli strumenti della ragione, collocati in alto, alla dispersione della futilità, visibile invece in basso. Al centro tra i due poli è situato il melanconico scrittore, che, intento a comporre, è stretto tra la potenza dell’astrazione intellettuale e l’attrazione dei mille desideri possibili, concentrato nella rifl essione e distratto dalle urgenze del
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quotidiano. Il signor Bickerstaff , il gentiluomo di cui seguiamo le opinioni a mano a mano che la sua vita s’intreccia con le notizie che riguardano tutti, ci appare così come il classico soggetto dell’umorismo, il cui equili- brio, impacciato com’è dalle trivialities quotidiane, è fatto continuamente sobbalzare dal costante fl uire della vita.