INTERESSE GENERALE
7. LE ESIGENZE DI RIDUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI LOCALI: LE RAZIONALIZZAZIONIN E LE DISMISSIONI DELLE PARTECIPATE LOCALI.
7.9. Il Testo Unico partecipate sul tema delle dismissioni: problemi irrisolti.
di diritto soggettivo (e non di interesse legittimo), ancorché subordinati al corretto andamento della procedura selettiva».
(219) La recente decisione del Consiglio di Stato, infatti, ha ad oggetto una procedura generale, infatti, la sentenza richiama espressamente le norme in ultimo cit., nella parte in cui afferma che «a tale conclusione conduce la disciplina
contenuta nell’art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito in legge 30 luglio 1994, n. 474, ai sensi dei quale: “1. Le vigenti norme di legge e di regolamento sulla contabilità generale dello Stato non si applicano alle alienazioni delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni e ai conferimenti delle stesse società partecipate, nonché agli atti ed alle operazioni complementari e strumentali alle medesime alienazioni inclusa la concessione di indennità e manleva secondo la prassi dei mercati. 2. L'alienazione delle partecipazioni di cui al comma 1 è effettuata con modalità trasparenti e non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell'azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali. Dette modalità di alienazione sono preventivamente individuate, per ciascuna società, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive”. La disposizione appena richiamata detta una disciplina che – sebbene in alcuni suoi profili applicativi non trovi diretta applicazione alle società a partecipazione pubblica locale (in particolare, nella parte in cui prevede che le modalità di alienazione, per ciascuna società, vengano determinate con d.P.C.M.) – esprime, tuttavia, la regola (valevole per tutte le società a partecipazione pubblica, anche di natura non statale), secondo cui la dismissione di quote azionarie pubbliche non è soggetta alle norme sull’evidenza pubblica, e nemmeno a quelle sulla contabilità generale dello Stato, risolvendosi in un’operazione che l’ente pubblico pone in essere con modalità privatistiche, dovendosi soltanto attenere ai generali principi di trasparenza e non discriminazione».
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La disciplina del t.u.s.p. riguarda i profili della «costituzione» di società nonché dello «acquisto», «mantenimento» e «gestione» delle partecipazioni (art. 1, co. 1). Pertanto, viene superato l’equivoco che aveva contraddistinto il fenomeno delle partecipazioni pubbliche e cioè la tendenza a mantenerle anche nel caso di forti perdite gestionali o di superamento della reale rispondenza all’interesse pubblico, in ragione dell’intervenuto mutamento delle situazioni di fatto. Le disposizioni del t.u.s.p. non si applicano alle società quotate in mercati regolamentati art. 1, co. 5) e neppure – per un periodo transitorio – a quelle per le quali sia stata deliberata la quotazione (art. 26, co. 4). Si tratta del consolidamento di una linea già seguita dal legislatore in numerose occasioni, a partire dal 2006. Tuttavia, per il futuro non sarà più valida l’equiparazione tra società propriamente quotate e società che emettono strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati (art. 2, lett. p). L’esonero per una società quotate è evidentemente giustificato dalla circostanza che esse operano pienamente sul mercato e sono sottoposte anche per quanto attiene ai poteri degli azionisti pubblici alla speciale disciplina del d.lgs. 24.2.1998, n. 58 recante il t.u. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria ed al relativo ordinamento sezionale. Anteriormente al t.u.s.p. ed alla recente legislazione che esso coordina, si era consolidata l’opinione che gli enti pubblici fossero legittimati a costituire società di capitali e/o ad assumere partecipazioni sulla base della generale capacità di diritto privato loro riconosciuta dall’ordinamento, nel rispetto dei seguenti limiti: a) corrispondenza allo scopo istituzionale perseguito dall’ente e conseguente permanenza dell’operato delle società nell’ambito funzionale di quello; b) esclusione di ogni elusione di divieti normativi sulle attribuzioni dell’ente ovvero di norme precettive poste a garanzia di un corretto uso delle risorse pubbliche; c) impossibilità per l’ente di spogliarsi, in tutto o in parte, di compiti istituzionali implicanti l’esercizio di pubbliche funzioni. Dunque, si assisteva ad una ammissibilità alquanto ampia delle partecipazioni societarie. Oggi, il t.u.s.p. restringe non poco i casi in cui è ammessa l’acquisizione e il mantenimento di partecipazioni pubbliche. Si dovrà anzitutto trattare – anche per le partecipazioni di minoranza – di attività di produzione di beni e servizi «strettamente necessarie» per il perseguimento delle «finalità istituzionali» delle Amministrazioni (art. 4, co. 1), da intendere come specularità con le «rispettive competenze» (art. 2, lett. h). Inoltre, fermo restando questo limite generale, si dovrà trattare di partecipazioni (dirette o indirette) «esclusivamente» per lo svolgimento di una serie di attività puntualmente elencate nell’art. 4, co. 2: servizi di interesse generale (lett. a); società pubbliche di progetto di cui all’art. 193 del d.lgs. 18.4.2016, n. 50 (lett. b); società di partenariato pubblico-privato di cui all’art. 180 del d.lgs. cit. (lett. c); società in house strumentali
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(lett. d); servizi di committenza (lett. e); società di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico (co. 3).
