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LE INFEZIONI NOSOCOMIALI: UN RISCHIO OGGETTIVAMENTE PREVENIBILE

3. Il “vantaggio” di essere un paziente.

Quello della responsabilità medica è un settore esplosivo: i casi di malpractice sanitaria sono all’ordine del giorno sui banchi giudiziari e richiedono una particolare attenzione da parte del giudice, stante la delicatezza dell’interesse coinvolto, annoverabile tra i diritti inviolabili costituzionalmente protetti (art. 2 Cost.). Per la frequenza con cui si verificano le infezioni ospedaliere e per la posizione del paziente che non è in grado, pur adottando un comportamento diligente, di evitare l’evento dannoso,8 la giurisprudenza ha nel tempo inquadrato la fattispecie nella responsabilità contrattuale, trovante il suo riferimento normativo nella disciplina generale in materia di contratti pervista dal codice civile, ed in particolare nell’art. 1218. Questo regime d’imputazione del danno, infatti, agevola la posizione del debitore, quindi del paziente, riponendo nella struttura ospedaliera l’onere di provare l’adempimento, o un inadempimento dovuto a cause estranee e non imputabili alla stessa.9

La presenza nel rapporto tra paziente e struttura ospedaliera, come si è detto, di una prestazione per così dire “complessa”, che ricomprende la prestazione principale e tutta una serie di obblighi di protezione secondari, che possono ben rientrare nell’interesse del paziente a non subire ulteriori danni in pendenza di ricovero, ha sempre creato

prestazioni alberghiere, comprendendo anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario, paramedico, l'apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di "assistenza sanitaria", che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori.”.

7 DPR 13 settembre 1988, “Determinazione degli standard del personale ospedaliero”, che istituisce il

Comitato di controllo delle infezioni ospedaliere “al fine di accertare la qualità dell’assistenza sanitaria, per conferire maggiore professionalità agli atti tecnici essenziali”; DM 24 luglio 1995: “Contenuti e modalità degli indicatori di efficienza nel Servizio nazionale". Più organica la normativa presente nei vari Piani sanitari nazionali (a partire dal DPR 23 luglio 1998, a cadenza biennale). Per info più generali, http://www.epicentro.iss.it/problemi/infezioni_correlate/infezioni.asp.

8 Si potrebbe estremizzare, in linea teorica, nel senso di intendere tali fattispecie come di natura

unilaterale, in quanto dipendono quasi esclusivamente dalla condotta mantenuta dal personale sanitario.

9 Recita l’art. 1218 c.c.: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al

risarcimento del danno , se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

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grandi problemi di inquadramento giuridico, 10 con conseguenze in sede giudiziaria da non sottovalutare. Si potrebbe addirittura arrivare a sostenere che coesistano nel rapporto una responsabilità contrattuale in riferimento alla prestazione medica generale e una responsabilità extracontrattuale, per gli obblighi di protezione secondari. Senonché entrambi gli interessi coinvolti rientrano agevolmente nel concetto di salute, inteso in senso generico ed onnicomprensivo, come sottolineato nel paragrafo precedente.11

Inoltre, annoverando i casi di malpractice medica e in particolare di infezioni nosocomiali nello schema giuridico dell’art. 1218 c.c., si configurerebbe un’inversione dell’onere della prova, che in caso di responsabilità aquiliana, viceversa, ricadrebbe interamente nel paziente12, il quale, come notato dalla giurisprudenza e dalla dottrina più recente, non è sempre in grado di portare prove che dimostrino la colpa dei sanitari. Un ulteriore correttivo a questa asimmetria probatoria è stato inserito dalla

giurisprudenza; seppur si richieda un’“allegazione” d’inadempimento al paziente,

questa richiesta non può non tener delle conoscenze del paziente,13 limitandosi ad una “affermazione” sull’esistenza dell’inadempimento.

Tale regola, generalmente accolta nell’ottica di ristabilire un piano di parità nella ripartizione dell’onere della prova, è suscettibile di variazioni in merito al contenuto della prova liberatoria richiesta. E qui si apre la questione, probabilmente ancora irrisolta in dottrina e giurisprudenza, della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. Nel primo caso, la prova liberatoria sarebbe correlata al fatto che l’autore della prestazione abbia tenuto un comportamento conforme alla diligenza

richiestagli; nel secondo caso il medico dovrebbe dimostrare il caso fortuito quale causa

estranea, e ad egli non imputabile, di inadempimento.

