• Non ci sono risultati.

IL COMMENTO 1 Introduzione

3. La prova dell'inadempimento dell'avvocato.

In punto di distribuzione dell'onere della prova dell'erroneo o difettoso espletamento dell'attività dell'avvocato, la giurisprudenza ha, nel corso degli anni, abbandonato le antiche posizioni protettive nei confronti dei professionisti, a favore di un progressivo riconoscimento delle ragioni del cliente danneggiato dagli errori del proprio legale. Sino agli anni '50 del secolo scorso, la giurisprudenza, facendo leva sul noto brocardo habent sua sidera lites, era perentoria nel sostenere che “ogni sentenza è condizionata da una quantità di fattori inimmaginabili, da indurre a negare la sussistenza di un danno risarcibile, anche in presenza di una accertata negligenza professionale”2: con il ché si legittimava la sostanziale impunità dell'avvocato.

L’idea della responsabilizzazione degli avvocati si è affermata tra i Giudici solo a partire da un paio di decenni. In antitesi all’atteggiamento giudiziale di totale chiusura nei confronti delle ragioni del cliente danneggiato, si è così gradualmente diffusa la convinzione che l’avvocato, nonostante l’esistenza di fattori estranei alla sua sfera di influenza, possa comunque essere ritenuto responsabile del danno sofferto dal cliente, a condizione tuttavia che costui non si limiti a dedurre l'inadempimento, ma offra la prova che la condotta del proprio legale abbia in concreto provocato la soccombenza in giudizio o il danno di natura extragiudiziale3

1

Cosi, ex plurimis, Cass., Sez. II, 11/08/2005 n. 16846, in Giust. Civ. Mass. 2005, 9, e in Foro it., Rep. 2006, voce Professioni intellettuali, n. 188: “ … l’inadempimento del suddetto professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla

violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata”; Cassazione civile, sez. III,

05/08/2013, n. 18612: “Le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall'art. 1176, secondo comma, cod. civ. , che è

quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione”; Cassazione civile, sez. II,

22/07/2014, n. 16690, Diritto & Giustizia 2014: “La responsabilità professionale dell'avvocato, configura un'obbligazione di mezzi e non di risultato e quindi presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell'attività esercitata”.

2 Cfr. Trib. Roma 3 marzo 1954 in Giustizia Civile 1954, 526, citata da Remo Danovi, Corso di

ordinamento forense e deontologia, ottava edizione, Giuffrè editore, pag.389, secondo la quale in ogni processo civile è insito “un elemento di imprevedibilità … che scaturisce non tanto dall’opinabilità del fatto, quanto dall’incontro processuale tra la soggettività delle parti, dei difensori e del giudice (e) che può concretamente articolarsi in una casistica pressoché infinita” e che conclude escludendo il risarcimento “nell’ipotesi di qualsiasi omissione od errore difensivo del patrocinante legale in sede contenziosa”.

3 Cfr. Cassazione civile , sez. III, sentenza 18.04.2007 n. 9238, in Foro it., Rep. 2007, voce Avvocato, n.

92 e in Giust. Civ. 2008, 9, 2017 (con nota SABATINI) secondo cui: “incombe al cliente il quale assume di avere subito un danno, l'onere di provare la difettosa od inadeguata prestazione professionale,

This paper is published in the

Trento Law and Technology Research Group - Student Paper Series Electronic copy available at: http://eprints.biblio.unitn.it/archive/0000_____/

52

Giova segnalare che questo orientamento, che è attualmente ancora prevalente, ed al quale si è uniformato il Tribunale di Pisa con la sentenza in commento, non è stato scalfito dalla sentenza n.13533 del 20014, con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nell'intento di ricondurre ad unità il regime probatorio con riferimento alle azioni previste dall'art 1453.c.c., hanno affermato che “in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento”.

Si è infatti sostenuto che il detto riparto dell'onere della prova riguarda le sole obbligazioni di risultato e non anche le obbligazioni di mezzi e che, in particolare, il ripetuto riparto non può concernere l'attività professionale dell'avvocato, giacché il mancato raggiungimento del risultato favorevole per il cliente non configura di per sé un inadempimento, proprio per la coesistenza dei fattori esogeni di cui s'è detto, per cui possono verificarsi ipotesi nelle quali, nonostante l'adempimento, il cliente/creditore non realizzi comunque l’utilità sperata (nonostante la diligente attività dell'avvocato, il cliente perde la causa perché, ad esempio, il Giudice aderisce ad un orientamento giurisprudenziale contrario alle tesi sostenute dalla parte, o perché le risultanze istruttorie depongono in senso sfavorevole all’assistito).

