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GIUDIZIARIA DEI MEDICI di Piera Mignem

5. Colpa lieve e colpa grave

La questione che finisce con il costituire il collante tra la parte di rilievo penalistico e la parte di contenuto civilistico della disposizione in rassegna è quando il medico possa dirsi incorso in colpa lieve per essersi attenuto alle linee guida e alle pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Chiarire questo aspetto risolve anche l'altro, speculare: quando non trova applicazione l'art. 3 della legge Balduzzi perché il sanitario si è discostato dalle linee guida o perché vi ha aderito, ma versi in colpa grave. È in questo contesto di riferimento che torna utile la riflessione civilistica sulla portata dell'art. 2236 cod. civ.18 (richiamato dall'originario primo comma dell'art 3 del decreto) che una parte della giurisprudenza penale, dopo una fase in cui si era dimostrata alquanto restia, si dimostra disponibile ad impiegare per accertare la colpevolezza del professionista. La miniriforma sanitaria sembra assecondare tale rinnovata apertura: l'art. 3, comma 1, della l. n. 189/2012, è un esempio, benché non pienamente riuscito, di normativizzazione della colpa che, a sua volta, punta alla sua iperoggettivazione in ossequio alla recente tendenza ad adottare una nozione unitaria di colpa valevole per l'illecito civile e per quello penale. Tale risultato fa sorgere un altro dubbio, cresciuto tutto in ambito privatistico, ossia se gli artt. 1176 e 2236cod.civ. travalichino i confini della disciplina delle obbligazioni. Malgrado la norma, anzi le norme siano contenute nel Libro IV e non siano richiamate dalla disciplina dell'illecito aquiliano, la giurisprudenza si è progressivamente adoperata per l'appiattimento, cioè l'omogeneizzazione della configurazione della colpa che, invece, continua a lasciare piuttosto perplessa la dottrina.

È vero che la legge Balduzzi ha abbandonato il riferimento inizialmente contenuto nel decreto legge agli artt. 1176 e 2236 cod. civ. e spostato l'asse sull'illecito aquiliano, ma non è detto che abbia inteso voltare le spalle agli artt. 1176 e2236cod.civ.. La dimostrazione la si può rinvenire nel fatto che la tesi più diffusa ritiene che l'art. 2236 cod. civ. comporti l'esonero da responsabilità per colpa lieve limitatamente al profilo dell'imperizia; significa che né la negligenza né l'imprudenza ne sono escluse e che, dunque, risponda per colpa lieve colui che provochi un danno per omissione di diligenza e di prudenza. Questo dato è di grande rilievo perché nel momento in cui si chiede al giudice penale di accertare la ricorrenza di una colpa lieve (o di una colpa grave) i criteri indicati dall'art. 2236 cod. civ. si dimostrano capaci di garantire tanto la

16 La colpa lieve per osservanza esclude la punibilità, ma la colpa per inosservanza, a prescindere dalla

sua intensità, non incide sull'an, bensì sul quantum, secondo i canoni consolidati dell'illecito penale.

17 Si è parlato (nuovamente) di regime a doppio binario.

18Recita l'art. 2236 c.c.:"Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il

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ricercata valutazione della misura soggettiva della colpa quanto la personalizzazione/individualizzazione dell'addebito colposo. Solo in questo modo si può pensare che assuma rilievo pratico l'idea implicita nella previsione della prima parte dell'art. 3 della legge Balduzzi per cui il giudice debba non solo verificare la colpevolezza alla stregua del criterio normativo dell'aderenza alle linee guida e alle best practice19 , ma anche in base all'obbligo gravante sul sanitario di conformare le proprie scelte alla situazione concreta in cui si trova ad operare (scelte che dipendono da una molteplicità di circostanze sottratte alla sua sfera di controllo quali l'indisponibilità non superabile della strumentazione tecnica necessaria, le condizioni del paziente, la natura particolarmente difficoltosa dell'intervento, il proprio grado di esperienza e conoscenza, e le condizioni in cui si agisce).