Esimendomi dal risolvere, in questa sede, tale interrogativo, ritengo di poter accogliere la tesi, oggi largamente condivisa e affermata, che considera il vincolo tra la struttura

10

Cfr. Scardillo 1994: «mentre la colpa contrattuale postula la violazione di uno specifico dovere derivante da un rapporto obbligatorio (che non deve trattarsi necessariamente di un contratto ma ben può essere ogni tipo di specifico rapporto inter partes) tra l’autore del danno e colui che lo ha subito; si ha, invece, responsabilità extracontrattuale in caso di violazione del dovere generico del neminem laedere, cioè del dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica che grava su ognuno ed esclude la preesistenza di uno specifico rapporto obbligatorio», in La responsabilità della struttura sanitaria, BAGGIO.

11 La sentenza n. 589, del 22 gennaio 1999 ha postulato la natura contrattuale sia della responsabilità della

struttura ospedaliera che del medico in essa esercitante, in quanto «nei confronti di quest’ultimo si configurerebbe pur sempre una responsabilità contrattuale nascente da un’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, ossia poiché sicuramente sul medico gravano gli obblighi di cura impostigli dall’arte che professa, il vincolo con il paziente esiste, nonostante non dia adito ad un obbligo di prestazione, e la violazione di esso si configura come culpa in non faciendo, la quale dà origine a responsabilità contrattuale. (…) Si ammette cioè che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto nei casi in cui taluni soggetti entrano in contatto, senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali, e pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. In questi casi non può esservi (solo) responsabilità aquiliana, poiché questa non nasce dalla violazione di obblighi ma dalla lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui (…); quando ricorre la violazione di obblighi, la responsabilità è necessariamente contrattuale, poiché il soggetto non ha fatto ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vincolum iuris» Cattaneo, 1958, cit. in La responsabilità della struttura sanitaria, BAGGIO.

12 Cfr. sent. Cass. Civ. n. 972 del 1966, con nota di C

ATTANEO, Alcune questioni in tema di responsabilità professionale.

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sanitaria e il paziente un’obbligazione di mezzi.14 Tenendo a mente il contenuto obbligatorio del contratto di assistenza sanitaria, la struttura risponderà per deficit organizzativo, dovendo pertanto dimostrare in sede di giudizio, di aver predisposto tutte le misure preventive, astrattamente idonee ad evitare il danno, e che il danno sia stato cagionato da un evento straordinario ed imprevedibile. Nella fattispecie di infezioni nosocomiali, in particolare, tale predisposizione dovrà, in ossequio alle disposizioni di legge e alle linee guida diffuse dai piani nazionali di sanità, cui si rimanda, risultare rispettosa degli standard igienici ivi descritti: standard che spaziano dalla semplice pratica di lavarsi le mani e sterilizzare gli strumenti operatori, alla più complessa organizzazione e pulizia degli ambienti del complesso ospedaliero in modo da impedire la proliferazione di agenti patogeni.

In tal senso, l’ente ospedaliero è caricato di un compito non sempre agevole. Come preannunciato nell’introduzione, le infezioni nosocomiali (in Italia, contratte nel 5-8 % dei ricoveri) sono prevenibili ma non del tutto debellabili, pur adottando tecniche e strumenti d’avanguardia. Il CTU interviene a soccorso dell’ospedale, ma per quella piccola percentuale di casi in cui non si riesca ad impedire la riproduzione batteriologica e virale, causa dell’infezione, il danno sarà comunque imputato alla struttura, in quanto in re ipsa privativo del bene salute, presuntivamente garantito dal sistema sanitario. 4. Una responsabilità da mancata precauzione: oggettiva?

Stando così le cose, si richiede inevitabilmente una probatio diabolica alla struttura ospedaliera, che difficilmente può dimostrare l’efficienza del trattamento sanitario riservato al paziente. È come se, all’interno del vincolo contrattuale atipico di spedalità, fosse ricompreso – insieme alla prestazione principale e agli obblighi sussidiari di protezione – anche un rischio, un’alea tipica indissolubilmente connessa all’attività sanitaria, di cagionare infezioni.

