2. CONCORRENZA E S.P.L.: IL DIFFICILE BILANCIAMENTO TRA OBBLIGHI, PRINCIPI ED ESIGENZE UGUALMENTE MERITEVOLI DI TUTELA.
2.2. La concorrenza nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
La Consulta assegna allo Stato la tutela della concorrenza in chiave “macroeconomica”, riservando alle Regioni spazi di manovra in chiave “microeconomica”, senza che questi ultimi però possano entrare in contrasto con le determinazioni del legislatore statale, e gli riconosce non solo il compito di predisporre un sistema di public enforcement, ma anche un ruolo di advocacy (che lo stesso demanda poi a sua volta alle competenti autorità amministrative indipendenti cfr. a tal proposito cap. II del presente elaborato) (75). Lo Stato, secondo la Consulta, può adottare misure che
(73) L.TARANTINO, op. cit.
(74) La Consulta, già con la sentenza n. 14/2004, ha affermato che: «proprio l'aver accorpato, nel medesimo titolo di
competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la tutela della concorrenza, rende palese che quest'ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» [sottolineatura aggiunta].
(75) Secondo Corte cost., sentenza 27 luglio 2004, n. 272 «La tutela della concorrenza non può essere intesa soltanto in
senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in una accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali». E ancora, Corte cost. 21 dicembre 2007, n.
443, nella parte in cui afferma che «Le norme adottate dallo Stato nell'esercizio della competenza esclusiva in materia
di tutela della concorrenza - la quale non può tollerare, per la sua natura, differenziazioni territoriali, che finirebbero per limitare, o addirittura neutralizzare, gli effetti delle norme di garanzia - possono anche porre una disciplina di dettaglio, in quanto le competenze esclusive statali, che si presentino come trasversali, incidono naturalmente, nei limiti della loro specificità e dei contenuti normativi che di esse possano definirsi propri, sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano, mentre, se si ritenessero legittime le norme a tutela della concorrenza - o riguardanti altra materia di potestà legislativa esclusiva - a condizione che le stesse abbiano un carattere generale o di principio, si finirebbe con il confondere il secondo e il comma 3 dell'art. 117 cost., ispirati viceversa ad un diverso criterio sistematico di riparto delle competenze; e ciò tanto più in materie, come la "tutela della concorrenza" o la "tutela dell'ambiente", contrassegnate più che da una omogeneità degli oggetti delle diverse discipline, dalla forza unificante della loro funzionalizzazione finalistica, con i limiti oggettivi di proporzionalità ed adeguatezza, da verificare con rigore». Anche Corte cost. 4 maggio
2005, n. 175, con riferimento alla possibilità di verifica del rispetto dei parametri di costituzionalità in termini di proporzionalità e adeguatezza da parte del legislatore ordinario afferma che «Premesso che la materia-funzione "tutela
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mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese. Tra le misure utilizzabili dal legislatore ordinario per promuovere la concorrenza vi sono quelle tese a promuovere la concorrenza “nel mercato” e “per il mercato” (76), al fine di assicurare la salvaguardia
della concorrenza sia in senso statico, attraverso interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, sia in senso dinamico attraverso misure pubbliche volte a ridurre gli squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali (77). La
(asseritamente) modesto dal punto di vista finanziario dell'intervento statale non determina di per sè l'estraneità alla suddetta materia, potendo le scelte del legislatore essere censurate, in questa materia, solo quando i loro presupposti siano manifestamente irrazionali e gli strumenti di intervento non siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi, la norma censurata rivela pianamente la sua natura di "ragionevole e proporzionato" intervento statale nell'economia volto a promuovere lo sviluppo del mercato attraverso una campagna che diffonda, con il marchio made in Italy, un'immagine dei prodotti italiani associata all'idea di una loro particolare qualità, essendo evidente sia la presenza di un rapporto, che certamente non può ritenersi irragionevole (e, tanto meno, manifestamente irragionevole), tra lo strumento impiegato e l'obiettivo (di sviluppo economico del Paese) che si è prefisso il legislatore statale, sia la sussistenza del requisito dell'adeguatezza, potendo solo lo Stato porre in essere strumenti di politica economica tendenti a svolgere sull'intero mercato nazionale un'azione di promozione e sviluppo, senza che l'auspicata ripercussione sul commercio con l'estero dell'intervento statale volto alla diffusione di un'idea di qualità dei prodotti (in generale) di origine italiana comporti interferenze tra materie, sicché, dovendo l'intervento previsto dalla disposizione impugnata essere inquadrato in una materia-funzione di competenza esclusiva dello Stato, deve escludersi la violazione del precetto di cui all'art. 117 comma 6 cost., per il fatto che il regolamento disciplinante "le indicazioni di origine e l'istituzione ed uso del marchio" sia emanato dal Ministro delle attività produttive (di concerto con altri) senza coinvolgimento delle regioni, dovendosi altresì escludere che la locuzione "supporto formativo" contenuta nel comma 63 implichi un riferimento alla materia della "formazione professionale", riservata alla competenza residuale delle regioni, poiché l'attività prevista dalla norma può definirsi più di informazione che non di vera formazione professionale, essendo rivolta all'efficacia della comunicazione e, quindi, alla diffusione del made in Italy».