Un altro tassello di quest'idea è costituito dalla possibile autonomia e frammentazione del giudizio di colpevolezza derivante dall'art. 43 c.p. secondo che venga in considerazione la negligenza oppure l'imprudenza, l'imperizia e l'inosservanza di leggi, di regolamenti e di discipline. Ora, preso atto che la diligenza indica lo sforzo necessario al debitore per adempiere e la perizia è l'espressione dello sforzo tecnico preteso dalla conoscenza e dall'applicazione delle regole tecniche e professionali espresse dalla categoria professionale di appartenenza, conservando l'autonomia del giudizio relativo al comportamento negligente ed imprudente rispetto a quello imperito, è possibile ritenere che il legislatore abbia voluto dire che l' applicazione delle linee guida e delle pratiche mediche scientificamente avvalorate esclude la censura di imperizia a carico dell'esercente la professione sanitaria, ma non lo sottrae al giudizio di colpevolezza per aver tenuto un comportamento negligente e/o imprudente, ove egli non abbia fatto uso della premura, dell'attenzione, dell'accortezza e della scrupolosità che avrebbero dovuto guidarlo e orientarlo nell'adozione e nell'applicazione delle nozioni tecniche (che compendiano la perizia). Un comportamento diligente avrebbe indotto ad accertare la ricorrenza di soluzioni terapeutiche diverse rispetto a quelle adottate o a condurre un'analisi costi/benefici il cui esito avrebbe suggerito di disattendere le linee guida, o ancora ad indirizzare verso una metodologia diversa eseguibile con le dotazioni strumentali a propria disposizione o persino ad astenersi dall'esecuzione dell'intervento ove al di sopra delle propria preparazione o ineseguibile per carenze di mezzi tecnici. Infine, è necessario stabilire cosa si intenda per linee guida e cosa per pratiche avvalorate dalla comunità scientifica: sembra corretto parlare di linee guida là dove si riscontri un processo di codificazione e di buone pratiche ove invece faccia difetto una regolamentazione, con il rischio più che mai concreto, però, in quest'ultimo caso, che ci si allontani dalla colpa specifica. Vero è che, secondo la gran parte della dottrina e degli specialisti, entrambe devono essere «accreditate dalla comunità scientifica»: il legislatore positivizza uno standard qualitativo che riguarda non solo la loro fonte di produzione, necessariamente inserita in un contesto sovranazionale, ma altresì il grado di validazione e di diffusione di cui debbono essere in possesso. La richiesta di un ampio avvaloramento scientifico è tuttavia ben lontana dal superare le difficoltà; è, infatti, diffuso il sospetto che, atteso il ruolo loro attribuito, il legislatore dovesse farsi carico dell'incertezza circa la loro autorevolezza scientifica, riconoscendo solo alle linee guida, per così dire, istituzionali il valore di regole capaci di scriminare la condotta; e, per di più, è generalizzata l'accusa che esse siano funzionali agli interessi economici di

19 Corre il richiamo all'inidoneità delle linee guida e delle buone pratiche ad integrare gli estremi di una

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gruppi privati/o che siano votate ad introdurre risparmi di spesa, che contengano valutazioni di carattere epidemiologico-statistico genericamente pertinenti alla popolazione piuttosto che al singolo caso. Ce n'è quanto basta per suggerire molta prudenza ove si voglia considerarle in senso tecnico regole cautelari da impiegare per valutare la ricorrenza o meno di una responsabilità (penale), o meglio di una colpevolezza, stante che la violazione di una cautela non è ancora colpa, anche se crea una situazione di rischio. Quest'ultima considerazione è così fondata da giustificare tanto la provocazione di chi ha concluso che è in culpa sine culpa colui che, pur attenendosi alle linee guida e alle buone pratiche, incorre in colpa lieve, quanto l'atteggiamento cauto assunto dalla Corte di Cassazione che le ha degradate a raccomandazioni20 (riprendendo una definizione dell’Institute of Medicine21).A giustificare tali conclusioni c'è il problema della mancanza di rigidità: esse non hanno un contenuto rigido, perciò non impongono la tenuta di un comportamento in tutto e per tutto predefinito, al contrario indicano un comportamento astratto che l'esercente la professione sanitaria non può, ma deve adattare al caso concreto. È vero, infatti, che la regola astratta, pur valida e scientificamente testata, deve venire a contatto con una situazione specifica: solo la sintesi del piano astratto e di quello concreto vale a conformare il comportamento dovuto ed esigibile. È il quid proprium delle regole cautelari codificate a contenuto non rigido, bensì elastico: esse non impongono una condotta ad esse aderente, ma esigono una scelta, giacché fanno dipendere la selezione della regola di condotta dalle circostanze del caso concreto: sulla base di quelle circostanze andrà individuata la condotta doverosa ex ante che avrebbe tenuto l'agente modello. Dunque, tanto il comportamento del medico che ignori o si discosti ingiustificatamente dalle linee guida quanto quello di chi vi si conformi con superficialità ricadono nella colpa generica e contravvengono alla diligenza doverosa propria del medico modello. Sicché l'esercente la professione sanitaria potrebbe essere in colpa tanto per adesione quanto per divergenza: nella prima ipotesi, per essersi adagiato sulle linee guida ignorando, non cogliendo o non interpretando correttamente i segnali di allarme che gli suggerivano nel caso specifico di discostarsene e nella seconda perché nello scarto ingiustificato tra la condotta concretamente assunta e quella astrattamente suggerita si inserisce la colpa.

6. L’art. 139 Codice delle Assicurazioni: responsabilità medica e r.c. auto a

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