Molto di recente, tuttavia, soprattutto sulla spinta della sentenza n.577/2008 delle Sezioni Unite della Cassazione5, con la quale i Giudici della Corte hanno sostanzialmente sancito il superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato in tema di inadempimento da responsabilità medica, si è registrata qualche isolata pronuncia che ha operato un cambio di rotta in punto di onere della prova. Sotto tale profilo, appare particolarmente interessante la sentenza n. 8312 del 20116 con la quale la Corte di Cassazione, in un'ipotesi in cui l'avvocato aveva omesso di provare le circostanze dedotte in citazione, provocando così il rigetto della domanda, ed aveva trascurato di impugnare la sentenza, ha dichiarato fondato il ricorso ed ha cassato la sentenza di appello sul rilievo che “trattandosi di responsabilità contrattuale per inadempimento degli obblighi inerenti al mandato professionale l'onere di fornire la prova liberatoria da responsabilità era a carico dell'inadempiente”.

Il processo giurisprudenziale di responsabilizzazione dell’avvocato se da un lato, nell’evidente intento di apprestare una tutela giuridica al cliente danneggiato che ne era prima completamente sprovvisto, può costituire uno stimolo per gli avvocati a conformarsi alle disposizioni legislative e deontologiche che disciplinano la professione

l'esistenza del danno ed il rapporto di causalità tra la difettosa od inadeguata prestazione professionale ed il danno. Per quanto riguarda la difettosità o inadeguatezza della prestazione professionale, il cliente ha l'onere di fornire la prova di idonei dati obiettivi in base ai quali il giudice valuterà se, in relazione alla natura del caso concreto, l'attività svolta dal professionista possa essere giudicata sufficiente”.

4 In Giust. civ. Mass. 2001, 1826 ; Dir. e Formazione 2001, 1013; Corriere giuridico 2001, 1565 (con nota

di MARICONDA); Danno e resp. 2002, 318; Studium Juris 2002, 389; Contratti 2002, 113 (con nota di CARNEVALI); Nuova giur. civ. commentata 2002, I, 349 (con nota di MEOLA); Foro it. 2002, I, 770 (con nota di LAGHEZZA ); Giust. civ. 2002, I,1934.

5 In Giust. civ. Mass. 2008, 1, 32; Diritto e Giustizia online 2008; Foro amm. CDS 2008, 1, 91 (s.m.);

Giust. Civ. 2009, 11, 2532; Il civilista 2010, 2, 86.

This paper is published in the

Trento Law and Technology Research Group - Student Paper Series Electronic copy available at: http://eprints.biblio.unitn.it/archive/0000_____/

53

e, in primo luogo, agli obblighi di competenza7 aggiornamento e di formazione8, i quali, se effettivamente coltivati, eviterebbero la maggior parte degli errori denunciati dinanzi ai Giudici (ivi compreso l’errore procedurale in cui è incorso l’avvocato della sentenza in commento), dall’altro, a parere di chi scrive, non dovrebbe e non potrebbe spingersi fino alla sostanziale soppressione della dicotomia tra obbligazioni di mezzo ed obbligazioni di risultato e alla loro equiparazione in ordine alla prova

dell’inadempimento; non dovrebbe cioè spingersi fino a ritenere che, anche in subiecta

materia, possano essere applicati i principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza del 2008, e ad affermare che il cliente, il quale agisca per il risarcimento del danno, abbia il solo onere di allegazione dell’inadempimento, restando a carico dell’avvocato la prova dell’adempimento o della inimputabilità dell’inadempimento.

E ciò in quanto la professione forense, alla quale è assegnato il compito di tutela del rispetto dei diritti della persona e dei suoi interessi legittimi anche nei confronti dello Stato9, ha caratteristiche del tutto peculiari che la distinguono da qualsiasi altra, tant’è che è l’unica professione liberale ad avere avuto riconoscimento nella nostra carta costituzionale10.

Tale peculiarità dipende anche dal modo in cui si configura l’obbligazione dell’avvocato, la quale –proprio per la coesistenza di tutti quei fattori estranei alla sfera di imperio del legale cui si è più volte fatto cenno- non può mai consistere nel garantire al creditore/cliente un risultato utile, ma si identifica nell’obbligo di svolgere diligentemente l’attività a lui affidata; cosicché l’inadempimento non si identifica mai con il mancato raggiungimento del risultato sperato (la perdita della lite), ma con il vizio di diligenza nell’esecuzione della prestazione, il cui onere probatorio non può che ricadere sul cliente.

Documenti correlati