(76) Cfr. in tal senso Corte cost., 20 luglio 2012, n. 200, in Giur. cost. 2012, 4, 2910, nella parte in cui afferma che «non è
fondata, in riferimento all'art. 117 cost. e al principio di leale collaborazione, la q.l.c. dell'art. 3, comma 1 d.l. 13 agosto 2011 n. 138, conv., con modif., in l. 14 settembre 2011 n. 148, il quale detta principi in tema di regolazione delle attività economiche, ponendo il principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. L'intervento statale censurato deve essere inquadrato nel campo delle competenze statali di portata trasversale relative alla tutela della concorrenza e, complessivamente considerata, la disposizione censurata non rivela elementi di incoerenza con il quadro costituzionale, in quanto il principio della liberalizzazione prelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dell'attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall'altro, mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l'utilità sociale».
(77) Cfr. in tal senso Corte Cost., 19 dicembre 2012, n. 299, in Foro amm. CDS 2013, 4, 862, nella parte in cui afferma che «non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 31, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011,
promosse, in riferimento all'articolo 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione, nonché all'articolo 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e all'articolo 14, lettere d ) ed e ), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), dalle Regioni Piemonte, Veneto, Sicilia, Lazio, Lombardia, Sardegna, Toscana e Friuli-Venezia Giulia. Infatti le norme in esame non attengono alla materia commercio, di esclusiva competenza regionale, ma a quella della concorrenza, di esclusiva competenza statale, in quanto attuano un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche: si tratta, dunque, di
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convergenza tra la nozione di concorrenza utilizzata dall’art. 117 cost. e quella operante in ambito europeo è assunta dalla giurisprudenza costituzionale come un elemento costante sia prima che dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (78). La Corte, tuttavia, non ha ancora avuto occasione di
confrontarsi con l’affermata centralità dell’economia sociale di mercato positivizzata dal Trattato di Lisbona.
La Consulta, per chiarire la portata del principio della liberalizzazione delle attività economiche in chiave di advocacy pro-concorrenziale afferma che vi può essere limitazione solo nella tutela di interessi di rango costituzionale o in contrasto con l’utilità sociale (79). Un approccio quest’ultimo che
merita di essere ulteriormente approfondito per ciò che concerne la materia dei servizi pubblici, al fine di comprendere se possa dirsi raggiunto un punto di equilibrio simile a quello operante a livello europeo, pur non valorizzando espressamente il dettato dell’art. 3, par. 3, TUE. Per il momento, il
misure coerenti con l'obiettivo di promuovere la concorrenza, risultando proporzionate allo scopo di garantire l'assetto concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale»
(78) Cfr. Corte cost., 19 dicembre 2012, n. 291, in Giur. Cost., 2012, 6, 4558, nella parte in cui afferma che «è
costituzionalmente illegittimo l'art. 6 l. reg. Toscana 28 novembre 2011, n. 63. La disposizione censurata - eliminando, nel proprio ambito regionale, i vincoli e i limiti posti dalla disciplina statale relativamente ai regimi di rilascio di autorizzazioni per avere accesso ad un'attività di servizi, e quindi escludendo l'applicabilità, sul territorio della Regione Toscana, della disciplina delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche e delle connesse concessioni di posteggio, come previste dall'art. 16 d.lgs. n. 59 del 2010, sostanzialmente riproduttivo dell'art. 12 della direttiva Ce 12 dicembre 2006, n. 123 - viola il primo comma dell'art. 117 cost., in relazione alla citata direttiva, per inosservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, nonché, il secondo comma, lett. e), dell'art. 117 cost., poiché, incidendo sull'assetto concorrenziale degli operatori commerciali in modo difforme da quanto previsto dalla normativa statale (attuativa di quella comunitaria), invade la potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia della "tutela della concorrenza", in quanto viene sostanzialmente ad operare in termini anti-concorrenziali, non consentendo lo svolgimento dell'attività commerciale in spazi adeguati agli operatori più qualificati, selezionati attraverso procedure che garantiscano la parità di trattamento, evitino qualsiasi tipo di discriminazione e tutelino la libertà di stabilimento».
