INTERESSE GENERALE
7. LE ESIGENZE DI RIDUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI LOCALI: LE RAZIONALIZZAZIONIN E LE DISMISSIONI DELLE PARTECIPATE LOCALI.
7.6. Il comma 569-bis ed il passaggio assembleare: norma transeunte o espressione di un principio immanente nel sistema?
Successivamente, è intervenuta una norma che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto essere di interpretazione autentica ma che ha ingenerato ulteriore incertezza. Ci si riferisce al d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, che ha introdotto il comma 569-bis, all’art. 1, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (214).
Da un lato la norma afferma che le disposizioni di cui al comma 569, relativamente alla cessazione della partecipazione societaria non alienata entro il termine ivi indicato, si interpretano nel senso che esse non si applicano agli enti che, ai sensi dell'articolo 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, abbiano mantenuto la propria partecipazione, mediante approvazione di apposito piano operativo di razionalizzazione. L’automatismo del comma 569 sembra pertanto disattivato e lo spazio di valutazione è stato restituito all’amministrazione che lo può esercitare attraverso la redazione del piano operativo di razionalizzazione mediante il quale l’ente dà conto delle partecipazioni che reputa necessarie ovvero strategiche e di quelle che, invece, intende dismettere.
Il combinato disposto tra l’interpretazione estensiva del comma 569 fornita dalla giurisprudenza amministrativa e lo spazio di discrezionalità sulla valutazione di conservazione o meno da svolgersi mediante il POR fornito dalla prima parte del comma 569-bis, lascia ampio spazio di scelta all’amministrazione nell’applicazione di una disciplina che, data l’estrema specialità, dovrebbe essere interpretata restrittivamente. Ciò che accade in concreto è che in una materia delicata e sensibile come quella delle dismissioni, che interseca la disciplina civilistica delle società, si determina nei fatti “un
presenta strettamente necessaria al conseguimento delle finalità istituzionali dell'ente. Quindi, occorre comunicare alla società in questione l'operatività del meccanismo (cessazione della partecipazione) previsto dal comma 569 dell'art. 1 della L. 147/2013, ossia la cessazione del rapporto di partecipazione e il conseguente obbligo, per la società, di procedere alla liquidazione entro 12 mesi» (Consiglio di Stato, sez. V, 07 luglio 2015, n. 3344).
(214) Il comma 569-bis, afferma, che «le disposizioni di cui al comma 569, relativamente alla cessazione della
partecipazione societaria non alienata entro il termine ivi indicato, si interpretano nel senso che esse non si applicano agli enti che, ai sensi dell'articolo 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, abbiano mantenuto la propria partecipazione, mediante approvazione di apposito piano operativo di razionalizzazione, in societa' ed altri organismi aventi per oggetto attivita' di produzione di beni e servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalita' istituzionali, anche solo limitatamente ad alcune attivita' o rami d'impresa, e che la competenza relativa all'approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione societaria appartiene, in ogni caso, all'assemblea dei soci. Qualunque delibera degli organi amministrativi e di controllo interni alle societa' oggetto di partecipazione che si ponga in contrasto con le determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di razionalizzazione e' nulla ed inefficace».
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effetto simile” a quello di una nuova forma di recesso non tipizzata dalla legge che si affianca alla disciplina civilistica ma che vale solo per le partecipate degli enti locali.
In realtà, formalmente occorre affermare che in astratto la dismissione dell’ente locale non realizza una ulteriore forma di recesso da affiancare alle ipotesi normativamente disciplinate dal codice civile, valevole solo per gli enti locali, come sostenuto da una parte della giurisprudenza, atteso che si tratta in realtà di una “cessazione ex lege”, poiché il comma 569 non parla mai di recesso (la disciplina del recesso viene richiamata unicamente ai fini dell’applicazione dei criteri stabiliti dall’art. 2437-ter, co. 2°, per la determinazione del valore di liquidazione della quota), ma di “cessazione ad ogni effetto”. In ogni caso, al di là che si tratti di recesso ex lege o di cessazione della partecipazione cui consegue la liquidazione della quota secondo i criteri stabiliti per il recesso, l’effetto raggiunto dalle norme richiamate è comunque quello di concedere una deroga peculiare utilizzabile solo per le partecipate locali. In tal senso, le norme cit., pongono rilevanti problemi sia sul piano del procedimento che su quello degli effetti.