Alla base della responsabilità medica e del suo accertamento sono individuabili due pilastri: la colpa e la causalità – giuridica, che investe il diritto e viene riportata alla relazione che lega l’evento alle sue conseguenze. In riferimento al primo di essi, si è visto, nel paragrafo precedente, che la giurisprudenza ha teso sempre più a sgravare il paziente di un onere per lui intollerabile, per lo meno nella maggior parte dei casi. Può essere opportuno aggiungere che, sotto il profilo della condotta colposa dell’ospedale (e non più solo del medico), da sempre si afferma l’inapplicabilità dell’art. 2236 c.c.15, stante “il carattere del tutto normale del procedimento di asepsi della sala operatoria e degli strumenti”.16

14 In senso contrario, una parte minoritaria della dottrina considera la diligenza del medico, nel fornire le

cure al paziente, quale possibile risultato in un intervallo teleologico limitato, intendendo come risultato dovuto non tanto la guarigione, quanto l’intero complesso di cure volte alla stessa. È “la buona cura” di cui parla L. MENGONI, in Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni di “mezzi”, in Riv. Dir. Comm., I, 189, 1954.

15

Che recita: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”

16 Cfr. sent. Trib. Casale Monferrato, del 6 luglio 1966 e App. Torino, n. 35 del 12 gennaio 1968, in Resp.

Civ. e Prev., 1968, p. 622 e ss. Orientamento confermato anche in tempi meno risalenti da Cass. Civ., n. 20136, del 18 ottobre 2005: “la stessa invocazione dell’art. 2236 c.c. per le difficoltà dell’intervento, sarebbe stata priva di pregio, non essendo la predisposizione dell’ambiente di esecuzione dell’intervento direttamente afferente all'esecuzione dello stesso, in relazione alla quale poteva affermarsi la sussistenza di problemi tecnici di speciale difficoltà”.

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Da contrappeso potrebbe allora fungere il secondo pilastro, quello della causalità. Il nesso eziologico, infatti, è da sempre ricondotto ad una natura autonoma rispetto alla valutazione dell’intenzionalità. Nelle ipotesi di infezioni nosocomiali, poi, non sempre risulta agevole determinare con certezza la causa determinante. Si suole parlare di “multifattorietà”, e la sentenza in esame ne è un evidente esempio, quando a cagionare un danno concorrono più fattori, senza che uno di essi prevalga.17 Legati all’insorgenza delle infezioni nosocomiali, sovente, sono microrganismi diffusi e di origine incerta, o ancora cause esogene (riconducibili all’ambiente esterno) e/o endogene (che pure non escludono necessariamente una responsabilità del medico o della struttura).

“L’accertamento del nesso di causalità in termini di certezza scientifica viene dunque sostituito con il ricorso a modelli probabilistici o di credibilità logica, o in altri casi, con l’assorbimento dell’accertamento causale nel giudizio sulla colpevolezza, attraverso l’impiego dei modelli della causalità adeguata e dell’aumento del rischio” (Ronchi, 2007).

Due possibili strade che in ogni caso lasciano poco spazio alla difesa della struttura. Inoltre, i casi in cui ci si è basati sul criterio dell’aumento del rischio sono esigui, mentre si va sempre più verso una prova presuntiva, basata sull’assunto che la causa primaria delle infezioni contratte durante la degenza in ospedale siano comunque dovute alle condizioni degli ambienti e all’intervento del personale – sia esso medico o

paramedico; pertanto il giudizio penderà sull’accertamento della diligenza professionale

della struttura. Non è difficile, allo stato delle cose, descrivere la responsabilità della struttura come una responsabilità ai limiti con quella oggettiva, posto che, in ogni caso, di fronte a prove che lasciano un ragionevole dubbio sulle dinamiche del ricovero, la struttura non potrà far nulla, se non risarcire il danno.

Come nel caso analizzato, il giudice si rifà ad elementi che accertino il nesso eziologico, e in caso di incertezze e difficoltà si basa su criteri presuntivi e probabilistici. L’ago della bilancia continua a pendere dalla parte del paziente. Del resto, nella pronuncia in esame il giudice si appella proprio ad elementi statistici, riscontrando una diversa possibilità di contrarre l’infezione che escluda un qualsivoglia collegamento eziologico con la struttura convenuta e i suoi dipendenti. Ma anche in questo caso si potrebbe notare che la soluzione data non riesca ad individuare un preciso fattore determinante. Si rimane su un piano parallelo contornato da numeri.

La responsabilità deriva dalla mancata adozione di misure idonee ad evitare la diffusione delle infezioni, ma questa si calcola sulla base di criteri statistici (ad esempio, il verificarsi di casi simili nella stessa struttura). L’unica via d’uscita per il danneggiante è la prevenzione.

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