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IL CHIRURGO ACCONDISCENDENTE: LA RESPONSABILITÀ CIVILE PER ERRONEO INSERIMENTO DI PROTESI ALL’ANCA

1. La natura della responsabilità medica

La sentenza in esame tratta di un caso di errata operazione chirurgica a discapito del paziente con conseguente richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali al medico e alla struttura sanitaria dove questi operava.

La qualificazione della natura della prestazione medica è stata per molto tempo mutevole.

Una prima impostazione considerava l’obbligazione professionale medica come obbligazione di mezzi. L’oggetto della prestazione consisteva nella sola adozione del comportamento diligente del sanitario e non nel raggiungimento del risultato (la guarigione del malato). Il paziente danneggiato aveva l’onere di provare che l’esisto negativo era stato causato dalla scarsa diligenza del sanitario (art. 1176, comma 2, c.c.), mentre quest’ultimo aveva l’onere di provare che l’insuccesso era dovuto a cause a lui non imputabili.

Una seconda impostazione si fondava sulla distinzione tra obbligazione di facile e di difficile esecuzione. La prima (il cd. Intervento di routine) era trattata come un’obbligazione di risultato, in quanto, se correttamente adempiuta, presentava un rischio minimo di esito infausto. Mentre quando l’intervento, per le sue particolari tecnicità, era qualificato di difficile esecuzione, si considerava un’obbligazione di mezzi e in base all’art. 2236 c.c., il medico rispondeva solo per dolo o colpa grave che dovevano essere dimostrati dal paziente1.

Infine giungiamo all’interpretazione più recente condivisa dal giudice del caso in esame.

Il giudice non si pronuncia sulla natura della responsabilità del medico nei confronti del paziente, il suo orientamento si desume però dall’affermazione sulla ripartizione dell’onere della prova: il paziente-danneggiato deve dimostrare il danno subito e il nesso causale tra lo stesso e la prestazione sanitaria; il medico e la struttura, invece, devono dimostrare di aver correttamente operato e che l’eventuale inesattezza dell’intervento è dovuta a causa a loro non imputabile.

Si giunge quindi a comprendere che il giudice aderisce a una visione della responsabilità del medico nei confronti del paziente di tipo contrattuale.

A tale impostazione è approdata la Corte di Cassazione sul finire degli anni ’90 con una pronuncia dove si è abbandonato l’orientamento che considerava di natura extra- contrattuale la responsabilità degli operatori sanitari. Tale sentenza è anche detta del “contratto sociale”: “ Un recente, ma sempre più consistente, orientamento della dottrina ha ritenuto che nei confronti del medico, dipendente ospedaliero, si configurerebbe pur sempre una responsabilità contrattuale nascente da "un'obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto", in quanto poiché' sicuramente sul medico gravano gli obblighi di cura impostigli dall'arte che professa, il vincolo con il paziente esiste, nonostante non dia adito ad un obbligo di prestazione, e

1 Rombi, Romano, Economia comportamentale e responsabilità medica, Danno e Responsabilità, 2014,

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la violazione di esso si configura come culpa in non facendo, la quale da' origine a responsabilità contrattuale.”2

L’obbligazione che sorge tra il medico e il paziente nasce non da un contratto o da un fatto illecito ma da altro fatto: il contratto sociale. Esso scaturisce nel momento in cui il paziente si affida alle cure del medico, proprio questo affidamento fa sorgere in capo al sanitario una serie di obblighi giuridici (obblighi di protezione)3 indipendentemente dalla sussistenza di un contratto in senso stretto.4

Tornando alla sentenza in esame, una simile impostazione di pensiero è certamente favorevole al danneggiato, in quanto l’onere della prova a lui spettante non è eccessivamente gravoso, dovendo egli solo far valere il contratto e dimostrare che l’inadempimento della prestazione che è stato idoneo a provocare l’evento dannoso. L’agevolazione concessa all’attore-paziente si ha sotto due aspetti: da un lato, dovendo essere provato il contratto sociale, esso può concludersi in qualsiasi forma e pertanto la sua prova può desumersi anche dal comportamento concludente delle parti; dall’altro lato, si guarda la differenza di situazione del danneggiato in un regime di responsabilità extra-contrattuale, dove egli sarebbe tenuto a provare gli elementi soggettivi di dolo o colpa in capo al medico curante, una prova di difficilissima verifica.

È apprezzabile la decisione del giudice di aderire alla corrente di pensiero che vede la natura della responsabilità medica di carattere contrattuale e non extracontrattuale, in quanto il paziente è la parte naturalmente debole del rapporto, caratterizzato da una prestazione sanitaria che il paziente stesso deve subire. Quindi chi si assume il costo di ipotetici danni è bene sia chi è maggiormente in grado di prevenirli e anche gestirli economicamente attraverso un’assicurazione obbligatoria. Tale pensiero si fonda sul fatto che si tratta di un ambito dove vengono lesi il ‘bene vita’ e il ‘bene salute’, beni costituzionalmente rilevanti e perciò suscettibili di una più profonda tutela ad opera dell’ordinamento (art. 32 Cost.). 5

Riporto la parte della sentenza del 1999 che sottolinea come il modello della responsabilità contrattuale si adatti meglio a tutelare un rapporto dove sono coinvolti valori costituzionali : “Non può esservi (solo) responsabilità aquiliana, poiché' questa non nasce dalla violazione di obblighi ma dalla lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui (è infatti ormai acquisito che, nell'ambito dell'art. 2043 c.c., l'ingiustizia non si riferisce al fatto, ma al danno); quando ricorre la violazione di obblighi, la responsabilità è necessariamente contrattuale, poiché' il soggetto non ha fatto (culpa in non faciendo) ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vinculum iuris, secondo lo schema caratteristico della responsabilità contrattuale [… ] Quanto sopra detto si verifica per l'operatore di una professione c.d. protetta (cioè una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato, art. 348 c.p.), in particolare se detta professione abbia ad oggetto beni costituzionalmente garantiti, come avviene per la professione medica (che è il caso della fattispecie in esame), che incide sul bene della salute, tutelato dall'art. 32 cost. Invero a questo tipo di operatore professionale la coscienza sociale, prima ancora che l'ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere e cioè il puro rispetto della sfera

2 Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999 n. 589. 3

Izzo, Il contratto che protegge, https://didatticaonline.unitn.it.

4 Izzo, La natura della responsabilità medica, https://didatticaonline.unitn.it/dol/mod/page/view.php?id=15474

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giuridica di colui che gli si rivolge fidando nella sua professionalità, ma giustappunto quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l’attività in ogni momento (l'abilitazione all’attività, rilasciatagli dall'ordinamento, infatti, prescinde dal punto fattuale se detta attività sarà conseguenza di un contratto o meno).”6

Ulteriore principio alla base del regime probatorio più favorevole al danneggiato è quello della “vicinanza della prova”: l’onere di provare cade sulla parte che più facilmente può dimostrare gli elementi di fatto rilevanti al fine della decisione. È infatti più facile dare la prova in positivo di aver adempiuto, piuttosto che dare la prova in negativo che la controparte non ha adempiuto. In questo modo ricade l’intero onere probatorio “sul soggetto nella cui sfera si è prodotto l’inadempimento che è quindi in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, sia questa diretta all'adempimento, alla risoluzione o al risarcimento del danno, fornendo la prova del fatto estintivo del diritto azionato, costituito dall'adempimento”.7

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