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GIUDIZIARIA DEI MEDICI di Piera Mignem

4. Determinazione del risarcimento del danno

Il comma 1 dell'art 3 del d.l. 158/2012, prevede, inoltre, che il giudice civile«anche nella determinazione del risarcimento del danno» dovrà tenere debitamente conto della condotta conforme alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Quest'ultima parte della previsione non va affatto sottovalutata, perché non solo sembra confermare che ai fini del risarcimento del danno ingiusto non rileva la gravità della condotta colposa, cioè non rileva il grado della colpa e comunque non rileva la colpa penale, ma dimostra altresì il superamento normativo del principio dell'integrale riparazione del danno: è una conseguenza logica che sembra doversi dedurre dalla congiunzione "anche", adottata nel testo, la quale implica che non solo la condotta conforme alle linee guida e alle buone prassi incide sul titolo di responsabilità e quindi (anzi soprattutto) sulle sue implicazioni14, ma anche sul quantum eventualmente dovuto.

In sostanza, la legge si occupa non del caso in cui le linee guida e le prassi accreditate siano state disattese, ma di quello in cui l'evento non voluto si verifichi malgrado la conformità della condotta alle linee guida e alle buone prassi: nessuno spazio potrebbe assumere altrimenti il richiamo al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., giacché la responsabilità aquiliana richiede non solo l'antigiuridicità del comportamento (non iure), ma anche la lesione di un interesse giuridicamente protetto che si traduca in una conseguenza pregiudizievole risarcibile. Tale conclusione potrebbe, invero, spiegare la formulazione dell'art. 3 ultima parte del comma 1 nella sua interezza: il giudice civile deve tener conto delle linee guida ai fini della quantificazione del danno, ma anche al fine di verificare la ricorrenza di tutti gli altri elementi che

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Cfr. oltre alla pronunzia delle Sez. Un. nr. 577 del 2008, anche Cass., 29.09.2009, nr. 20806, rv. 610445; Cass., 21.07.2011, nr. 15993, rv. 619504 e, da ultimo, Cass., 26.02.2013, nr. 4792, rv. 625765.

14 Ci si riferisce alla più ampia facoltà di prova concessa all'esercente la professione sanitaria,

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costituiscono la regola di fattispecie. Per converso, infatti, se il comportamento del medico venisse ritenuto (automaticamente) iure solo perché conforme alle linee guida e alle pratiche accreditate, sarebbe preclusa la possibilità di qualificare il danno conseguente come ingiusto e quindi sarebbe negata la ricorrenza di una responsabilità risarcitoria.

Probabilmente il legislatore ha voluto controbilanciare l'arretramento della sanzione penale con l'esplicita previsione della rilevabilità civilistica, cioè risarcitoria, della condotta. Egli intendeva realizzare, così, due obiettivi: con la prima parte della disposizione scongiurare i rischi della medicina difensiva ed introdurre una misura a favore degli esercenti la professione sanitaria; con la seconda intendeva, invece, non abbassare la tutela delle vittime offrendo loro il percorso risarcitorio. Inizialmente aveva intrapreso una via diversa da quella poi effettivamente scelta: la prima formulazione della norma15, infatti, pur caratterizzandosi per la comune finalità di contenere i rischi della medicina difensiva, partiva dall'inequivoca qualificazione contrattuale della responsabilità medica (si pensava altrimenti, non avesse altro senso l'iniziale richiamo agli artt. 2236 e 1176 cod. civ.) e si disinteressava in toto della rilevanza penale della condotta sanitaria. Al legislatore premeva stabilire che, salvo i casi di particolare difficoltà ove la responsabilità ricorreva solo in caso di dolo e colpa grave, il giudice, per stabilire se l'esercente la professione sanitaria avesse tenuto un comportamento diligente, ai sensi dell'art. 1176 c.c., era tenuto a verificare se egli avesse osservato, nel caso concreto, le linee guida e le pratiche mediche accreditate.

Il richiamo esplicito dell'art. 2043 cod. civ. scongiura la possibilità, pure da taluno presa in considerazione, che non si tratti di risarcimento del danno, bensì di indennizzo. Senza addentrarsi nella distinzione tra obbligazione risarcitoria e obbligazione di indennità, basta ricordare che la differenza risiede nella ricorrenza o meno di una scriminante che converte il fatto altrimenti illecito in un atto lecito dannoso, la vittima del quale ha diritto ad una prestazione pecuniaria non integralmente commisurata al danno e rimessa circa la determinazione del quantum alla valutazione equitativa del giudice. Per l'esercente la professione sanitaria aver seguito le linee guida e le pratiche accreditate dalla comunità scientifica non significa aver tenuto un comportamento iure; l'antigiuridicità dal punto di vista penalistico (o meglio la colpa lieve per osservanza), non coincide con quella rilevante a fini risarcitori e quindi l'esclusione della rimproverabilità penale non scrimina il fatto civilmente rilevante. Se è preclusa la possibilità di considerare la somma di denaro che andrà a compensare la vittima un indennizzo piuttosto che un risarcimento, resta in piedi nondimeno il sospetto, che attraversa, ormai, l'intero ambito dell'illecito, che la responsabilità sia stata sì utilizzata, ma sfrondata di ogni funzione sanzionatoria, onde avvicinarla alla logica imperante dei rimedi. Pur con tale riserva, va detto che nemmeno tale ricostruzione scioglie ogni dubbio: se il richiamo dell'art. 2043 cod. civ. è pertinente solo in caso della codificata irresponsabilità penale, i casi in cui ricorra una colpa grave o una colpa ordinaria a rigore dovrebbero essere sottratti all'art.3, comma 1, della legge Balduzzi. Significa che

15 L'originario primo comma dell’art. 3 della d.l.158 del 2012 recitava così: “Fermo restando il disposto

dell'art. 2236 del codice civile, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le professioni sanitari il giudice, ai sensi dell'art. 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale”.

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possono essere regolati diversamente. E non solo dal diritto penale16, ma anche dal diritto civile, ove diversamente si rimanda al diritto vivente e quindi al contatto sociale qualificato e al relativo regime contrattuale. In breve, i danni derivanti da colpa lieve cagionati dall'esercente la professione sanitaria che si sia attenuto alle linee guida e alle pratiche avvalorate dalla comunità scientifica sarebbero risarcibili solo alle condizioni di cui all'art. 2043 cod. civ., mentre, i danni cagionati altrimenti, ossia se non ricorra colpa lieve per adesione o se faccia difetto l'elemento dell'adesione alle linee guida e alle buone pratiche, soggiacerebbero alla responsabilità contrattuale e agli artt. 2236 e 1176 cod. civ.17.

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