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LE INFEZIONI NOSOCOMIALI: UN RISCHIO OGGETTIVAMENTE PREVENIBILE

2. Un quadro generale sulle problematica.

Le infezioni nosocomiali sono intese, nella letteratura medica, come quelle infezioni che insorgono durante la degenza in ospedale, o successivamente alla dimissione del paziente, e che non erano già state riscontrate all’atto del ricovero.2 Unico elemento

1 L’elaborato è in parte ispirato alle posizioni di illustri studiosi della responsabilità civile, per come

esposte presso l’Università di Trento, nell’ambito di ciclo di lezioni sui principali temi della RC; integralmente sul sito http://webmagazine.unitn.it/evento/giurisprudenza/3839/lezioni-magistrali-sulla- responsabilit-civile.

2 Lo esplicita la Circolare del Ministero della Sanità n. 52 del 1985, laddove sono intese come “infezione

di pazienti ospedalizzati, non presente né in incubazione al momento dell'ingresso in ospedale, comprese le infezioni successive alla dimissione, ma riferibili per tempo di incubazione al ricovero”. Tale definizione recepisce il lavoro compiuto, nel panorama internazionale, dalla World Health Organization (WHO), che, in una guida pratica per la prevenzione, scrive: “An infection acquired in hospital by a

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discriminante è il tempo, criterio assai generico e flessibile. Il concetto che, seppur utile in via preventiva per la struttura, la quale potrebbe attivare misure idonee ad evitare il loro verificarsi, non è, tuttavia, sufficiente a certificare la responsabilità del personale medico e/o dell’ente ospedaliero.

Infatti, se da una parte ci sono casi in cui la specificità dell’infezione e le circostanze in cui essa si è verificata non lasciano grandi dubbi al giudice nel riconoscimento di un nesso causale con il trattamento sanitario ricevuto, dall’altra, molto spesso non è possibile, sulla base degli elementi conosciuti, accertare se l’infezione fosse già presente all’atto di ricovero nella struttura, o se fosse stata contratta in circostanze differenti. Queste ultime ipotesi aprono al caso in cui, come nella sentenza in esame, sono diversi i fattori che potrebbero aver concorso al verificarsi dell’evento e non risultano chiare le dinamiche che li legano. In casi simili, le possibili strade sono due: rigettare la richiesta risarcitoria per mancanza di prove – come nel caso – o considerare oggettivamente integrata una responsabilità da mancata prevenzione. La domanda che ci si pone è se la struttura e il suo personale avrebbero potuto evitare il danno al paziente, adottando alcune misure di prevenzione. La tendenza della giurisprudenza e della dottrina è orientata verso quest’ultima soluzione.3

Per non partire dalla fine, potrebbe essere utile ricostruire il rapporto che si crea tra la struttura sanitaria e il paziente, individuando il momento in cui esso prende forma e i vincoli e gli obblighi con cui si manifesta. L’immediatezza con cui si può immaginare lo scenario che si delinea, stante la “normalità” dello stesso, potrebbe, infatti, indurre nell’errore di tralasciare aspetti determinanti nell’imputazione della responsabilità. Al di fuori di un contesto giuridico, infatti, la responsabilità dei sanitari in casi di infezioni contratte in ospedale appare lapalissiana.

La giurisprudenza e la dottrina sono ormai da tempo concordi4 nel considerare

l’accettazione del paziente in ospedale quale momento di conclusione di un vincolo; lo

si definisce contratto di spedalità, o di “assistenza sanitaria”, perché presuppone che la struttura ospedaliera, ricoverando il paziente, accetti un impegno a garantirgli tutte le cure del caso.5 Cure che non si limitano, come anche sottolineato dal testo in analisi, ad una mera “fornitura di prestazioni alberghiere”, ma presuppongono un’attenta predisposizione di misure di igiene e di asepsi degli ambienti e degli strumenti, oltre che di attrezzature idonee a far fronte ad ogni sorta di complicanza.6

patient who was admitted for a reason other than that infection. An infection occurring in a patient in a hospital or other health care facility in whom the infection was not present or incubating at the time of admission. This includes infections acquired in the hospital but appearing after discharge, and also occupational infections among staff of the facility”, in www.who.int.

3 Come visibile anche nella rassegna che si allega, è sbalorditivo il ricorso da parte della giurisprudenza

ad una soluzione che potrebbe sembrare sbrigativa ma che è ormai largamente condivisa. Si rimanda al testo della decisione in esame. In dottrina cfr. M. BONA, Danno da infezioni ospedaliere: considerazioni pratiche sull’azione per il risarcimento dei danni: “la responsabilità degli ospedali è una responsabilità per rischio oggettivamente evitabile. Dunque una responsabilità ai confini con quella oggettiva”.

4

Si rimanda alla sezione sulla rassegna.

5 Cfr. sent. Trib. Bari, n. 827 del 2009, in cui, “La diligente sterilizzazione dell’ambiente ospedaliero,

della sala operatoria, dei luoghi di degenza e delle attrezzature, costituisce obbligo precipuo della casa di cura che, in virtù del contratto di spedalità, è tenuta ad offrire ambienti salubri ed attrezzature conformi ai parametri della scienza e tecnica medica.”

6 Cfr. Cass. Civ. SSUU, n. 577 del 2008 – “autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da

taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull'inadempimento fissate dall'art. 1218 c.c. (…)che va ben oltre la fornitura di

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Un contratto che, nella sua atipicità risulta ormai essere tipicamente delineato in tutti i suoi elementi essenziali, benché pecchi in tassatività e determinatezza - caratteristici delle categorie giuridiche - quando lascia gli obblighi, colmabili, nel contenuto, solo da norme di buon senso. Nonostante l’intervento del legislatore abbia cercato di uniformare il trattamento sanitario dettando linee guida nella prevenzione delle infezioni,7 si richiede comunque un atteggiamento consapevole e quasi solidaristico da parte degli operatori sanitari. Sarebbe praticamente impossibile, viceversa, garantire l’igiene degli ambienti, degli strumenti e del personale, in contesti che accolgono per loro intrinseca natura elementi estranei e sfuggenti al diligente controllo degli operatori (si pensi alle visite giornaliere). La possibilità, poi, che l’infezione non si manifesti immediatamente ma dopo un certo lasso di tempo (nella fattispecie, la patologia viene diagnosticata dopo sei mesi) comporta un aggravio nell’accertamento del comportamento dei medici e dei paramedici in costanza di ricovero. Le conseguenze in sede giudiziale sono drammatiche e hanno orientato la giurisprudenza verso l’adozione di una prova presuntiva di colpevolezza.

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