Il ristretto perimetro in cui le partecipazioni pubbliche sono ammissibili dopo il t.u.s.p., spiega le numerose eccezioni stabilite. È stata fatta salva la possibilità di partecipare a società: in attuazione di alcuni regolamenti europei (art. 4, co. 6) e per la gestione di fondi europei per conto dello Stato e delle regioni (art. 26, co. 2); per la gestione dei quartieri fieristici e l’organizzazione di manifestazioni fieristiche (art. 4, co. 7); per la realizzazione e gestione di impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva in aree montane (art. e co. citt.); per spin off e start up universitari e degli enti di ricerca (art. cit., co. 8); per forme di sperimentazione gestionale in campo sanitario in applicazione dell’art. 9 bis del d.lgs. 30.12.1992, n. 502 (art. 26, co. 6); per l’attuazione di patti territoriali e contratti d’area per lo sviluppo locale, in attuazione della delibera Cipe 21.3.1997 fino al completamento dei relativi progetti (art. cit., co. 7) ed inoltre per tutte le società elencate nell’all. A del t.u., tra le quali compaiono molte società statali e le c.d. società finanziarie regionali originariamente costituite in applicazione dell’art. 10 della l. 16.5.1970, n. 281 (art. cit., co. 2). Inoltre, è prevista un’ampia possibilità di sottrarre determinate società pubbliche dall’applicazione del t.u.s.p., seppure a condizioni e procedure particolarmente garantistiche: «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze o dell'organo di vertice dell'amministrazione partecipante, motivato con riferimento alla misura e qualità della partecipazione pubblica, agli interessi pubblici a essa connessi e al tipo di attività svolta, riconducibile alle finalità di cui al comma 1, anche al fine di agevolarne la quotazione ai sensi dell'articolo 18, può essere deliberata l'esclusione totale o parziale dell'applicazione delle disposizioni del presente articolo a singole società a partecipazione pubblica. Il decreto è trasmesso alle Camere ai fini della comunicazione alle commissioni parlamentari competenti» (art. 4, co. 9). Il t.u. prevede le misure della «revisione straordinaria delle partecipazioni» detenute, direttamente o indirettamente, alla data di entrata in vigore del t.u. (art. 24) in continuità e sviluppo delle previsioni dell’art. 1, co. 611 della l. 23.12.2014, n. 190, ma anche la doverosità di una «razionalizzazione periodica delle partecipazioni», attraverso una verifica annuale (art. 20). Revisione e razionalizzazione saranno poste in essere con la prefigurazione ed i conseguenti atti di fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione, delle partecipazioni, nelle ipotesi in cui si tratti di: - partecipazioni pubbliche riguardanti attività o settori per i quali il t.u. non le ammette; - società partecipate prive di una vera azienda (nel significato dell’art. 2555 c.c.), perché prive di
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dipendenti o con un numero di amministratori superiore; - partecipazioni duplicative; - partecipazioni in società con fatturato esiguo (non superiore a un milione di euro); - partecipazioni in società con risultati negativi per quattro dei cinque esercizi precedenti (salvo che svolgano servizi di interesse generale). A queste ipotesi, che delineano casi stringenti, il t.u. ne aggiunge due ulteriori rimesse a valutazioni più discrezionali: - necessità di contenimento dei costi di funzionamento; - necessità di aggregazione di società (cfr. art. 20, co. 2). Il t.u.s.p. abroga il comma 569-bis della l. n. 147/2013 e pone la disciplina delle dismissioni delle partecipate locali, agli artt. 4, 10, 20 e 24.