La dismissione ex 569, infatti, rappresenta una corsia preferenziale per ottenere l’uscita da una società partecipata, con la possibilità di “fare cassa” attraverso l’effetto conseguente alla cessazione, ossia la liquidazione. Se la ratio del legislatore era quella di incentivare la dismissione delle partecipazioni “vietate” ed “improduttive”, la norma nella prassi ha sortito spesso l’effetto contrario. Infatti, le amministrazioni locali, incentivate dalla possibilità di ottenere liquidità in modo rapido e senza dover ricorrere per forza al mercato, hanno utilizzato la procedura speciale per dismettere la partecipazione da società capienti e quindi in bonis (poiché in grado di liquidare rapidamente la quota), mentre, a fronte dell’ampia discrezionalità riconosciuta dal legislatore suffragato dalla giurisprudenza formatasi in materia, hanno finito per mantenere le partecipazioni improduttive in società in perdita o incapienti poiché da un lato non vi sarebbe stato appeal per il mercato e dall’altro sarebbero state comunque disincentivate poiché l’adesione alla procedura, in tal caso, non avrebbe permesso ritorni immediati in termini economici.
Il comma 569-bis, nell’ultima parte, sembra restituire all’assemblea della società l’ultima parola sulla competenza relativa all'approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione societaria atteso che la norma afferma che la competenza a deliberare la dismissione appartiene, in ogni caso, all'assemblea dei soci.
Tuttavia, la norma è ermetica, poiché afferma anche che qualunque delibera degli organi amministrativi e di controllo (ma non dunque dell’assemblea) interni alle societa' oggetto di
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partecipazione che si ponga in contrasto con le determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di razionalizzazione e' nulla ed inefficace. Ci si può chiedere a questo punto se il comma 569-bis nella parte in cui affida all’assemblea della società l’ultima parola sul provvedimento di cessazione della partecipazione non esprima, in fondo, un principio generale del diritto civile. Tale indagine non è fine a se stessa, poiché come si vedrà, il Testo Unico partecipate abroga, tra le altre norme, proprio il comma 569-bis, senza peraltro prevedere una disposizione di identico contenuto. Nel caso in cui si concludesse in tal senso, il principio sotteso sarebbe ultrattivo con possibile applicazione anche ai casi successivi all’abrogazione.
Il quesito è suggestivo, ma la risposta deve essere negativa poiché posto che nel diritto comune non si conosce la figura della “cessazione ex lege” e che l’unica analogia possibile può essere svolta con le norme in tema di recesso del socio, non può affermarsi l’esistenza di un principio generale in base al quale la cessazione della qualità di socio deve essere sottoposta ad approvazione assembleare. Se il socio ha diritto di recedere ed esercita questo suo diritto la società non può che prenderne atto e provvedere alla liquidazione della partecipazione. Nel diritto civile è noto come sia possibile rendere inefficace il recesso, ma unicamente tramite una delibera assembleare che revochi la propria precedente delibera che ha determinato l’insorgenza del recesso (si tratta delle delibere modificative dello statuto elencate nell’art. 2437, co 1° e 2°, c.c. da cui deriva ex lege il diritto del socio non consenziente di recedere dalla società) o disponga la liquidazione della società. In generale non occorre, quindi un consenso dell’assemblea (o dell’organo amministrativo) perché il recesso possa produrre i suoi effetti, ma l’assemblea può togliere efficacia al recesso nelle sole due ipotesi sopra ricordate che però pacificamente non potrebbero applicarsi al caso delle dismissioni ex lege poiché la ratio della volontà di dismissione dell’ente locale non può essere ricercata verosimilmente in dissensi circa la conduzione societaria o come reazione all’adozione di delibere modificative delle regole statutarie. In questo senso, la disposizione contenuta nell’abrogato art. 1, co. 569-bis della l. 147/2013, non può intendersi espressione di un principio generale, ma piuttosto un’eccezione a quanto disposto dal codice civile.
7.7. La dismissione delle c.d. micro-partecipazioni detenute dagli enti locali -profili