(79) Cfr. Corte cost., 20 marzo 2013, n. 46, in Giur. Cost., 2013, 2, 759, nella parte in cui afferma che «non è fondata, in
riferimento agli art. 117, commi 1 e 2, lett. e), e 118 cost., la q.l.c. dell'art. 25, comma 1, lett. a) d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv., con modif., in l. 24 marzo 2012 n. 27, il quale, inserendo nel d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv., con modif., in l. 14 settembre 2011, n. 148, l'art. 3 bis, comma 3, il quale prevede che, a decorrere dal 2013, l'applicazione delle procedure di affidamento ad evidenza pubblica da parte di regioni, province e comuni o degli enti di governo locali o del bacino costituisca elemento di valutazione della “virtuosità” degli stessi enti, ai sensi dell'art. 20, comma 2 d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., in l. 15 luglio 2011, n. 111. Premesso che le modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica attengono alla materia "tutela della concorrenza", di competenza esclusiva statale, tenuto conto della sua diretta incidenza sul mercato e "perché strettamente funzionale alla gestione unitaria del servizio", l'intervento normativo statale si prefigge la finalità di operare, attraverso la tutela della concorrenza (liberalizzazione), un contenimento della spesa pubblica, consistente, nella specie, nella previsione dell'affidamento dei servizi pubblici locali al meccanismo delle gare ad evidenza pubblica, individuato come quello che dovrebbe comportare un risparmio dei costi ed una migliore efficienza nella gestione: da qui l'opzione - in coerenza con la normativa comunitaria - di promuovere l'affidamento dei servizi pubblici locali a terzi e/o a società miste pubblico/private e di contenere il fenomeno delle società in house; né sussiste, proprio in considerazione della afferenza della disciplina impugnata alla tutela della concorrenza, il denunciato contrasto con il diritto dell'Unione europea». Nello stesso senso,
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rapporto tra concorrenza e diritti fondamentali a livello nazionale sembra declinato solo in chiave “oppositiva”, mentre a livello europeo risulta ora declinato in chiave “pretensiva” (80).
I principi sopra enunciati rappresentano il punto di arrivo sul piano giuridico di un lungo percorso. L’idea che lo Stato debba perseguire il fine di assicurare la concorrenza tra gli operatori economici deriva dall’idea che la concorrenza induce gli operatori economici a perseguire indirettamente anche il fine pubblico. L’incontro tra domanda e offerta non condizionato da interventi statuali e spinto dalla ricerca del profitto delle imprese, da un lato, consentirebbe all’imprenditore di sviluppare nuovi processi produttivi in grado di produrre un dato bene a costi inferiori; dall’altro, al consumatore di ottenere quel dato bene ad un prezzo inferiore, così favorendo il progresso economico-sociale e premiando, al contempo, l’interesse dei consociati. La storia (basti pensare alle crisi del 1930 e del 2008) ci ha insegnato che il libero mercato non consente sempre di raggiungere i risultati sopra descritti, sicché lo Stato non può abdicare all’idea di operare scelte che incidono sull’economia (81).
Ciò ha favorito il diffondersi di un modello di economia mista che, secondo differenti gradazioni, vede il mercato influenzato oltre che dalle decisioni di imprese e famiglie anche da quelle dello Stato.
2.3. Il bilanciamento tra mercato ed interessi pubblici nel settore dei s.p.l.: la difficile