L’art. 4, comma 1, esprime il generale principio dell’impossibilità di costituire o mantenere partecipazioni in società che svolgono attivita' di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalita' istituzionali ed individua le deroghe ammesse al comma 2. L’art. 10, comma 2, invece, detta la disciplina del procedimento di dismissione e afferma che «l'alienazione delle partecipazioni e' effettuata nel rispetto dei principi di pubblicita', trasparenza e non discriminazione. In casi eccezionali, a seguito di deliberazione motivata dell'organo competente ai sensi del comma 1, che da' analiticamente atto della convenienza economica dell'operazione, con particolare riferimento alla congruita' del prezzo di vendita, l'alienazione puo' essere effettuata mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente». La seconda parte della norma sembra offrire un’apertura al tema delle c.d. micropartecipazioni affrontato in precedenza, atteso che non è sempre richiesta l’evidenza pubblica ma è sufficiente espletare un’indagine di mercato (rispettare i principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione) e nel caso di interesse si potrà procedere anche con negoziazione diretta. L’art. 20, disciplina l’attività di razionalizzazione periodica che devono svolgere anche gli enti locali. In tal caso, le amministrazioni pubbliche effettuano annualmente, con proprio provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle societa' in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. L’art. 24, invece, pone la disciplina della revisione straordinaria delle partecipazioni, con procedura che ricorda molto quella ex comma 569. Infatti, il comma 6 della norma cit., afferma che «in caso di mancata adozione dell'atto ricognitivo ovvero di mancata alienazione entro i termini previsti dal comma 4, il socio pubblico non puo' esercitare i diritti sociali nei confronti della societa' e, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la medesima e' liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, e seguendo il procedimento di cui all'articolo 2437-quater del codice civile».
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Le norme cit., sembrano confermare la possibilità di effettuare cessazioni ex lege in deroga alle regole civilistiche e del diritto societario, pertanto, persistono le criticità evidenziate nei precedenti paragrafi. Il legislatore con la terribile crisi iniziata nel 2008, anche sulla scorta delle pressioni provenienti dalle istituzioni europee, ha iniziato un’opera di produzione normativa volta alla incentivazione alla normalizzazione delle partecipazioni societarie detenute dagli enti locali. Ciò poiché, come dimostrato anche dai dati pubblicati nelle annuali relazioni di AGCM al Parlamento, della Corte dei Conti e del Commissario Straordinario alla spesa pubblica, le partecipate locali sono troppe e spesso svolgono attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle loro finalità istituzionali. Lo ha fatto però attraverso tecniche legislative (discutibili) volte ad introdurre divieti (di costituzione di società) o obblighi (di dismissione delle partecipazioni o di privatizzazione) per limitare tale possibilità.
Il legislatore nel periodo temporale 2008-2012 si accorge che la proliferazione delle partecipate non diminuisce e con la stabilità 2014 decide di compiere un passo ulteriore, introducendo automatismi caducanti e meccanismi che incidono sulla disciplina ordinaria del codice civile, creando la figura delle dismissioni o “cessazioni” ex lege, il cui effetto è equivalente a quello di un recesso extra ordinem che si affianca alle altre forme di recesso tassativamente elencate dal Codice civile, ma che può essere utilizzato solo ed esclusivamente dagli enti locali. La cessazione ex lege garantisce la possibilità all’ente locale di utilizzare una corsia preferenziale per la dismissione ed ottenere la liquidazione della quota senza passare per il mercato con un escamotage, atteso che si afferma che “se la gara andrà deserta, l’ente locale potrà chiedere comunque la liquidazione della quota in denaro”. La disciplina cit., oltre ad avere profili di dubbia legittimità costituzionale sortisce addirittura effetti paradossali poiché involontariamente incentiva la dismissione (e quindi la liquidazione), delle partecipazioni assentite, al solo fine di “fare cassa” e quindi colpendo società che sono capienti e quindi in grado di liquidare rapidamente la quota in denaro. Ne segue un ampio contenzioso aggravato dalle incertezze e dalle oscillazioni giurisprudenziali. L’esperienza degli automatismi caducanti non pare felice ed il bilancio è insoddisfacente. Oggi il legislatore propone soluzioni parzialmente diverse attraverso il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. Anche nel nuovo Testo unico, tuttavia, come evidenziato sopra permangono storture e ragionevoli dubbi sull’efficacia delle procedure. In conclusione, al di là dell’esigenza fortemente sentita dal legislatore, di ridurre il numero delle partecipate locali, non può sottacersi che ancora oggi si permette al socio pubblico di uscire da società rette, lo si rammenta, dallo ius commune, attraverso procedure straordinarie che pongono seri
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problemi di garanzia –anche costituzionale- degli altri soci e della stessa società. Se è vero, come afferma il TAR Lombardia, Brescia, nella sopra richiamata sentenza 13 ottobre 2015, n. 1305, che gli enti locali “non possono restare prigionieri delle società” è anche vero che gli stessi hanno scelto liberamente di partecipare a tali società, che si sapeva essere rette dal diritto comune e per le quali vigono regole che disciplinano partitamente il recesso. Argomentando a contrariis si dovrebbe forse sostenere che la disciplina civilistica nel regolamentare analiticamente le ipotesi (e dunque le possibilità) di recesso, rende (per ciò solo) i soci prigionieri delle stesse.
II. CONCORRENZA E MISSIONE D’INTERESSE GENERALE: PRINCIPI RILEVANTI E